DI
MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Un giorno di fine settembre di quest’anno ero a colazione da Beppe Grillo nella sua bella casa di Sant’Ilario, sopra Genova, da cui, nelle giornate limpide, si domina tutto il Golfo, da Spezia fino alla costa francese. Beppe mi faceva vedere, sotto, il braccio di mare in cui si allena, nuotando, anda e rianda, per circa un chilometro. Ma la traversata dello Stretto di Messina era ancora di là da venire. Si parlava, oltre che di cose che con la politica non c’entrano niente, delle elezioni amministrative del maggio precedente. “Tu hai salvato il sistema dei partiti e la finzione democratica” gli dicevo. “Perché?”.
"Perchè se il movimento 5 Stelle non si fosse presentato, quelli che l’hanno votato avrebbero disertato le urne e ci sarebbe stata un’astensione vicina al 50% che avrebbe re-so evidente che un italiano su due non crede più alla democrazia rappresentativa”.
L’argomento vale, a maggior ragione, dopo le elezioni re- gionali siciliane se a un’asten- sione enorme (quasi il 53%) mai raggiunta in Italia, si aggiunge il 18% dei voti presi da Grillo e i suoi che sono innanzitutto, anche se non esclusivamente, voti contro la democrazia partitocratica.
La somma dice che due siciliani su tre hanno voltato le spalle alla democrazia rappresentativa, ai partiti e il dato si proietta, legittimamente, sulle prossime elezioni politiche di aprile (l’astensionismo siciliano è sempre stato, più o meno, nella media nazionale).
Se questo avverrà (è anzi molto probabile che l’astensionismo cresca ancora, per- ché negli ultimi anni è sem- pre andato aumentando) i partiti cosiddetti tradizionali si troveranno a spartirsi un 30% del parterre elettorale. Potranno avere ancora, formalmente, percentuali roboanti (come il 30,5% del Pd-Udc in Sicilia) ma in realtà inesistenti perché calcolate solo su un terzo degli italiani con diritto di voto. E se a que- sto già magro bottino sottraessimo i voti degli apparati, dei clientes, di coloro la cui sussistenza dipende direttamente dalla fidelizzazione a una forza politica, i voti obbligati insomma, vedremmo che il voto vero, il voto libero, non esiste praticamente più se non nelle forme del non-voto, cioè dell’astensione.
La verità è che i partiti sono finiti. Esistono ancora, per il momento, nei talk-show e nel girotondo mediatico, che da loro dipende, dove i loro uomini si comportano come se fossero i padroni del va- pore, tracciano strategie per il futuro, intessono alleanze, si propongono di cambiar nome, e faccia, di allargare il proprio elettorato quando non esiste più un elettorato, battibeccano sconciamente fra di loro somigliando molto ai polli di Renzo che si beccavano furiosamente l’un l’altro senza rendersi conto che sarebbero finiti, di lì a poco, nella padella dell’Azzeccagarbugli. Vivono nel virtuale. Con le elezioni di aprile questa farsesca rappresentazione di un potere che non hanno più, di una credibilità che hanno perso per strada, una lunga strada, durata 30 anni di abusi, di soprusi, di pre- potenze, di malversazioni, di ruberie, di grassazioni volgari da domestiche infedeli, finirà. Realizzando quello che in un preveggente pamphlet di Simone Weil del 1943 era ancora un wishful thinking e che era intitolato "Manifesto per la soppressione dei partiti politici".
Massimo Fini
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