di

Malachia Paperoga

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Nonostante la pretesa liberista dell’efficienza e autoregolamentazione dei mercati, tre recenti studi dimostrano che i mercati di norma sono truccati: favoriscono una ristretta élite che approfitta della possibilità di accedere a informazioni nascoste al pubblico a discapito di tutti gli altri. Se aggiungiamo che le ultime crisi globali hanno avuto origine proprio dagli squilibri dei mercati, risulta sempre più chiara la necessità che siano gli Stati a regolamentare e limitare con decisione l’invasività dei mercati per impedire ingiuste speculazioni e scongiurare i maggiori rischi di crisi sistemiche.

Di Zero Hedge

Tre nuovi paper scientifici recentemente pubblicati sembrano confermare quanto molti sostengono da anni: i “mercati efficienti” non solo sono inefficienti – da un punto di vista informativo – ma sono pure decisamente truccati. Dei tre paper, secondo l’Economist,  uno sostiene che gli Insider con gli agganci giusti hanno guadagnato perfino dalla crisi finanziaria, mentre gli altri due si spingono a suggerire che l’intero sistema di negoziazione delle azioni è truccato.

A differenza di quanto fanno solitamente coloro che denunciano i casi di insider trading – che richiedono di solito occasionali soffiate  e vaste, costose indagini, che comprendono l’esame di prove complesse provenienti da telefonate, e-mail o informatori muniti di apparecchi di registrazione – i paper fanno un uso originale di analisi schematiche su dati per scoprire che probabilmente l’insider trading è  molto diffuso, come riporta l’Economist.

“Questo approccio rappresenta un modo nuovo di analizzare il comportamento dei mercati finanziari. Inoltre, fa sorgere domande su come trattare questi comportamenti, dato che si tratta di comportamenti sistemici anziché limitati al singolo trader disonesto.”

Il primo paper parte dagli incontri privati tenuti durante la crisi tra funzionari del governo americano e istituzioni finanziarie. Come abbiamo qui discusso anni fa, allora non vennero resi pubblici i dettagli critici sul famigerato programma TARP (che guarda caso fu creato e amministrato dall’attuale presidente della FED di Minneapolis, Neel Kashkari, che paradossalmente continua furiosamente a denunciare i salvataggi di banche “Too big to fail”), in particolare quanti soldi sarebbero stati impiegati e come sarebbero stati allocati. Questi dettagli avevano un’importanza enorme, perché era in gioco la sopravvivenza stessa di alcune istituzioni; alla fine, furono impegnati centinaia di miliardi di dollari. In quel periodo, conoscere in anticipo la struttura e il campo di applicazione dei salvataggi  sarebbe stata un’informazione di importanza vitale per gli investitori.

“Il paper esamina il comportamento di 497 istituzioni finanziarie tra il 2005 e il 2011, prestando particolare attenzione agli individui che avevano lavorato in precedenza per il governo centrale, in istituzioni diverse compresa la Federal Reserve. Nei due anni precedenti il TARP,  queste persone non avevano dimostrato particolari capacità di trading e di orientarsi nei mercati. Ma nei nove mesi successivi all’annuncio del TARP, produssero risultati decisamente buoni. Il paper conclude che “degli insider con buone connessioni in politica hanno avuto un vantaggio informativo importante durante la crisi e l’hanno sfruttato sul mercato”.

Sembra quasi che la FED lavorasse segretamente con Wall Street per arricchire gli insider a spese della classe media…

Gli altri paper utilizzano dati dal 1999 al 2014 di Abel Noser – una ditta utilizzata dagli investitori istituzionali per tracciare i costi delle transazioni – che riguardano 300 broker, soffermandosi sui 30 più importanti attraverso i quali transitava circa l’80-85% dei flussi.

“Gli autori hanno trovato le prove che i grandi investitori fanno più trading nei periodi che precedono annunci importanti, il che è difficile da giustificare se non col fatto che possono avere accesso a informazioni particolarmente buone”.

I broker possono aver acquisito queste informazioni in parecchi modi, tra i quali il più innocente è che essi “diffondevano la notizia” che un loro particolare cliente volesse comprare o vendere un grosso numero di azioni al fine di creare un mercato, così come una casa d’aste potrebbe fare con un quadro. Ma è anche possibile – secondo il paper – ed è molto più probabile, che le banche dessero queste informazioni ai clienti più importanti per incrementare i propri affari. A riprova di questa tesi, è stato constatato che i gestori di asset di grandi dimensioni che utilizzano i propri broker affiliati non perdono denaro.

Come riassume l’Economist, “come risulta da queste scoperte, le grandi istituzioni possono essere sia i beneficiari che le vittime di questa sorta di fuga di informazioni. Ma in genere complessivamente ci guadagnano. I veri perdenti, conclude il paper, sono i clienti al dettaglio e i manager di piccoli asset”. E naturalmente il vasto pubblico degli investitori.

E la battuta finale:

“Tutti i paper hanno in comune il fatto di riconoscere che i pubblici mercati, come i complottisti sostengono da molto tempo, sono tutt’altro che pubblici” e che “cambiare la legge per correggere questa situazione potrebbe persino rivelarsi impossibile”.

Potremmo anche dire che, per ironia della sorte, la rivista che ha pubblicato il paper è per il 26% posseduta dalla famiglia Rothschild.

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I papers di cui sopra sono:

Political connections and the informativeness of insider tradesdi Alan D. Jagolinzer, Judge Business School, University of Cambridge; David F. Larcker, Graduate School of Business, Rock Center for Corporate Governance, Stanford University; Gaizka Ormazabal, IESE Business School, University of Navarra; Daniel J. Taylor, the Wharton School, University of Pennsylvania. Rock Center for Corporate Governance at Stanford University, Working Paper No. 222.

Brokers and order flow leakage: evidence from fire salesdi Andrea Barbon, Marco Di Maggio, Francesco Franzoni, Augustin Landler. National Bureau of Economist Research, Working Paper 24089, December, 2017

The Relevance of Broker Networks for Information Diffusion in the Stock Market” di Marco Di Maggio, Francesco Franzoni, Amir Kermani and Carlo Summavilla. NBER Working Paper, No 23522, June, 2017.

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