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“Pochi sono grandi abbastanza da poter cambiare il corso della storia. Ma ciascuno di noi può cambiare una piccola parte delle cose, e con la somma di tutte quelle azioni verrà scritta la storia di questa generazione” – Robert Francis Kennedy
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Vale la pena di ricordare una frase emblematica, pronunciata da Kennedy poco prima di candidarsi: “Soltanto i poteri di un presidente permetteranno un giorno di rivelare al mondo la verità sull’assassinio di mio fratello.” E’ chiaro quindi che la sua morte deve aver giovato sia chi ha poi vinto quelle elezioni, sia chi nel passato aveva tramato per la morte del fratello. Sempre che non si trattasse della stessa persona.
“Il coraggio morale è ancora più raro e prezioso del coraggio in battaglia, o di una grande intelligenza. Ma è una dote assolutamente indispensabile per chi voglia cambiare un mondo che accetta così faticosamente il cambiamento. Ogni volta che una persona si batte per un’idea, agisce nell’intento di migliorare la situazione degli altri, o si scaglia contro un’ ingiustizia, mette in moto sottili rivoli di speranza che, convergendo da mille sorgenti di energia e di coraggio, vanno a formare una corrente in grado di travolgere il più poderoso muro di oppressione e resistenza” – RFK
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IL FATTO
Mentre procedono, Kennedy risponde alle domande di un giornalista, che sta trasmettendo via radio, senza saperlo, gli ultimi istanti della sua vita (l’audio/video a fine pagina, sottotitolato in italiano). Una volta nelle cucine, Kennedy si ferma a stringere la mano a camerieri e cuochi che lo festeggiano. L’ultimo a farlo è un bus-boy di 18 anni, John Romero, che resterà immortalato con lo sguardo fisso nel vuoto, accanto al Senatore morente.
Dalla registrazione dell’intervista in corso, si sente con chiarezza solo il primo colpo, e forse il secondo sovrapposto (subito dopo la parola “camouflage”), poi le urla dei presenti coprono tutto ciò che accade. Nel parapiglia risulteranno ferite 5 altre persone: Ira Goldstein, che ha ricevuto due colpi (uno gli ha attraversato il pantalone, senza ferirlo, l’altro l’ha colpito alla natica), Paul Schrade (che si trovava immediatamente dietro a Kennedy, e ha ricevuto una pallottola in testa), William Weisel, Richard Lubic ed Elizabeth Evans, anche lei colpita alla testa ma, come gli altri quattro, miracolosamente sopravvissuta.
Sembrò a tutti un caso chiuso.
Ma se si prova a fare il conteggio dei proiettili, scopriamo che dovremmo averne quattro per Kennedy, due per Goldstein, e uno ciascuno per gli altri quattro feriti, il che porta ad un totale di dieci proiettili, quando la pistola di Shiran – ammesso e non concesso che li abbia sparati tutti – poteva contenerne soltanto otto.
Decisamente troppi per il solo Shiran.
Di fronte alla necessità di scovare un secondo sparatore – e quindi di ammettere anche una “cospirazione” – inizia a questo punto, nella versione ufficiale della polizia, un balletto di proiettili di fronte al quale il famoso “magic bullet” di Dallas è una certezza statistica inconfutabile.
Qui infatti l’unico modo per fare tutti quei danni con otto proiettili è che a) il proiettile che ha forato la giacca di Kennedy sotto l’ascella, abbia poi compiuto una deviazione di 80 gradi verso l’alto, per colpire la testa di Shrade che era subito dietro di lui (non a caso Paul Schrade, che non è mai stato indennizzato, è stato fra i più instancabili nel chiedere una riapertura del caso). Che b) il proiettile che ha colpito il pantalone di Ira Goldman dal davanti sia poi rimbalzato su una piastrella dietro di lui, per rientrargli nella natica in direzione opposta, ma soprattutto che c) un colpo imprecisato abbia subito anch’esso una deviazione verso l’alto di 90 gradi, per forare il pannello del soffitto sopra Kennedy, rimbalzare su “qualcosa” di non meglio indentificato nell’interstizio, tornare indietro praticando un secondo foro accanto al primo, e ferire infine Kennedy dall’alto. Insomma, una specie di cartone animato, in cui le pallottole instancabili rimbalzano dappertutto, mentre nessuno riesce a impedire a Shiran di sparare nemmeno uno degli otto colpi che aveva in canna.
