Fonte: articolotre.com
–Redazione– -1 maggio 2013- La chiave potrebbe essere nella pistola. Quella Beretta calibro 7.65 che Luigi Preiti ha estratto di fronte a Palazzo Chigi, prima di ferire i due carabinieri Francesco Negri e Giuseppe Giangrande. Ed è per questo che la Procura romana ha affidato ai Ris un accertamento urgente sull’arma, quantomeno per far luce sugli angoli più oscuri del racconto dell’attentatore.
Il resoconto di Preiti, infatti, non quadra. Ai pm ha spiegato di aver acquistato illegalmente l’arma all’angiporto di Genova, quattro anni fa. Ma non sa raccontare altro al riguardo e, cosa ben più rilevante, su quella Beretta vi sono i chiari segni di un’abrasione, che ne ha cancellato il numero di matricola. Il sospetto, dunque, è che provenga dal supermarket della armi ‘ndranghetiste e che sia già stata usata in passato per altri reati. In ogni caso, Preiti, che non ha il porto d’armi, dovrà spiegare come abbia imparato ad utilizzarla da solo, riuscendo a raggiungere livelli di precisione impensabili per un autodidatta.
Intanto gli investigatori si concentrano sul passato dell’uomo che, dopo essersi separato dalla moglie, con cui viveva in Piemonte, è tornato a vivere a Rosarno. La cittadina calabrese che il procuratore capo di Roma Pignatone ha descritto impietosamente, facendo riferimento all’alto tasso di criminalità organizzata lì radicato. Da questi presupposti è stato un passo fin troppo breve scoprire di persone vicine a Preiti “viste in compagnia” di boss locali.
E poi c’è quella passione per i videopoker, uno dei business maggiormente redditizi per la ‘ndrangheta, e i debiti, che però l’attentatore nega. Tracce labili, che potrebbero voler dire tutto o niente; in molti si domandano se non siano semplicemente ipotesi scaturite dal pregiudizio della Calabria culla di mafiosi.
A queste, però, si aggiunge anche la lucida e agghiacciante riflessione del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, il quale, intervistato da Mediterranews, parla chiaramente di un attentato gestito dalla mafia, un’azione prepianificata per la quale ci si è avvalsi di un uomo “pulito”, senza precedenti penali, per far percepire a Roma che la ‘ndrangheta ancora c’è.
Per l’ex boss, il piano delle cosche sarebbe stato quello di utilizzare Preiti, un cosiddetto “colpo riservato”, incensurato e insospettabile, come vittima sacrificale: una volta aperto il fuoco di fronte a Palazzo Chigi, sarebbe dovuto morire sotto i colpi di difesa delle forze dell’ordine. In quel modo non solo avrebbe dato un segnale forte alle istituzioni, ma pure avrebbe salvato i parenti dalla morsa dei debiti. Secondo il pentito, infatti, le ‘ndrine potrebbero aver offerto, in cambio del sacrificio, il saldo e l’onore per la famiglia.
Concentrandosi sulla pistola, Bonaventura continua, spiegando che l’arma è una di quelle preferite dalla ‘ndrangheta, facilmente reperibile e che raramente dà problemi. Un’arma che al mercato nero viene a costare intorno ai 1.200-1.300 euro. Poi, considerato lo stato di crisi finanziaria in cui riversava Preiti, il pentito solleva un dubbio sulla Beretta: “Anche se la possedeva da diversi anni l’avrebbe venduta, un’arma in mano vale come l’oro.” E ancora: “Le brave persone hanno le armi? Le comprano al mercato nero? Se uno è disperato come fa ad avere quei soldi?”
“Palazzo Chigi, Palazzo Colonna, la notizia fa il giro del mondo; secondo me fa tutto parte di quella famosa strategia del terrore di cui ho parlato anche ai magistrati”, ha concluso il pentito “Purtroppo dovremo abituarci a nuove raffinate strategie che non sempre saranno facilmente comprensibili.”