di
Maurizio Blondet
Trump vuol disimpegnarsi dalla Siria? Invece, le stesse forze ‘americane’ che sono dietro il programma di Obama sul “regime change”, il rovesciamento di Assad e l’instaurazione di un territorio wahabita, cercano di “vendere” lo stesso programma a Trump. Sembra incredibile? Si tratta di tre think-tank che, in previsione di una vittoria di Hillary, hanno costituito a luglio un “ “Combating al-Qaeda in Syria Strategy Group” , perché naturalmente, come prima, si progetta un intervento armato americano contro Assad presentandolo come “combattere Al Qaeda”, in realtà armano i “ribelli moderati”. La vecchia proposta di “no fly zone”(interdizione dello spazio aereo all’aviazione siriana e russa) è stata riconfezionata come “no bombing zone”, insomma il ‘santuario’ per proteggere e rafforzare la cosiddetta “opposizione” nutrita e armata dalla Cia.
Il progetto è presentato dai promotori al nuovo governo come “una politica olistica e preventiva per mettere in condizioni i siriani moderati di prevalere sugli estremisti in Siria” – eh sì, perché Al Qaeda, dicono, sta riguadagnando terreno nelle aeree oggi controllate dalle forze “moderate” onde instaurare “un durevole ordine estremista sunnita in Siria”, che l’America ha il dovere morale di impedire.
Forse al lettore sembrerà di avere un incubo, uno spettrale déjà vu. Eppure il programma è stato pubblicato. Titolo: “Combating Al Qaeda in Syria: a Strategy for the Next Administration”
https://timep.org/wp-content/uploads/2016/01/Combating-al-Qaeda-in-Syria.pdf
Già il titolo ricorda sinistramente il programma “Rebuilding America’s Defenses” che un altro famigerato think tank, il Project for a New American Century, stilò nel 1998 consigliando “the next administration” di operare il “regime change in Irak” e i 15 anni di guerre per Sion che il Medio Oriente ha subito ; riarmo che avrebbe richiesto, per convincere l’opinione pubblica, “una nuova Pearl Harbor”, evento auspicato che avvenne l’11 Settembre. I nomi dei promotori, allora, suonavano “Bill Kristol, Robert Kagan, Richard Perle, Paul Wolfowitz, R. James Woolsey, Elliot Abrams, Donald Rumsfeld, Robert Zoellick, John Bolton (il lettore ne cerchi il passato su Wikipedia) .
Adesso il think tank promotore non si chiama più “Project for a new American Century”, ma – più modestamente – “ Center for a New American Security (CNAS): non è zuppa è pan bagnato. Esso si è unito con il Middle East Institute, che pare ossessivamente determinato ad abolire l’Iran, pericolo esistenziale per Sion (http://www.mei.edu/) e lo Institute for the Study of War, (http://www.understandingwar.org/) che si dichiara “l’avanguardia del pensiero militare”. Come nell’altro storico precedente, anche qui fra i membri spesseggiano i nomi ebraici, Kristol, Kagan, Weinberger (forse figli o nipoti di celebri neocon), e ancora Kaplan, Rosenberg, Klein, Goldenberg per il CNAS (insomma ci siamo capiti) ma mescolati a nomi siriani o libanesi o comunque sunniti, per bella mostra di oppositori evoluti del mostro Assad.
Basti dire che l’esponente principale del Middle East Institute, di nome Charles Lister, e Jennifer Caffarella, la stratega dello Institute for the Study of War, al tempo di Obama hanno spinto per l’intervento militare americano diretto in Siria in appoggio ai terroristi moderati per rovesciare Assad; Lister si è prodotto in vocali richieste di armare i ribelli siriani con missili anti-aerei a spalla per eliminare il pericolo dell’aviazione russa. La direttrice-fondatrice del Center for a New American Security, Michéle Flourney, è stata numero 3 del Pentagono e probabilmente Hillary, se avesse vinto, l’avrebbe nominata sua ministra della Difesa. Nel giugno scorso, in una rabbiosa intervista, voleva che il governo Obama intimasse alla Russia: “se tu bombardi quelli che noi sosteniamo, noi rispondiamo dente per dente distruggendo le forze alleate (russe) e i beni siriani”.