Ci si domanderà a questo punto come sia stato possibile condannare il solo Shiran, di fronte ad una contraddizione matematica così lampante.
IL PROCESSO
La risposta è che tutte queste informazioni non arrivarono mai alla giuria. Non dimentichiamo che nel sistema americano il giudice ha enormi poteri nel condurre il processo a suo piacimento, e questo ovviamente torna molto comodo nell’ipotesi di una cospirazione. Inoltre, l’avvocato d’ufficio di Shiran, che fu scelto dallo stesso giudice, mostrò una scarsissima predilezione per il semplice calcolo aritmetico, preferendo concentrare tutti i suoi sforzi per far apparire Shiran come uno psicopatico. Ciò appariva ai giurati come un nobile tentativo per alleviarne i termini di una condanna ormai sicura, ma in realtà sviava radicalmente il processo da quello che avrebbe dovuto essere il suo corso naturale. Vi fu poi un grosso “intoppo procedurale”, come già detto, per cui la giuria non potette nemmeno vedere l’autopsia sul corpo di Kennedy, che avrebbe smentito in pieno – come vedremo in seguito – la versione ufficiale dei fatti.
A questa procedura chiaramente deformata, si aggiunga il fatto che tutti gli elementi rimossi dal luogo del delitto (lo stipite della porta, i pannelli del soffitto, e la pistola stessa di Shiran) o “andarono perduti” dopo il processo, oppure “furono buttati via” dalla polizia di Los Angeles, perchè “occupavano spazio inutilmente”. Che nessuno si sognasse mai, in altre parole, di riaprire un caso chiuso così abilmente sotto gli occhi di tutti.
(Sorte simile era toccata agli appunti di 7 ore di interrogatorio a Lee Harvey Oswald, che furono “buttati via” dalla polizia di Dallas, subito dopo la sua morte, perchè “tanto era chiaro che era stato lui.” Strano paese, dove ti registrano su nastro persino la deposizione per una multa non pagata, ma poi se ammazzano il presidente buttano via tutto quello che ha detto l’assassino).
“Pochi sono disposti a sfidare la disapprovazione dei compagni, la critica dei colleghi, e la rabbia della società, in nome della semplice verità.” – RFK
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IL CORONER DELLE CELEBRITA’
La differenza fra Noguchi e gli altri coroners sta nell’approccio globale con cui affronta i casi a lui affidati. Noguchi non esamina semplicemente il cadavere sul tavolo della morgue, ma vuole arrivare a “ricollocarlo” (idealmente, s’intende) nella precisa dinamica dell’azione. E’ quindi in realtà un investigatore a sè stante, che tende ad integrare le osservazioni sul cadavere con i rilevamenti sul luogo del delitto. (Ad esempio: muovendo nelle varie posizioni il braccio destro di Kennedy, Noguchi notò che solo ad una certa angolazione il foro di entrata di un proiettile sotto l’ascella risultava perfettamente rotondo. Grazie a questo dedusse che quel colpo poteva essere giunto solo quando il Senatore aveva già alzato il braccio davanti a sè, arrivando a stabilire con precisione in che punto della sequenza fosse partito quel colpo).
Purtroppo il suo metodo, invece di venire apprezzato per l’evidente contributo che può dare alle indagni, è stato spesso osteggiato dalla polizia di Los Angeles, che ha sempre visto in Noguchi un personaggio troppo ingombrante e difficile da controllare. E avevano tutt’altro che torto.
Tutto questo ha da sempre tagliato le gambe in partenza ad un’eventuale riapertura del processo: oggi di quegli elementi esistono solo le fotografie pubblicate in questa pagina, e poche altre.
Nove anni dopo però l’FBI fu costretta ad entrare in gioco, quando il giudice indipendente Thomas Kranz fu incaricato dal procuratore della Contea di Los Angeles di una revisione del caso, in seguito alle montanti proteste da parte di un numero crescente di voci pubbliche, a cui stava a cuore la verità. Il rapporto fu il solito atto di equilibrismo verbale – molto simile a quello della commissione HSCA nel caso JFK – che tendeva a ristabilire almeno una parte di verità, per accontentare le voci più esigenti, senza per questo smentire pubblicamente le stesse autorità che avevano agito inizialmente per coprirla del tutto.
