di
Henry Giroux
I Selfies, ovvero la cultura all’incrocio tra megabusiness ed Autorità di vigilanza, uniti nella lotta
La sorveglianza è diventata una caratteristica crescente della vita quotidiana esercitata sia dallo Stato che dalle grandi aziende. Questa fusione registra la trasformazione dello Stato politico nello Stato- Azienda, nonché la trasformazione da economia di mercato ad economia criminale. Un crescente attributo della fusione fra Stato e apparati di sorveglianza aziendali è la visione sempre più prevalente della privacy da parte del pubblico americano come qualcosa da sfuggire piuttosto che proteggere come un prezioso diritto politico.
La sorveglianza e lo stato della sicurezza aziendale è uno che ascolta e non solo, ma pure ti guarda, e raccoglie enormi quantità di informazioni attraverso la miniera d’info necessarie per controllare il pubblico americano, oggi considerato come se tutti fossero terroristi potenziali o consumatori da spennare, ma anche acculturano il pubblico all’accettazione passiva dell’intrusione di tecnologie di sorveglianza e di valori mercificati privatizzati in tutti gli aspetti della loro vita. Le informazioni personali vengono volontariamente donate ai social media o ai siti web aziendali come Instagram, Facebook, MySpace e piattaforme di altri mezzi di comunicazione sono strumenti di raccolta-dati quotidiana mentre le persone si spostano da un sito web all’altro, impegnate su più schermi e apparecchi digitali vari. Come sottolinea Ariel Dorfman, “Gli utenti dei social media rinunciano volentieri alla loro libertà di privacy, sempre per ragioni e motivi del tutto benevoli” per tutto il tempo messaggiando e comprando online.” [1] Anche se i selfies potrebbero non prestarsi direttamente a dare importanti informazioni private online, pure essi parlano della necessità di rendere il sé come un oggetto di interesse pubblico, se non una manifestazione di come una infatuazione per la cultura selfie ora sostituisca ogni nozione del sociale come unica forma di agenzia a disposizione di molte persone. In tali circostanze, diventa molto più facile da mettere il diritto alla privacy a rischio in quanto sono visti meno come qualcosa da proteggere che per sfuggire al fine di mettere sé stessi esposti al pubblico giudizio.
Quando il problema della sorveglianza avviene al di fuori delle pratiche illegali svolte da enti governativi segreti, i critici sovente puntano il dito sulla crescente cultura d’indagine e di controllo che si verifica in una varietà di sfere pubbliche attraverso onnipresenti tecnologie digitali usate per la raccolta di una massa di informazioni diverse, cosa più evidente nelle telecamere che popolano ogni spazio pubblico dalle strade, dagli stabilimenti commerciali e luoghi di lavoro alle scuole che i nostri figli frequentano così come nella miriade di scanner posizionati nei punti di entrata di aeroporti, negozi, eventi sportivi e simili. Raramente i critici indicano l’emergere del selfie come un altro indice del bisogno del pubblico di sfuggire al dominio di quello che una volta era considerato il regno caro e protetto del privato e personale. Tutela della privacy in questo caso che un tempo era vista come una salvaguardia cruciale per evitare che importanti informazioni personali fossero inserite nel più ampio dominio pubblico. Nell’epoca attuale di mostruosa saturazione di informazioni, il diritto alla privacy ha fatto la fine di un reperto storico e per troppi americani privacy non è più sinonimo di libertà da amare e necessariamente proteggere. In realtà, i giovani in particolare non riescono a sottrarsi dal regno del Privato abbastanza velocemente [quanto vorrebbero]. L’ascesa del selfie offre un indice di questo ritiro dal diritto alla privacy e, quindi, un’altra forma di legittimazione per svalutare questi diritti che una volta erano protetti del tutto. Cominciamo a ragionare sul fatto che con la crescente presenza del selfie, vi è ubiquità di autoritratti incessantemente postati su diversi mezzi di comunicazione sociale. Un commento sul recente selfie-boom riporta che:
Una ricerca su foto in condivisione Instagram recupera oltre 23 milioni di foto caricate con l’hashtag #selfie, e un enorme 51 milioni con l’hashtag #me. Rihanna, Justin Bieber, Lady Gaga e Madonna sono tutti uploader seriali di selfies. La modella Kelly Brook ne ha preso tanti da bannare se stessa. I bambini di Obama sono stati visti in posa nei loro telefoni cellulari alla seconda festa d’ insediamento del padre. Anche l’astronauta Steve Robinson ha preso una foto di se stesso durante la sua riparazione dello Space Shuttle Discovery. Il Selfie-ismo è ovunque. La parola “selfie” è stato sbandierata così tanto negli ultimi sei mesi che è attualmente monitorata per l’inclusione nell’ Oxford Dictionary Online. [2]
Ciò che suggerisce questa nuova politica di auto-rappresentazione digitale è che la trasgressione più importante contro la privacy può accadere non solo attraverso lo spiare illegittimo, l’ascolto e la raccolta di informazioni da parte dello Stato. Ciò che avviene anche attraverso l’interfaccia di modalità di regime e aziendali di raccolta di massa di dati personali è la pratica di normalizzare la sorveglianza da parte loro aumentando il quoziente piacere e le lusinghe per consumatori giovani e più anziani. Questi gruppi sono ora costantemente invitati a utilizzare le nuove tecnologie digitali e dei social network come una modalità di intrattenimento e comunicazione. Eppure, essi funzionano in gran parte per simulare falsi concetti di comunità e di socializzazione dei giovani in un regime di sicurezza e di mercificazione, in cui la loro identità, i valori e desideri sono indissolubilmente legati a una cultura di dipendenza privati, di auto-aiuto, e di consumo.
La critica più diffusa sui selfies è su come si affermino come forma fuori controllo di vanità e narcisismo in una società in cui un capitalismo incontrollato promuove forme dilaganti d’interessi personali che legittimano l’egoismo e corrodono il carattere individuale e morale. Da questo punto di vista, un mercato guidato dall’economia ha una morale di maggiore individualismo e l’egoismo ha soppiantato ogni più ampio concetto di cura, responsabilità sociale, e di bene collettivo. Per esempio, un segno che la nozione di Foucault della cura di sé si è ora spostata nel regno della ossessione di sé può essere visto nel crescente numero di persone che sono in fila dai chirurghi plastici per migliorare la propria immagine, quelli che pubblicano di se stessi sullo smartphone e altri siti di social media. Patricia Reaney sottolinea che “I chirurghi plastici negli Stati Uniti hanno visto un aumento della domanda per le operazioni che vanno dalla palpebra cadente alla rinoplastica, popolarmente noto come rifarsi il naso, da pazienti che cercano di migliorare la loro immagine in selfies e sui social media.” [4] Sembra che i selfies non siano solo un’indicazione della discesa del pubblico nelle orbite strette dell’ auto-ossessione e atteggiamenti individuali, ma anche un bene per l’economia, specie per i chirurghi soprattutto plastici che in media occupano l’uno per cento della classe superiore di élite ricche. L’aumento incontrollato di egoismo è ora in parte guidato dalla ricerca di nuove forme di capitale, che non riconoscono confini né sembrano avere limiti etici.
