DI
VALENTIN KATASONOV
strategic-culture.org
Gli avvoltoi finanziari sono una particolare categoria di possessori di titoli di debito (debt holders) nei paesi alle periferie del capitalismo globale. Innanzi tutto, sono holders che possiedono solo una piccola percentuale del debito sovrano di un paese. In secondo luogo, essi sono per lo più holders secondari, il che significa che acquistano titoli dai creditori originali. In più godono del sostegno non ufficiale delle corti occidentali. Infine, sono i fondi speculativi a giocare il ruolo di avvoltoi. Le altre istituzioni si astengono da saccheggi finanziari così ovvi, nel timore di rovinarsi la reputazione.
Il fondatore iniziale dei “fondi avvoltoio” specializzato nei debiti sovrani si crede che sia Paul Singer, un miliardario americano di New York. Nel 1977 creò il fondo di investimento Elliot Associates, che riuscì a derubare diverse nazioni povere. Al momento, ci sono almeno 40 cause intentate da nei tribunali da “fondi avvoltoio” nei confronti dei paesi nelle periferie del capitalismo globale. Sono riusciti a strizzare un gran numero di paesi e ricavarci somme considerevoli. Secondo un rapporto del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e della World Bank, almeno 11 paesi in via di sviluppo sono diventate vittime degli avvoltoi finanziari specializzati nei debiti sovrani.
Avvoltoi in America Latina
Si ritiene che lo sviluppo di tecniche di saccheggio finanziario, incluse quelle relative al debito sovrano iniziò in America Latina. Negli anni ’90 gli avvoltoi puntarono il Brasile e il Perù. L’ assalto al Brasile fu organizzato dal rinomato speculatore Kenneth Dart. Nel 1992 Dart iniziò a comprare il debito estero del Brasile al 24-40 % del suo valore nominale. Dopo aver acquistato approssimativamente il 4 % del debito statale (35 miliardi di dollari USA) per 375 milioni di dollari, divenne il più grande creditore privato del Brasile. Tanto per cominciare, lo stato non aveva idea di con chi avesse a che fare, e vide il finanziatore quasi come un benefattore. Dopo un anno, comunque, Dart tirò fuori i denti quando iniziò a dialogare con gli investitori a proposito di una riorganizzazione del debito estero. Tutti gli investitori approvarono l’idea eccetto Dart. Kenneth Dart si scoprì essere la persona che era riuscita a ricattare un intero governo –il piano di riorganizzazione non poteva andare avanti senza di lui. Citicorp, Citibank, Banco di Brasil e altri investitori provarono a convincerlo, ma senza successo. William Rhodes, vicepresidente della Citicorp, si incontrò segretamente con Dart in una pista d’ atterraggio privata, a New York, per convincerlo a lasciare il Brasile da solo. Ancora nessun risultato. Alla fine il governo del Brasile fu costretto a prendere un accordo in segreto con Dart, ed offrirgli condizioni insolitamente vantaggiose. Dart sentiva già di aver messo il paese all’angolo, e chiese ancora di più. Il risultato fu che il Brasile rischiò il tutto per tutto e riorganizzò il suo debito estero indipendentemente da Dart. In principio aveva già fatto abbastanza soldi durante il processo di riorganizzazione dal momento che ricevette più denaro di quanto ne avesse spesi per comprare i titoli sul mercato secondario. Dart intentò comunque una causa chiedendo che il governo brasiliano pagasse 1,4 miliardi di dollari statunitensi come risarcimento. Dart fu in causa con il Brasile per più di due anni, e nel 1992 gli fu concesso il risarcimento, sebbene fosse significativamente meno di quanto avesse chiesto. Ci sono voci secondo le quali attualmente Dart stia puntando sull’ Ecuador.