IL RAPPORTO KRANZ
Ecco cosa dice, in sintesi, il passaggio sopra citato (che compare a pagina 7 del I Volume): il colpo mortale (3, nello schema di Noguchi a sx.) ha penetrato il cranio dietro all’orecchio destro, frantumandosi poi al suo interno. Bruciature di polvere da sparo sull’orecchio indicano che il colpo è stato sparato da circa 3-4 cm. di distanza. (Tutti i presenti hanno testimoniato che Shiran non si è mai avvicinato a meno di un metro da Kennedy).
Altri due colpi sono penetrati accanto alla scapola e sotto l’ascella destra (il primo si è piantato nelle vertebre cervicali di Kennedy, il secondo è fuoriuscito all’altezza della spalla). A destra vedete la giacca di Kennedy, con i fori di entrata e uscita del colpo n. 2. Anche questi colpi risultarono sparati da distanza ravvicinata. |
Che Shiran sia stato il classico “patsy” della situazione è evidente almeno quanto il fatto che non possa aver fatto tutti quei disastri da solo. A conferma di ciò, notiamo la “solita” fantasia sfrenata della polizia (sempre dal rapporto Kranz, sotto), che per rafforzare la colpevolezza di Shiran non ha trovato di meglio che scoprire, nel cruscotto della sua macchina, un biglietto da visita e una ricevuta, datata pochi giorni prima, per l’acquisto di munizioni per una calibro .22. Per un totale di 200 proiettili, più altri proiettili sparsi un pò dappertutto, e scatole vuote sempre per proiettili rigorosamente di quel calibro. A questo si aggiunga la testimonianza di una persona che avrebbe udito Shiran dire a voce alta, mentre li acquistava, “mi raccomando, mi dia dei proiettili di quelli che non fanno mai cilecca, è importante che questi non facciano assolutamente cilecca”.
Come dire, quando il troppo storpia. Anche Oswald si era dimenticato di buttare via la ricevuta con cui avrebbe acquistato il fucile di Dallas, così come fece Timothy Mc Veigh con la ricevuta per i composti chimici che avrebbe usato per fabbricarsi la bomba di Oklahoma City. (Noi invece siamo più sofisticati, e abbiamo gli anarchici che prendono il taxi per fare cento metri, con la bomba già innescata nella borsa, pur di farsi riconoscere dal taxista subito dopo la strage).
Vi è però una cosa che non si è ancora riuscito a capire di Shiran, e cioè la misura esatta del suo coinvolgimento nell’attentato, poichè di fatto tutti lo videro sparare a Kennedy col chiaro intento di ucciderlo.
Negli anni si sono venute accavallando le tesi più fantasiose, arrivando anche ad ipotizzare una specie di “Manchurian Candidate” programmato per uccidere e poi dimenticare tutto. Ma anche se non a quei livelli, qualcosa del genere deve essere successo, poichè lo stesso Shiran sostiene, a tutt’oggi, di non ricordare assolutamente nulla di quei momenti. Conserva un buco di memoria totale, che va dall’ingresso nell’albergo, fino al “risveglio” nella macchina della polizia.
Egli stesso si dice convinto di essere stato vittima di una macchinazione in cui, dopo averlo condizionato mentalmente, l’avrebbero drogato perchè arrivasse a commettere l’omicidio in uno stato di tale confusione mentale da non registrare nemmeno gli eventi di cui era protagonista. In effetti Shiran fu visto bere, poco prima dell’omicidio, un vistosissimo intruglio alcolico, per quanto tutti sappiano che fosse astemio sin dalla nascita.
Shiran inoltre non aveva un solo precedente penale, non aveva motivi particolari per uccidere Kenendy (anzi, disse che intendeva votare per lui alle presidenziali), ed è sempre stato un detenuto modello, nei quasi 40 anni trascorsi in prigione. (Inizialmente Shiran fu condannato a morte, ma nel 1978 la sentenza fu commutata in ergastolo, quando la California abolì la pena capitale).