La Cia continua ad armare Daesh
Gareth Porter, che è la fonte di queste notizie, pensa che costoro hanno ben poche possibilità di far accettare la loro strategia ad un presidente Trump che, nel discorso inaugurale, ha annunciato una cooperazione con Mosca per sradicare il terrorismo islamico. Ma attenzione: in realtà, operazioni di mano americana a sostegno dei terroristi sono tuttora in corso in Siria; Daesh ha di nuovo devastato Palmira (sabotaggio dei “beni siriani”, come consiglia Flournoy), ed ha inflitto pesanti perdite – si dice, 14 carri armati – alle truppe turche (oggi alleate di Putin) in Siria, ad Al Bab sul confine turco-siriano, grazie all’uso di missili anticarro tipo TOW – ed è facile indovinare che continuano a venir riforniti, armati, e guidata strategicamente da esperti che possiamo ipotizzare essere della Cia. Non dimentichiamo che, come ha scritto Craig Roberst, “grazie a suoi fiorenti business, la Cia dispone di mezzi propri, indipendenti dal bilancio statale”, con cui può condurre operazioni senza il permesso della Casa Bianca e persino “all’insaputa del suo direttore”.
Daesh “segue un piano prestabilito con l’obbiettivo di impadronirsi di DerEzzor e di tutta la sua provincia. Vogliono costringere le forze siriane ad evacuare l’est della Siria, ciò che permetterà loro di impadronirsene. Una volta Daesh ben trincerato, gli Usa faranno entrare il loro contingente ‘kurdo’, altresì detto ‘forze democratiche siriane’, a riprendere Der EzZor”: è la valutazione dei comandi iraniani nella zona. E’ contro questi che l’aviazione turca (della NATO!) e quella di Mosca si oppongono con i bombardamenti di questi giorni. La firma è Cia, che ha rifornito di razzi anticarro bulgari via Arabia Saudita.
Tutti complici al Congresso
Inoltre, non solo la burocrazia di sicurezza e il complesso militare industriale, ma anche i due partiti al Congresso sono paranoicamente contrari ad una intesa con Putin sulla Siria (o altrove). Trump non può certo contare sul “suo” partito repubblicano . Nell’interrogatorio senatoriale dei ministri scelti dal presidente, si è visto Marco Rubio, stentoreo, chiedere al possibile segretario di Stato, Rex Tillerson, di condannare Putin come “criminale di guerra”. Sia detto ad onore dell’ex capo di Exxon, lui si è rifiutato di farlo; ma ha dovuto accettare che all’annessione della Crimea gli Usa dovevano rispondere con “proporzionata mostra di forza”. Il ministro della Difesa, generale “mad dog” Mattis, nell’audizione ha preso le distanze dalla linea Trump: “Dai tempi di Yalta, abbiamo tentato molte volte di impegnare positivamente la Russia; con pochi successi. Oggi, Putin tenta di rompere la NATO, dobbiamo prendere misure integrate, diplomatiche, economiche e militari, con i nostri alleati, per difenderci”. Mike Pompeo, che Trump ha scelto come direttore della Cia e che dovrebbe presiederne la riforma, durante l’audizione di conferma ha proclamato che la Russia “minaccia l’Europa” e, udite, che “non ha fatto niente” per eliminare Daesh in Medio Oriente. Ha anche assicurato che difenderà gli agenti Cia da ogni purga.
Se queste sono le posizioni dei “amici” di Trump, quelli che ha scelto come più vicini a sé, figurarsi gli altri. Il Center for New American Security pieno di Kagan e Kaplan, trova molte orecchie attente al suo progetto di continuare ad alimentare la guerriglia in Siria armando i terroristi “moderati”. McCain ha già dichiarato che si batterà fino alla morte per impedire l’accordo con la Russia.
Trump ha proprio tutto, ma tutto l’Establishment contro. Secondo Justin Raimondo (di Antiwar), dovrebbe fare quel che fece Mao Tse Tung per scatenare la rivoluzione culturale, ordinando alle giovani guardie rosse: “Bombardate il quartier generale!”, perché i nemici del regime erano al vertice del regime.
