Due abitanti di Claviere raccontano i loro incontri con i militari: “Ci hanno intimato di stare zitti”. La procura ha aperto un fascicolo
di
MASSIMILIANO PEGGIO
«Stavo passeggiando con il mio cane nella frazione di Gimont, sopra Claviere. Si è allontanato un po’, inoltrandosi in una zona impervia, fiutando qualcosa. Non vedendolo tornare, sono andato a cercarlo, preoccupato. Di colpo, dalla boscaglia, sono sbucati quattro militari francesi in mimetica scura e sulla faccia dei passamontagna neri da corpi speciali. Avevano fucili mitragliatori in mano. Ho detto loro di abbassarli, perché continuavano a puntarmeli contro. Mi hanno restituito il cane. Uno ha cercato di dire qualcosa in italiano stentato, mentre mi prendeva la carta d’identità. Io ho risposto in francese. A quel punto mi hanno invitato ad andare via e far finta di niente. Mi hanno detto di stare zitto e di stare attento, perché dal mio documento avevano visto dove abito. Mi sono spaventato. Da quel giorno non vado più a passeggiare lassù. E dire che quei boschi sono territorio italiano, non francese».
È il racconto del signor F. commerciante di Claviere. È ancora così turbato da quell’episodio che ha chiesto di non svelare il suo nome. «La prego, non lo scriva. Non mi sento al sicuro». Lui è uno dei due cittadini italiani che nei primi giorni dell’agosto scorso hanno denunciato ai carabinieri di Susa «gli incontri ravvicinati» con una pattuglia di militari francesi in territorio italiano. Due episodi in momenti differenti. L’altro denunciante è uno studente quindicenne, anche lui di Claviere. Stava percorrendo i sentieri in moto per raggiungere una località boschiva sopra Claviere. A più di due chilometri dal confine con la Francia. «Quattro militari armati mi hanno sbarrato la strada. Erano francesi perché avevano i fucili d’assalto Famas. Li conosco bene perché sono appassionato di armi». Stesso tipo di racconto, il suo. Quattro militari in mimetica. I volti dipinti con i colori da «camouflage», per mimetizzarsi nella boscaglia. Anche in questo caso i militari avrebbero «minacciato» il giovane con frasi d’effetto. Per invitare al silenzio e non fare menzione di quell’incontro. «Mi hanno detto di stare zitto, perché avevano preso il numero di targa della moto».
I due episodi sono stati resi noti il 16 ottobre scorso dal procuratore Spataro. C’è un fascicolo d’indagine. Al momenti senza indagati e senza ipotesi di reato. Il due racconti sono netti, precisi. «Erano militari francesi». Non avevano mostrine né identificativi. «Ma erano armati e i fucili erano veri». E soprattutto entrambi sono concordi nell’affermare che si trovassero ben lontani dal confine francese.
Chi conosce bene quelle zone dice che è facile perdere i punti di riferimento, confondendo le linee di confine. Dove un tempo c’era il filo spinato, oggi si incontra qualche pietra di demarcazione. A volte distano centinaia di metri l’una dall’altra. I villeggianti che si avventurano tra i boschi e i prati che in inverno diventano piste da sci a volte non si accorgono di passare oltre il confine. Ma per militari esperti no. Sapersi orientare è uno dei principali requisiti. E l’estate scorsa c’erano molti militari francesi sulle vette d’Oltrape a presidiare i confini per respingere i migranti.