Su sua richiesta, Shiran si è anche sottoposto ad una seduta ipnotica, per cercare di ritrovare nella memoria qualche fotogramma di quegli istanti fatali. Ma mentre alla domanda “parlami di Bob Kennedy”, Shiran reagiva scrivendo ripetutamente “Bob Kennedy deve morire”, alla domanda “chi ha ucciso Bob Kennedy” dall’incoscio di Shiran è emerso un disarmante “Non lo so, non lo so, non lo so”.
Ecco un dettaglio delle note, scritte sotto ipnosi, in cui Shiran ripete ossessivamente “Robert Kennedy must die”, “Robert Kennedy must be assassinated” (Robert Kennedy deve morire, Robert Kennedy deve essere assassinato). Verso la fine compare anche, cerchiato, un “prima del 5 Giugno 1968”.
Il fratello e l’attuale avvocato di Shiran, Lawrence Teeter, non hanno ancora perso tutte le speranze per far riaprire il processo, anche se non si rischia molto a scommettere che questo non avverrà mai. Per chi fosse interessato all’attuale status legale, questo è il sito ufficiale del difensore di Shiran.
THANE EUGENE CESAR Molto meno rumore ha fatto invece la storia di Thane Cesar, l’uomo verso il quale puntano il dito tutti gli indizi emersi finora. Presto scomparso nel nulla, fu lo stesso capo della polizia di Los Angeles a suggerire a Kennedy questa guardia del corpo privata, dopo che una delle sue aveva improvvisamente dato forfait per la serata all’Ambassador. Thane Cesar risultò poi essere un fervente sostenitore di George Wallace, il governatore del Texas a sua volta candidato presidenziale di quell’anno per l’estrema destra. Un dichiarato sostenitore del Ku-Klux-Klan, Wallace, che combatteva praticamente ogni riforma propugnata da Kennedy, sarebbe finito a sua volta su una sedia rotelle, nel 1972, in seguito ad un attentato. (L’elezione del 1968 fu poi vinta da Nixon, contro Wallace appunto, e contro Hubert Humphrey, il candidato democratico che Kennedy aveva appena sconfitto nelle primarie, e che era rientrato in lizza dopo l’assassinio).
Notiamo inoltre come la società di detectives che aveva fornito le prestazioni di Cesar a Kennedy, la Ace Security, fosse di proprietà della Lockeed Corporation, un ambiente tutt’altro che “liberal” dal punto di vista ideologico. Stupisce infatti che nell’entourage di Kennedy non abbiano pensato di rivolgersi a organizzazioni più “amiche”, nell’affrontare il delicato problema della sostituzione. Ma non va dimenticato che fu proprio Bill Barry, la prima guardia del corpo di Kennedy, a suggerire all’ultimo momento la deviazione attraverso le cucine dell’Ambassador (dove si trovava Shiran in attesa), e che lui stesso poi “non riuscì” ad essere accanto all’uomo che doveva proteggere, nel momento del bisogno.
LA TESI PIU’ ACCREDITATA Thane invece marciava immediatamente alla destra di Kennedy, e lo tirò a terra “per proteggerlo” – come da manuale – immediatamente dopo i primi spari. E’ quindi l’unico ad aver potuto sparare a Kennedy da dietro, a bruciapelo e verso l’alto, e fu anche l’unico a farsi ritrovare con una pistola in mano, alla fine della sparatoria. Non disse però se la pistola avesse sparato o meno, e nessuno si preoccupò mai di chiederglielo. E nonostante questa fosse una calibro .22 – esattamente come quella di Shiran – non fu mai esaminata al processo, e scomparve poi nel nulla, insieme agli altri mille elementi “scomodi” sequestrati dalla polizia di Los Angeles. Stessa fine fece la pistola di Shiran, a causa di una “confusione fra due buste”, in cui fu gettata naturalmente quella sbagliata. C’è infatti chi ha suggerito che la pistola di Shiran fosse caricata a salve (nel qual caso basterebbe un rapido esame per scoprirlo), per evitare di ferire Thane Cesar mentre svolgeva il suo lavoro, coperto dalle urla e dai suoi colpi a vuoto. Questo sarebbe possibile, nonostante gli 11 colpi (che a sua volta non può aver sparato Thane da solo), se si considerano due testimonainze colte sul momento, ma poi significativamente ignorate dal giudice al processo: una certa Lisa Urso disse di aver notato, subito dopo la sparatoria, un uomo biondo, vestito di grigio, che riponeva la pistola in una fondina, mentre un altro testimone disse di aver visto un uomo coi capelli scuri, vestito di scuro, sparare due colpi e allontanarsi in fretta dalla cucina. (Con Thane, e forse altri, che sparavano a Kennedy da dietro, diventa anche pù facile spiegare il colpo ricevuto nella natica da Ira Goldsten, che invece prima obbligava a suggerire un improbabile “rimbalzo su una piastrella alle sue spalle”).
