I robot ci ruberanno il lavoro? In un capitolo del libro “Umani e umanoidi” Roberto Cingolani e Giorgio Metta immaginano come sarà il nostro mondo fra 15-20 anni. Secondo questo racconto “di fantasia possibile”, come lo definiscono i due scienziati dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, fra poche decine di anni i robot saranno una costante di ogni momento della nostra vita. Ci sveglieranno la mattina, ci prepareranno la colazione, riordineranno casa, la sorveglieranno in nostra assenza, assisteranno i più anziani, accompagneranno i nostri figli a scuola, e li aiuteranno a fare i compiti, porteranno il cane a fare pipì, si prenderanno cura di noi quando ci ammaleremo.
Recentemente in Giappone ha aperto i battenti un hotel gestito da robot umanoidi. L’albergo è riuscito così ad abbattere i costi del personale e di conseguenza ad applicare tariffe più basse ai clienti. È solo un assaggio di quel mondo ipotizzato da Cingolani e Metta.
La Daimler invece ha iniziato a sperimentare in Nevada il primo camion capace di guidare da solo. Solo negli Stati Uniti gli autisti di camion sono attualmente 3 milioni.
Mentre Pepper, il robot di Aldebaran Robotics, ha cominciato a fare le prime esperienze come commesso di negozio. Softbank che commercializza Pepper in Giappone, ne ha già ideato una versione per le imprese. Si chiama Pepper for biz e per affittarlo nel Paese del Sol Levante basta una cifra corrispondente a circa 400 euro al mese, ben al di sotto della paga di un operaio in carne e ossa.
“I robot ruberanno il lavoro anche ai colletti bianchi”
Martin Ford, imprenditore della Silicon Valley, esperto di intelligenze artificiali, nel suo libro “Rise of Robots” sostiene che i robot, una volta ritenuti una minaccia solo per i lavori manuali, oggi devono essere considerati tali anche per colletti bianchi e professionisti. A cominciare da insegnanti, giornalisti, avvocati, impiegati del settore dei servizi.
I robot, dice in sostanza Ford, ci ruberanno il lavoro, non sono macchine che aumenteranno la produttività dei lavoratori ma li sostituiranno.
Non sappiamo se questa profezia si avvererà. Quello che sappiamo è che Martin Ford non è il solo a pensarla in questo modo. Uno studio recente sottolinea come di qua al 2025 i robot potrebbero sopprimere in Francia 3 milioni di posti di lavoro. Agricoltura, costruzioni, industria, settore alberghiero, pubblica amministrazione, esercito e polizia, sono alcuni dei settori che soffriranno di più. Tutti i comparti, secondo questo studio francese, potrebbero perdere occupati, fatta eccezione per formazione, sanità e cultura.
Ne sono convinti anche i ricercatori dell’Università di Oxford, che in un altro studio hanno evidenziato come il 47% di lavori e professioni saranno a rischio robotizzazione e automatizzazione nei prossimi anni, comprese le professioni legali, la contabilità, e molti altre professioni svolte da colletti bianchi.
Un’altra ricerca, di Nomura Research e dell’Università di Oxford, svela quali sono le dieci professioni che la robotica metterà più a rischio negli anni a venire. Tra questi ci sono lavori come quello di barista (Royal Caribbean ha già sperimentato robot barman a bordo delle sue navi da crociera) o di giornalista (ne parliamo anche nell’articolo: Robot giornalista: ecco la macchina che “fabbrica” articoli). Ma a essere interessati sarebbero anche artificieri, farmacisti, militari, cassieri di banca, magazzinieri.
“I robot libereranno la nostra creatività”
Chetan Dube, fondatore e CEO di IPsoft, ritiene che le infrastrutture IT delle aziende del futuro saranno gestite non da persone ma da sistemi intelligenti, lasciando liberi gli ingegneri di dedicarsi ad attività creative e all’innovazione.
Ipsoft ha creato, tra l’altro, Amelia, una interfaccia virtuale dalle sembianze di una donna, capace di capire cosa chiedono i clienti di una azienda quando chiamano per un servizio. A pochi anni dalla sua nascita la società ha aperto sedi in tutto il mondo.
Per saperne di più: Amelia robot, segretaria instancabile con un cervello artificiale
Recentemente Martijn Gribnau, un manager di Ipsoft, ha ribadito che le intelligenze artificiali, i robot, non ci ruberanno il lavoro. Non ci sostituiranno, ha sottolineato, ma ci aiuteranno a liberarci di compiti e funzioni noiose e ripetitive.
Per l’europarlamentare lussemburghese Mady Delvaux, relatrice di una risoluzione con la quale nel febbraio 2017 il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione una legge sui robot dell’Ue, “il futuro è una incognita”, probabilmente “rimarranno pochi posti di lavoro per chi non ha elevata formazione e qualificazione”. Per il resto è ipotizzabile, dice Delvaux, “una cooperazione” tra umani e automi. Per questo il Parlamento ha chiesto alla Commissione anche un esame sui lavori potenzialmente più a rischio, in cui le persone saranno sostituite dai robot.
Una nota positiva
Secondo l’IFR, l’International Federation of Robotics la robotica sarà il principale driver per la creazione di posti di lavoro nel mondo nei prossimi cinque anni. L’IFR cita uno studio del 2011 della società di ricerche di mercato Metra Martech, secondo cui a livello globale dai tre ai cinque milioni di posti di lavoro non esisterebbero se l’automazione e la robotica non fossero stati creati per la realizzazione di milioni di prodotti elettronici. Il report evidenzia anche come tra il 2000 e il 2008 il lavoro nel settore manifatturiero sia aumentato in ogni paese industrializzato anche se la diffusione dei robot è cresciuta fortemente.
Una posizione condivisa in un certo senso dall’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, secondo cui “la robotica più che sostituire l’uomo lo aiuterà nei lavori pesanti”, soprattutto se non più giovane. “Uomini e robot possono coesistere – sottolineano dalla Scuola Sant’Anna – se i robot restano uno strumento nelle mani dell’uomo”.
Robot, la grande incognita
In realtà non sappiamo se nei decenni a venire i robot distruggeranno veramente il mercato del lavoro così come siamo abituati a conoscerlo o “semplicemente” lo ridisegneranno. L’unica certezza è che dovremo prepararci a cambiamenti radicali nelle nostre vite, legate proprio alla “invasione” delle intelligenze artificiali.