http://original.antiwar.com/justin/2017/01/22/trump-against-the-world/
Inaudito: Trump ha invitato i sindacati
Trump, va riconosciuto, non si lascia intimidire. Come primi atti presidenziali, ha cancellato il TPP (Trans-Pacific Partnership, il meccanismo di globalizzazione Usa-Asia), ha congelato tutte le assunzioni federali, ha tagliato i fondi alle organizzazioni “umanitarie” che promuovono e praticano gli aborti all’estero: sono tutti colpi di martello alle burocrazie globaliste e alla loro ideologia. Ha cancellato anche il Climate Change come tema politico: era un’arma potente della globalizzazione, implicando la presunta necessità di una “governante mondiale” delle emissioni di CO2…
E ieri ha computo un’azione inaudita: ha invitato i capi dei sindacati alla Casa Bianca. Da quanti decenni non avveniva? E’ almeno dai tempi di Ronald Reagan – il presidente che in nome del liberismo di mercato totale, stroncò i sindacati e li ha resi da allora entità marginali, senza forza alcuna, perché senza interlocutori istituzionali.
E’ un atto “da socialista”, sibileranno i repubblicani al Congresso, e il big-business delle multinazionali che li paga. Ed anche i democratici saranno inveleniti: i sindacati erano i gestori dei loro voti “sicuri”. Adesso sono tutti per “The Donald” il protezionista. C’erano i sindacati degli edili, dei metallurgici, dei carpentieri, degli idraulici-riparatori, la AFL-Cio (un tempo potentissimo) di antica memoria: con loro, Trump ha discusso di come ravvivare l’economia reale americana.
I sindacalisti sono usciti estasiati. Un incontro “incredibile”, hanno detto. Rich Trumka, il presidente dello AFL-Cio: “Oggi il presidente Trump ha ritirato gli Stati Uniti dalla Transpacific Partnership. Ha fatto il primo passo per aggiustare 30 anni di cattive politiche sindacali che son costati ai lavoratori americani milioni di lavori ben pagati. Da decenni siamo stati in prima linea per fermare accordi distruttivi come il TPP, il PNTR con la Cina, CAFTA, NAFTA. Milioni di lavoratori e lavoratrici hanno visto il loro lavoro sparire all’estero e minare l’industria manifatturiera. Aspettiamo con speranza l’incontro del presidente Trump con il presidente canadese Trudeau ed del Messico Enrique Pena Nieto il 31 per aprire un vero dialogo onde aggiustare il mal concepito NAFTA”.
Li ha conquistati, ovviamente. Sta pensando farne le sue guardie rosse per “bombardare il quartier generale”? Presto per dirlo.
Ma piaccia o no, il coraggio non glielo si può negare. Non so quanta fece dare ad una fonte russa, ma la riporto:
Il 18 gennaio, due giorni prima della inaugurazione, Vladimir Putin avrebbe ricevuto un messaggio da Trump: “Potrei non essere vivo da vedere la prossima settimana […] Se riesco, regolerò i conti con quei bastardi”.
A Putin: “Forse non vedrò la settimana prossima”
Non era un tweet. Secondo la fonte russa, il messaggio sarebbe stato passato, a Davos, dall’amico di Trump Anthony Scaramucci a Kirill Dmitriev, direttore del Fondo Russo d’Investimento Diretto, che l’ha fatto avere al Cremlino. Sempre secondo la fonte, Trump nel messaggio avrebbe ricopiato di sua mano due celebri storiche dichiarazioni:
“Avremo un governo mondiale, vi piaccia o no! Il solo dubbio, è se tale governo sarà stabilito per consenso o per conquista” (James Warburg, banchiere d’affari, al Senato, 17 febbraio 1950).
L’altra:
“Oggi il passaggio alla dittatura totale in Usa può procedere con mezzi strettamente legali[…] dentro il nostro governo e nostro sistema politico. Il ben organizzato gruppo di azione politica è fermamente puntato a distruggere la nostra Costituzione e instaurare uno stato a partito unico […] Agisce in segreto, silenziosamente e costantemente trasformando il nostro potere […] è la malattia del nostro secolo. Questo gruppo non obbedisce né al Presidente, né al Congresso, né ai tribunali. Non può quasi essere eliminato” (Senatore William Jenner, 1954).
Sono frasi ben note ai cultori delle teorie del complotto e alla cultura degli isolazionisti americani. Proprio per questo, vi prego di non credere che Trump abbia davvero mandato un messaggio del genere: sarebbe una figura eroica, che per di più sa benissimo chi sono i “bastards” con cui “regolare i conti”. Meglio pensare ad una “fake news”.