Qualunque sia stata la dinamica effettiva dell’omicidio, è chiaro che ruota tutta intorno a Thane Cesar, ed alla sua posizione privilegiata al fianco di Kennedy.
A destra vedete una foto emblematica, che ritrae proprio Thane Cesar accanto a Shiran, subito dopo l’attentato. Sarebbe interessante conoscere i loro rispettivi pensieri in quel preciso momento. (Per non pensare alla faccia che avrebbero fatto i due uomini sulla destra, se gli avessero detto che l’assassino di Kennedy non è quello che tengono fermo, ma quello accanto, in divisa, che li sta aiutando a farlo).
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CONCLUSIONE
Sta di fatto che la morte di Bob Kennedy aprì la strada ad un periodo di predominio della destra repubblicana – guerrafondaia, razzista e restauratrice – che iniziò con Nixon e si protrasse, fatto salvo per la parentesi Carter 1976-80, attraverso lo stesso Nixon, rieletto nel ’72, Jerry Ford che ne completò il mandato (in seguito a Watergate), Ronald Reagan, che stravinse sia nel 1980 che nel 1984, e George H. Bush, che vinse nell’88, pur perdendo contro Clinton, nel 1992.
Se poi si considera l’intero periodo post-bellico, le presidenze Kennedy-Johnson, Carter e Clinton appaiono in realtà come piccole “macchie” democratiche in un arco compatto di predominio repubblicano, che iniziò con Eisenhower, passò per il periodo sopra descritto, e riprese infine, dopo gli 8 anni di Clinton, con le due vittorie consecutive dell’attuale presidente George W. Bush (2000 e 2004).
Solo 20 anni su 56 di Casa Bianca, da Eisenhower ad oggi, sono sfuggiti al controllo dei grandi gruppi di potere rappresentati dal partito repubblicano.
In questo senso il 1968 fu un anno cruciale per la storia americana, con la drammatica escalation in Vietnam (a cui Kennedy avrebbe immediatamente posto fine), e l’esplosione contemporanea dei movimenti giovanili e di quelli per i diritti civili, che lo stesso Kennedy e Martin Luther King rischiavano di unificare in una miscela inarrestabile di rinnovamento, se il giovane Senatore avesse conquistato la presidenza (non è escluso che intendesse scegliere proprio King come vicepresidente). Un’ipotesi evidentemente inaccettabile, per chi decise prima di far uccidere Martin Luther King, nell’Aprile di quell’anno (v. video, sotto), e poi determinò che in ogni caso Robert Kennedy non dovesse arrivare vivo alle elezioni del Novembre 1968.
Chiunque sia stato costui, di certo non fu Shiran Bishara Shiran.
Fonti:
The Assassination of Robert F. Kennedy, di Jon Christian e William Turner
The Second Gun Expose, di Ted Charach
University of Massachussets RFK Archives
IL PRODOTTO NAZIONALE LORDO – SECONDO BOB KENNEDY
“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo. Il prodotto nazionale lordo comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il prodotto nazionale lordo mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la morte della fauna nel Lago Superiore. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, e comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica. [Siamo nel 1968 – ndr]
Il prodotto nazionale lordo si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte nelle nostre città, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
E se il prodotto nazionale lordo comprende tutto questo, non calcola però molte altre cose. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. E’ indifferente alla decenza del luogo di lavoro o alla sicurezza nelle nostre strade. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il prodotto nazionale lordo non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”
Robert Francis Kennedy
http://www.luogocomune.net/site/modules/sections/index.php?artid=2&op=viewarticle