di
SOPHIE CHAPELL
Un toro capace di produrre più di un milione di discendenti, cinque razze d’animali che dominano l’allevamento mondiale di vacche, maiali, polli, capre e pecore: le industrie hanno preso il controllo della selezione genetica degli animali da stalla. In questo si settore si sta giocando una guerra industriale simile a quella del mercato dei semi vegetali. La ricerca di ritorni economici immediati sta erodendo in modo terrificante la biodiversità animale. Mentre i problemi sanitari si moltiplicano, gli allevatori, le associazioni e i ricercatori si organizzano per preservare la diversità degli animali d’allevamento e preservare le specie che non sono standardizzate.
Una razza d’animale d’allevamento su cinque è minacciata d’estinzione. L’allerta è stata lanciata nel 2008 dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Su 6.300 razze di animali domestici, 1.350 sono minacciate d’estinzione o sono già scomparse. Sono state rimpiazzate da un numero ristretto di razze d’allevamento selezionate per la gran parte sulla base della loro produttività. Una dozzina di specie animali forniranno da sole il 90% delle proteine animali consumate dal mondo. Di conseguenza, si profila una corsa per il controllo genetico animale da parte di un pugno di attori economici, operanti nel campo dell’agricoltura industriale.
Quali sono i criteri di questa selezione genetica? Crescere ed ingrossare velocemente, produrre molto latte, carne e uova: «Le imprese dell’allevamento si sono concentrate sulla massimizzazione della produzione e sugli aspetti commercialmente utili, come la crescita rapida, l’efficacia della conversione alimentare e rendimenti elevati» sottolinea L’Atlante della carne pubblicato nel 2014 da Fondazione Heinrich-Böll-Stiftung Berlin, Amici della Terra, Europa e Arc 2020 «ne scaturiscono razze geneticamente uniformi ad alti rendimenti che, per sopravvivere, necessitano di alimenti ricchi di proteine, di prodotti farmacologici costosi e di impianti a temperatura controllata». Siamo dunque ben lontani dalle razze animali autoctone, presenti da secoli in Africa, Asia, America o Europa e più adatte a resistere alle condizioni e alla geografia del luogo.
Cinque razze dominanti, un pugno di selezionatori
L’allevamento mondiale è oggi dominato da cinque razze, tutte venute dall’Europa e dall’America del Nord. La vacca da latte Prim’Holstein, innanzitutto: d’origine olandese-tedesco-americana, è presente in 128 paesi e fornisce i due terzi della produzione di latte nel mondo. «Sono vacche che sono state selezionate con gran cura secondo criteri molto chiari: massimizzarne la produzione di latte ed il contenuto in materie grasse; fare in modo che l’assimilazione della loro alimentazione sia la più efficace possibile», spiega Susanne Gura, specialista di biodiversità agricola. Poi, il porco Large White: presente in 117 paesi e d’origine inglese, rappresenta un terzo dell’approvvigionamento mondiale di maiale nel mondo. In questa classifica figurano anche la capra svizzera Saanen (81 paesi), le pecore spagnole Merinos (60 paesi) e i polli Livorno Bianchi, d’origine italiana ma allevati dappertutto nel mondo.
Parallelamente a questa riduzione drastica della diversità animale, un pugno di giganti industriali influenza la genetica, come ci ricorda l’organizzazione indipendente britannica Econexus, che raccoglie scienziati e cittadini. Il leader del settore, la britannica Genus, è stata costituita nel 2005 a partire dalle due più importanti aziende del settore suino e bovino del mondo. Il gruppo tedesco Eric Wesjohann (EW Gruppe) è leader mondiale nella genetica delle galline, dei polli e dei tacchini con l’olandese Hendrix Genetics (di cui la società Sofipotreol, diretta da Xavier Beulin, al tempo stesso presidente di FNSEA, è azionista). Un gruppo francese, Grimaud, si è infilata nel settore: attualmente, si tratta della seconda azienda nella selezione dei volatili e ha filiali nel settore del coniglio e del gambero. L’altra grande azienda che decide cosa mangiamo è l’americana Tyson Foods Inc., il più grande trasformatore di carne che, tramite la sua filiale Cobb-Vantress, controlla la genetica dei polli da carne.
L’obsolescenza programmata degli ibridi dei polli
Dopo venti anni di acquisti e fusioni tra le imprese del settore, la concentrazione è senza precedenti, in particolari tra i volatili. «Due industrie controllano la produzione di uova, altre due il mercato della carne» informano l’eurodeputato José Bové ed il giornalista Gilles Luneau nel libro L’alimentazione in ostaggio (L’alimentation en otage). Il dominio delle multinazionali è dovuta ad una innovazione chiave: l’introduzione sul mercato del pollo ibrido nel corso degli anni ’40 ad opera di Henry Wallace, all’epoca vice-presidente degli USA. L’incrocio di due razze selezionate di polli aumenta la loro produttività. Problema: questo miglioramento genetico non si trasmette alla generazione successiva. «L’allevatore è obbligato a riacquistare dei pulcini alla fine di ciascuna produzione» spiegano Gilles Luneau e José Bové. «Questo ciclo accelera perché i polli da carne arrivano a maturità più velocemente e perché quelli da uovo non vivono così a lungo come i loro antenati rustici». Un’innovazione che si è estesa ai tacchini, alle anatre, ai maiali, ai salmoni, ai gamberi, etc…
Questa corsa ai ritorni economici ha il suo prezzo. In un sistema che divide la produzione di uova da quella di carne, i pulcini maschi sono troppi. Circa 50 milioni di pulcini maschi sono uccisi ogni anno in Francia alla nascita. Questa selezione intensiva ha negative ripercussioni sul benessere degli animali anche su altri aspetti, secondo Christian Drouin, allevatore della Vandea. Sotto pressione finanziaria, alla fine degli anni ’90 si lanciò nell’allevamento industriale del pollame.«Non immaginavo quanti problemi sanitari si sarebbero generati, con animali che non riescono a reggersi sulle loro zampe per il peso eccessivo troppo rapidamente raggiunto», confida. Poiché la carne si sviluppa molto più velocemente dello scheletro, i polli da ingrasso collassano sotto il peso del loro stesso corpo. Dopo un anno, la sofferenza morale combinata all’assenza di risultati, condussero questo allevatore ad abbandonare il sistema industriale e a volgere lo sguardo verso il pollame certificato.