In una società in cui l’affare personale è l’unica politica che c ‘è, vi è più in gioco nella cultura selfie che non solo narcisismo dilagante o la truffa della gratificazione per adolescenti e altri la cui ossessione di sé e l’insicurezza prende un estremo, a volte addirittura pericoloso. Ciò che viene sacrificato è non solo il diritto alla privacy, la volontà di rinunciare al sé a favore di interessi commerciali, ma la nozione stessa di libertà individuale e politica. L’atomizzazione che in parte promuove la popolarità della cultura selfie non solo nutre di fervore neoliberista l’individualismo sfrenato, ma anche l’indebolimento dei valori pubblici e lo svuotamento della politica collettiva e impegnata. Lo stato di sorveglianza politico e aziendale non è solo preoccupato per la promozione della fuga dal diritto alla privacy, ma anche dai tentativi di usare quel potere per sondare ogni aspetto della propria vita, al fine di reprimere il dissenso, instillare la paura nella popolazione, e reprimere le possibilità di resistenza di massa contro il potere più sfrenato. [5] La cultura Selfie è anche alimentata da una cultura consumistica spiritualmente vuota spinta da un infinito “desiderio di visibilità … in cui uno stato di illuminazione permanente (e performance) è inseparabile dal funzionamento non-stop di scambio globale e circolazione d’immagine”. [6] L’insistenza di Jonathan Crary che l’eccesso imprenditoriale ora porta infine a una società guidata da un costante stato di Produrre, Consumare, buttare e crepare della cultura selfie. [7 ]
Ancora ribadisco, troppi giovani di oggi sembrano correre via dal senso di privacy, rendendo pubblico ogni aspetto della loro vita. Oppure limitare la loro presenza nella sfera pubblica all’esibizione di infinite immagini di se stessi. In questo caso, il senso di comunità si riduce alla condivisione di una produzione ininterrotta di immagini in cui il sé diventa l’unica nota di agenzia. Allo stesso tempo, la popolarità dei selfies sembra che punti oltre ad un mero eccesso di narcisismo indulgente, verso il desiderio di comprimere la sfera pubblica in rappresentazioni infinite e senza vergogna del sé. I selfies e la cultura che producono non possono essere completamente crollati nella logica della dominazione. Quindi, non voglio suggerire che la cultura selfie è soltanto un mezzo per le varie forme di prestazione narcisistica. Alcuni commentatori hanno suggerito che i selfies consentono alle persone di entrare in contatto tra di loro, si presentano in modo positivo, e utilizzano i selfies per guidare il cambiamento sociale. E ci sono molti esempi di questo tipo di comportamento.
Molti giovani affermano che selfies offrono l’occasione per invitare commenti da parte degli amici, aumentare la loro autostima, e a coloro che sono impotenti e senza voce offrono la possibilità di rappresentare se stessi in una luce più favorevole .[8] Per esempio, Rachel Simmons fa un coraggioso tentativo di sostenere che i selfies sono particolarmente buoni per le ragazze. [9] Anche se questo è in parte vero, penso che Erin Gloria Ryan ha ragione nel rispondere alla rivendicazione di Simmons sui selfies come “costruttori di positiva autostima” quando lei afferma: “Smettiamola. I selfies non richiedono alcuna abilità né danno alcun potere sugli altri, ma al contrario sono un riflesso ad alta tecnologia della società fottuta che insegna alle donne che la loro qualità più importante è la loro capacità di attrazione fisica “. [10] E’ difficile credere che nella cultura dominante, le funzioni di cultura selfie satura di stimoli promossi dalle aziende possano servire a costruire l’autostima tra i giovani ragazze che sono un obiettivo pronto per essere ridotto a merce sessuale di tipo salace e ad un mercato senza fine che le definisce in gran parte come bocconcini di una cultura della celebrità e del sensazionalismo. Ciò che spesso manca nell’utilizzo emarginato di selfies è che per la maggior parte della pratica è guidato da un insieme potente e pervasivo di mercato mosso da valori velenosi che incorniciano questa pratica in modi che non sono sovente messi in luce. La selfie-cultura è ora parte di un’economia di mercato guidato che li incoraggia come un atto di privatizzazione e consumo e non come una pratica che potrebbe sostenere il bene pubblico.
