Albert Einstein, fisico e ‘padre’ della teoria della relatività
Un team di scienziati ha avanzato l’ipotesi che la velocità della luce non sia costante e ha suggerito addirittura la possibilità di testare la teoria che contrasta le indicazioni del padre della relatività generale
di
EMILIO VITALIANO
E’ un fatto noto: la velocità della luce è pari a circa 300.000 km al secondo (nel vuoto) e soprattutto rappresenta una costante della natura. Ma è davvero così? Non secondo uno studio condotto da João Magueijo dell’Imperial College di Londra insieme a Niayesh Afshordi del Perimeter Institute in Canada e pubblicato su Physical Review D, che suggerisce una velocità della luce molto più elevata di quella attuale durante la fasi iniziali di vita dell’Universo. Inoltre, i ricercatori sono convinti che questa ipotesi potrebbe essere addirittura verificata sperimentalmente. Una considerazione potenzialmente rivoluzionaria per il mondo della fisica (anche se non nuovissima), poiché il valore di quella che finora è stata ritenuta appunto una costante, abitualmente indicata con la lettera ”c”, è alla base della tanto celebre quanto complessa teoria della relatività generale.
Per meglio capire le affermazioni della nuova ipotesi è importante ricordare quello che ci ha spiegato la cosmologia standard, secondo cui le varie strutture (per esempio le galassie) presenti nel nostro Universo si sono formate grazie alle cosiddette fluttuazioni primordiali. Queste ultime altro non sono che variazioni della densità della materia durante la sua distribuzione. Oggi la radiazione cosmica di fondo conserva delle impronte di queste fluttuazioni, descritte tramite una grandezza conosciuta come indice spettrale. Proprio l’indice spettrale è al centro dello studio, poiché ciò che hanno fatto Magueijo e Afshordi è stato calcolarne un valore (supponendo che le fluttuazioni primordiali siano state influenzate dalla velocità della luce variabile), pari a 0,96478, che ricorda molto quello ricavato dalle osservazioni ed uguale a 0,969. L’obiettivo è ottenerne una misurazione sempre più precisa, per capire se le previsioni sono corrette ed eventualmente arrivare a modificare la relatività generale. Una conclusione che farebbe gioire gli autori della ricerca e che sarebbe il coronamento di studi iniziati già alla fine degli anni novanta per rispondere al perché l’universo si presenti più o meno uguale in tutte le direzioni; infatti, regioni molto lontane fra di loro, che non sono mai entrate per questo motivo in contatto, mostrano le stesse proprietà, nonostante lo scambio dell’informazione possa avvenire al massimo a velocità pari a quella della luce. Un valore che, come abbiamo ricordato inizialmente, è approssimato a 300.000 km al secondo (sempre nel vuoto) e che può apparire elevatissimo, ma comunque non abbastanza grande da fornire una valida interpretazione di quanto osservato. Una situazione impossibile che oggi è spiegata tramite la teoria dell’inflazione cosmica, capace di risolvere il cosiddetto problema dell’orizzonte, ipotizzando che dopo il Big Bang l’espansione dell’universo sia stata esponenziale. In particolare, la descrizione fornita è quella di un universo iniziale piccolissimo e sostanzialmente omogeneo, che si è poi espanso in maniera estremamente veloce durante il periodo inflazionario per mostrare le caratteristiche attuali.
Diversamente, si può rimpiazzare l’inflazione proprio con la teoria di Magueijo e Afshordi, che considera la velocità della luce non costante e implica una diffusione dei fotoni (i quanti di luce) in maniera molto più rapida durante le fasi iniziali, con un successivo rallentamento fino ai valori attuali. Se fosse vero (e le controversie a riguardo non mancano) perderemmo uno dei capisaldi della fisica e dovremmo constatare che le leggi della natura in qualche modo sono cambiate nel tempo. D’altronde la radiazione luminosa ha rappresentato un enigma per centinaia di anni (tanto spinoso da coinvolgere anche geni del calibro di Newton, Huygens, Young e altri) e il dilemma sulla sua velocità non fa altro che incrementarne il fascino. In ogni caso, poiché pare che la risposta cercata si possa ottenere dalle future misurazioni dell’indice spettrale, non ci resta che attendere.