Povertà genetica animale, ricchezza dei laboratori farmaceutici
Lo scorso marzo, la società ABS® Global Inc., filiale di Genus e leader della genetica bovina, ha pubblicato il necrologio del suo toro più importante, battezzato «29HO12209 Picston SHOTTLE» Dietro questo nome, un toro riproduttore il cui seme ha generato più di 1,17 milioni di discendenti! ABS® saluta il suo generatore di cui «le 100.000 figlie hanno prodotto più di 2 miliardi di litri di latte» e che soprattutto ha largamente contribuito alla buona salute finanziaria dell’azienda. Ma l’inseminazione artificiale nasconde un lato oscuro: l’omogeneità genetica: «i generi di milioni di bovini e suini corrispondono ormai a meno di cento animali. Per il pollame, non andiamo oltre la ventina. Geneticamente, gli animali si rassomigliano sempre di più», afferma il rapporto Agropoly. Industrializzazione e omogeneizzazione hanno considerevolmente aumentato il rischio di malattie animali infettive. Ciò va a beneficio del settore farmaceutico. La lotta contro le epizoozie rappresenta circa il 17% della cifra d’affari dell’industria dell’allevamento, secondo il rapporto Agropoly. In Germania, due terzi degli antibiotici venduti sono utilizzati per l’allevamento. Negli Stati Uniti gli antibiotici sono autorizzati per la stimolazione della crescita: gli animali ne consumano otto volte più gli ospedali! In cambio, assistiamo ad una recrudescenza dei batteri resistenti ed indifferenti alle medicine. É la Francia ha detenere il record di resistenza agli antibiotici in Europa.
Contro il brevetto dei geni
«Questa “rivoluzione genetica” si basa sul sogno di modificazione genetica animale su tutte le specie che possono avere mercato», avvertono Gilles Luneau e José Bové, i quali citano, tra gli animali dal DNA manomesso, un pollo israeliano senza piume per resistere meglio al caldo o un maiale giapponese con un gene di carciofo per fare meno grasso. A novembre del 2015, malgrado la contestazione di 2 milioni di americani, è stato autorizzato il consumo, per la prima volta, di un animale geneticamente modificato: il salmone AquAdvantage, modificato col gene di un altro salmone per crescere due volte più rapidamente.
Il diritto di proprietà intellettuale depositato su animali o sui loro geni rafforza il controllo della riproduzione del bestiame e minaccia la sopravvivenza di milioni di piccoli imprenditori agricoli, pescatori e allevatori. La vacca Prim’Holstein è, per esempio, sul punto di detronizzare il Watusi in Uganda, un bovino con lunghe corna, molto più resistente alla siccità.«In questo mondo che si confronta con il cambiamento climatico, razze resistenti alla siccità, al caldo estremo o alle malattie tropicali sono, oltre che risorse di materiale genetico uniche per i programmi di riproduzione, di un’importanza potenziale maggiore», ricordano gli autori de L’Atlante della carne. Nel corso del 2007, 109 paesi hanno firmato la Dichiarazione d’Interlaken sulle risorse zoogenetiche. Questa dichiarazione conferma il loro impegno a utilizzare la biodiversità del mondo animale per perseguire la sicurezza alimentare mondiale e renderla disponibile alle generazioni future.
Contadini, associazioni e ricercatori si organizzano per preservare le razze
«La diversità delle razze, argomento di lavoro per generazioni di contadini, è una condizione essenziale per l’adattabilità dei nostri sistemi d’allevamento, di fronte alla sfida delle generazioni future», ricorda la ricercatrice Julie Bessin. In Francia, alcuni ricercatori hanno preso assai presto consapevolezza dell’importanza costituita dalla biodiversità. Azioni per la conservazione delle razze animali sono già state adottate. Allo stesso tempo, alcuni allevatori, insediati in zone di montagna o in luoghi con climi rudi, si sono resi conto che la selezione proposta dalle multinazionali dominanti non è compatibile con le loro pratiche.
É il caso di Florent Mercier, allevatore nel dipartimento Maine-et-Loire, che ha optato per la Bruna Originale, una razza di vacca frutto di una selezione condotta dai contadini in Svizzera. «Qui, regolarmente, ci sono siccità d’estate, lunghi inverni a fieno senza insilamento. Per fortuna, in Svizzera, 500 allevatori hanno rifiutato l’importazione della genetica americana e hanno saputo salvaguardare i sistemi tradizionali». Questa razza di vacca si rivela capace d’adattarsi a differenti ambienti. La sfida per questi allevatori: riconquistare la propria autonomia dal sistema di allevamento industriale. Quasi 70 iniziative per la conservazione della biodiversità di animali domestici sono state censite in Francia, a modo di semi della resistenza contro l’omogeneità promossa dai giganti della selezione animale e l’impoverimento generale
Versione italiana a cura del sito www.comedonchisciotte.org, autore della traduzione Nicola Palilla