Ciò che manca da questo punto di vista della popolarità spesso romanzata e depoliticizzata dei selfies è che l’accettazione, la proliferazione, e l’appropriazione commerciale di massa dei selfies suggerisce che la crescente pratica di produrre rappresentazioni che un tempo riempivano lo spazio pubblico è incentrata su importanti problemi sociali e un senso di responsabilità sociale che sono in declino tra il pubblico americano, soprattutto fra molti giovani le cui identità e senso di appartenenza è ora formato in gran parte attraverso la lente di una cultura della celebrità altamente mercificato. Oggi viviamo in un’epoca guidata dal mercato, definito come eroico dalla conservatrice Ayn Rand, la quale ha sostenuto nel suo libro “La virtù dell’ egoismo”, che l’interesse è stata la più alta delle virtù e che l’altruismo meritava niente più che disprezzo. Questo ritiro dal bene pubblico, dalla compassione, dalla cura per l’altro, e la legittimazione di una cultura di crudeltà e indifferenza morale è spesso registrato in pannelli pubblicitari assai strani e reso popolare nella cultura dominante di ogni giorno. Ad esempio, un’ espressione di come questa nuova forma di celebrità abbia alimentato la stupidità può essere visto meno nel chiacchierare senza fine sull’importanza dei selfies che non nell’atteggiamento dilagante proprio della cultura selfie, come evidente nella fanfara ampiamente commercializzata sull’immagine di Kim Kardashian col libro dal titolo appropriato, “Egoista”, che contiene, ovviamente, centinaia di suoi selfies. Come fa notare Mark Fisher, questo suggerisce una testimonianza sempre più di una società mercificata in cui “in un mondo di individualismo ognuno è intrappolato all’interno dei propri sentimenti, intrappolato all’interno della propria immaginazione … e non più in grado di sfuggire alle condizioni torturanti del solipsismo.” [11 ]
Sotto lo stato di sorveglianza occhiuta, la più grande minaccia che si affronta non è semplicemente la violazione del proprio diritto alla privacy, ma il fatto che il pubblico è soggetto ai dettami del potere arbitrario che non sembra più interessato a contestare. Ed è proprio questa esistenza di un potere incontrollato e la più ampia cultura dell’indifferenza politica che mette a rischio i principi più ampi concetti di libertà e di libero pensiero, che sono fondamentali per la democrazia stessa. Secondo Skinner:
“La risposta di coloro che sono preoccupati per l’eccesso di sorveglianza è stata finora troppo formulata, mi pare, in termini di violazione del diritto alla privacy. Certo è vero che la mia privacy è stata violata, se qualcuno sta leggendo le mie e-mail a mia insaputa. Ma il mio punto è che la mia libertà viene anche violata, e non solo per il fatto che qualcuno sta leggendole, ma anche per il fatto che qualcuno ha il potere di farlo. Dobbiamo insistere sul fatto che questo di per sé toglie libertà, perché ci lascia in balia del potere arbitrario. È inutile che coloro che hanno questo potere vadano promettendo che non necessariamente sarà usato o lo useranno solo per il bene comune. Ciò che è offensivo per la libertà è l’esistenza stessa di tale potere arbitrario.” [12]
L’ascesa dei selfies sotto lo stato di sorveglianza è solo una fuga neoliberista ispirata dalla privacy. Come ho sostenuto altrove, i pericoli della stato di sorveglianza superano di gran lunga il mero attacco alla privacy e non meritano solo una discussione su bilanciamento tra sicurezza e libertà civili. [13] La critica della fuga dalla privacy non riesce ad affrontare il fatto di come la crescita dello stato di sorveglianza e la sua appropriazione di tutte le sfere della vita privata siano collegati alla nascita dello Stato repressivo, la militarizzazione della società americana, le prigioni segrete, le torture di stato, una crescente cultura della violenza, la criminalizzazione dei problemi sociali, la depoliticizzazione pubblica , e uno dei più grandi sistemi carcerari nel mondo, ognuno dei quali fenomeni “sono solo i più concreti, le manifestazioni condensate di un regime di sicurezza diffusa, in cui siamo tutti internati ed arruolati”. [14] La natura autoritaria dello Stato privatizzato produce apparecchi di sorveglianza e sistemi di sicurezza con la sua “voglia di sorvegliare, intercettare, spiare, monitorare, registrare e salvare ogni comunicazione di qualsiasi genere sul pianeta” [15] può essere pienamente compresa solo quando i suoi tentacoli onnipresenti sono collegati alle culture più ampie di controllo e punizione, compresi i corridoi di sicurezza pattugliati delle scuole pubbliche, l’aumento delle carceri speciali super-sicure, l’iper-militarizzazione delle forze di polizia locali, l’aumento del complesso militar/industrial/accademico, e la crescente etichettatura del dissenso come “atto di terrorismo” negli USA. [16]
I selfies possono essere molto più di una espressione di narcisismo andata fuori controllo, bensì la promozione della privatizzazione che spodesta il preservare la cultura pubblica e civile con la loro pratica di mentore della responsabilità sociale. Essi possono anche rappresentare il grado in cui gli spazi ideologici e affettivi del neoliberismo hanno trasformato la privacy in un’imitazione di culto della celebrità che sia appoggia e rimane indifferente al crescente stato di sorveglianza e relativa involuzione totalitaria, che sarà sicuramente trasmessa ripetendo all’infinito dei selfies che sono un vero omaggio a George Orwell.
