Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Un’imboscata per eliminare due cronisti che facevano domande scomode. Le rivelazioni sulla morte della Alpi e di Hrovatin in una docu-fiction su Rai 3
di
DANIELE MASTROGIACOMO
NESSUNA rapina o tentativo di sequestro. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono caduti in un’imboscata. Un agguato studiato nei dettagli per mettere a tacere due giornalisti diventati troppo pericolosi. Grazie ad una soffiata della parte dei Servizi italiani rimasta legata al signore della guerra Mohammed Farah Aidid, il Tg3 della Rai avrebbe raccolto sufficienti indizi per smascherare un traffico d’armi clandestino portato avanti da due noti broker internazionali: il siriano Monzer al-Kassar e il polacco Jerzy Dembrowski. Il tutto in un territorio controllato dall’altro signore della guerra somalo, Mohammed Ali Mahdi, su cui avevano puntato gli Usa. Un traffico svolto per conto della Cia e gestito dalla flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia per incrementare l’industria peschiera nell’Oceano Indiano del Corno d’Africa. Non è facile rievocare l’assassinio di Ilaria e Miran. Soprattutto dopo 21 anni da quella tragica esecuzione, avvenuta il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio. E’ stata esplorata in otto processi, indagata da quattro Commissioni parlamentari e conclusa, almeno da un punto di vista giudiziario, con una condanna a 26 anni nei confronti di un cittadino somalo, Hashi Omar Assan, che molti credono innocente.
Con una docu-fiction elaborata in oltre un anno di indagini che andrà in onda sabato prossimo su Rai 3 alle 21,30, gli sceneggiatori Claudio Canepari e Massimo Fiocchi, per una produzione Magnolia, sono riusciti a ripercorrere gli ultimi mesi di lavoro e di vita di Ilaria Alpi. Con il titolo “Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio “, realizzato anche da Mariano Cirino e Gabriele Gravagna e raccontato dall’inviata Lisa Iotti, il video si snoda in un racconto chiaro, dal ritmo battente, con immagini del tutto inedite sui 200 giorni trascorsi in Somalia dalla giornalista del Tg3. Grazie alle riprese conservate dall’operatore Rai Alberto Calvi che ha sempre seguito con Ilaria l’operazione Restore Hope, rinunciando all’ultima, fatale missione, si scopre il lavoro costante della collega.
Solo la lettura degli atti desecretati, assieme alle testimonianze dello stesso Calvi, di Franco Oliva, l’ex funzionario della Farnesina spedito in Somalia per mettere ordine nell’attività della Cooperazione e vittima a sua volta di un attentato a cui è scampato per miracolo, il lavoro di Ilaria e Miran prende corpo e forma. Le rivelazioni di un ex appartenente alla “Gladio”, rete clandestina anticomunista, riempiono infine quei vuoti che né la magistratura né la Commissione di indagine erano riuscite a colmare, aprendo la strada all’agguato per rapina o sequestro.
Con uno scoop finale, grazie al contributo del giornalista Luigi Grimaldi. Quello che fa intuire il movente di un duplice omicidio. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si erano avvicinati troppo ad un traffico che doveva restare segreto: riguardava anche la spedizione in Somalia di una partita di 5000 fucili d’assalto e 5000 pistole da parte degli Usa. Ufficialmente. Ma in realtà, attraverso una triangolazione che aggirava l’embargo decretato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 2002, una partita destinata alla neonata federazione croata-bosniaca durante la guerra nell’ex Jugoslavia.
Due differenti carichi, trasferiti da navi della Lettonia a navi della Shifco sempre al largo della Somalia, sono segnalati in due rapporti delle Nazioni Unite del 2002 e del 2003. Il primo avviene il 14 giugno del 1992; il secondo nel marzo del 1994: è identico a quello registrato a bordo della “21 Oktoobar”, l’ammiraglia della flotta Schifco, la cui rotta è tracciata dai Lloyds fino al porto iraniano di Bandar Abbas. Di qui, avrebbe preso il largo verso la Croazia a bordo di un’altra nave. Ilaria a Miran moriranno pochi giorni dopo.
La “Farax Oomar”, l’altra nave della Schifco, con a bordo 2 italiani e ormeggiata a Bosaso su cui indagava la giornalista Rai, era ostaggio del clan di Ali Mahdi. Serviva come garanzia del pagamento della tangente per il traffico d’armi Usa-Italia destinato a Zagabria. Ilaria Alpi ignorava tutto questo. Ma aveva dei sospetti. Cercò di chiarirli nella sua ultima intervista al sultano di Bosaso: gli chiese se la “Farax Oomar” ormeggiata in porto era sotto sequestro. Una domanda fatale.
Nella docu-fiction basta osservare la reazione del capo tribù. Ilaria e Miran verranno attirati in una trappola con una telefonata di cui si ignora l’autore. Lasciano il loro albergo e si avventurano nella parte sud di
Mogadiscio per raggiungere l’hotel Amana. Fanno qualcosa che non avrebbero mai fatto se non davanti a qualcosa di eccezionale. Dopo un agguato verranno freddati entrambi con un colpo alla nuca. Una vera esecuzione. Per mettere fine a quella curiosità e al riparo un segreto imbarazzante.
Fonte: Repubblica.it