Fonte: www.counterpunch.org
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RIBERTO MAROCCHESI
NOTE
[1] Ariel Dorfman, “Repression by Any Other Name,” Guernica (February 3, 2014). Online: http://www.guernicamag.com/features/repression-by-any-other-name/
[2] “Self-portraits and social media: The rise of the ‘Selfie’,” BBC News Magazine(June 6, 2013)
http://www.bbc.com/news/magazine-22511650
[3] Anita Biressi and Heather Nunn, “Selfishness in austerity times,” Soundings , Issue 56, (Spring 2014), pp. 54-66
http://muse.jhu.edu/journals/soundings_a_journal_of_politics_and_culture/v056/56.biressi.pdf
[4] Patricia Reaney, “Nip, tuck, Click: Demand for U.S. plastic surgery rises in selfie era,” Reuters (November 29, 2014). Online: http://www.reuters.com/article/2014/11/29/life-selfies-surgery-idUSL1N0SW1FI20141129
[5] Brad Evans and Henry A. Giroux, Disposable Futures (San Francisco: City Lights Books, 2015).
[6] Jonathan Crary, 24/7: Late Capitalism and the Ends of Sleep, (Verso, 2013) (Brooklyn, NY: Verso Press, 2013), p. 5.
[7] Ibid., p. 17.
[8] The kind of babble defending selfies without any critical commentary can be found in Jenna Wortham, “Self-portraits and social media: The rise of the ‘selfie’,”BBC News Magazine (June 6, 2013). Online:
Http://www.nytimes.com/2013/10/20/sunday-review/my-selfie-myself.html
[9] Rachel Simmons, “Selfies Are Good for Girls,” Slate (November 20, 2013). Online: http://www.slate.com/articles/double_x/doublex/2013/11/selfies_on_instagram_and_facebook_are_tiny_bursts_of_girl_pride.html
[10] Erin Gloria Ryan, “Selfies Aren’t Empowering. They’re a Cry for Help,” Jezebel (November 21, 2013). Online: http://jezebel.com/selfies-arent-empowering-theyre-a-cry-for-help-1468965365
[11] Mark Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative? (Winchester, UK: Zero Books, 2009), p. 74.
[12] Quentin Skinner and Richard Marshall “Liberty, Liberalism and Surveillance: a historic overview” Open Democracy (July 26, 2013). Online: http://www.opendemocracy.net/ourkingdom/quentin-skinner-richard-marshall/liberty-liberalism-and-surveillance-historic-overview
[13] Henry A. Giroux, “Totalitarian Paranoia in the Post-Orwellian Surveillance State,” Truthout (February 10, 2015). Online: http://truth-out.org/opinion/item/21656-totalitarian-paranoia-in-the-post-orwellian-surveillance-state
[14] Michael Hardt and Antonio Negri, Declaration (Argo Navis Author Services, 2012), p. 23.
[15] Tom Engelhardt, “Tomgram: Engelhardt, A Surveillance State Scorecard,” Tom Dispath.com (November 12, 2013). Online: http://www.tomdispatch.com/blog/175771/
[16] I take up many of these issues in Henry A. Giroux, The Violence of Organized Forgetting (San Francisco: City Lights Publishing, 2014), Henry A. Giroux, The Twilight of the Social (Boulder: Paradigm Press, 2012), and Henry A. Giroux, Zombie Politics and Culture in the Age of Casino Capitalism (New York: Peter Lang, 2011).