Circa nello stesso momento in cui il Brasile veniva depredato da Dart, il già menzionato Paul Singer agiva ai danni del Perù tramite il suo fondo di investimento Elliot Associates. Nel 1996 comprò i titoli di debito peruviani ad un valore nominale di 20 milioni di USD (dollari statunitensi) per un totale di 11 milioni. Successivamente, minacciò di bancarotta il paese se Lima non avesse restituito il denaro con gli interessi. Messo all’ angolo, il governo pagò a Singer 58 milioni di USD nel 2000, più di 5 volte il valore con cui gli speculatori avevano inizialmente comprato i titoli.
La cronologia degli eventi in Argentina
Ad oggi, l’operazione col più alto profilo operata dagli avvoltoi finanziari è quella contro l’ Argentina. Negli anni ’90 il FMI e i media mondiali indicarono l’ Argentina quale modello degno d’essere imitato. Era un esempio del modello di economia liberale sviluppato nel FMI ed introdotto attivamente nel Ministero dell’ Economia argentino ad opera di Domingo Cavallo. Alla fine del 1998 l’ economia argentina entrò in una fase di declino. In cambio di una serie di misure impopolari, inclusi tagli di bilancio e aumento delle tasse, il FMI, la World Bank e la US Treasury fecero al paese diversi prestiti. La crisi finanziaria si intensificò e ci fu un ondata di panico finanziario su larga scala che portò alla crisi politica e sociale del 2001. L’ economia del paese arrivò a un punto morto, il suo debito estero arrivò alla cifra record di 132 miliardi di USD (166 % del PIL), e il governo fu in grado di estinguere il debito (e pagarne gli interessi) solo grazie a una nuova serie finanziamenti esteri.
Alla fine del 2001 il FMI bloccò i nuovi finanziamenti e all’ Argentina non rimase che un’ opzione: dichiarare il default delle obbligazioni per un valore nominale di 95 miliardi di USD (riguardo ai suoi cosiddetti prestiti “privilegiati”, principalmente prestiti da organizzazioni finanziarie internazionali, il paese continuò a rispettare i propri impegni e non dichiarò il default). Un riassetto dei titoli di debito in Argentina ebbe luogo tra il 2005 e il 2010. Si scambiarono vecchi titoli per degli altri nuovi con uno sconto del 70% (fino a 30 centesimi al dollaro). Possessori di titoli di debito ricevettero bond legati al PIL: più velocemente cresceva l’economia del paese, più i creditori guadagnavano. E’ interessante che la maggior parte, ma non tutti, i possessori dei titoli argentini accettarono di scambiarli con quelli nuovi. Alcuni di loro decisero di vendere le loro obbligazioni a fondi “avvoltoio” per un prezzo decisamente minorato. Alcuni speculatori di lunga data, primariamente il fondo speculativo Elliot Management, sotto la guida del miliardario Paul Singer, videro un’ opportunità di enorme guadagno nella situazione problematica in cui si trovava il governo latino americano. Essi comprarono dunque le vecchie obbligazioni a poco e niente, ed iniziarono a chiedere che l’Argentina ripagasse l’intero debito –fino a 100 centesimi per ogni dollaro. Come ha notato con arguzia un blogger: “i fondi speculativi si sono comportati come una ragazzina viziata che, dopo aver comprato ai saldi un maglione con il 70% di sconto, chiedesse al negozio di riprenderselo e ripagarlo a prezzo pieno”. L’Argentina era finita nella stessa identica situazione in cui Brasile, Perù ed alcuni paesi africani si erano trovati poco tempo prima. Le autorità argentine non si fecero piegare, resistendo ai tentativi di ricatto degli avvoltoi e respingendo le loro pretese. Prima, nel 2005, quando la riorganizzazione del debito stava avendo luogo, centinaia di cause vennero intentate contro l’Argentina, ma il paese era sicuro di essere al sicuro: piccoli prestasoldi difficilmente vincono cause e ancora più difficilmente riescono a mettere le mani sul governo.
Avendo fallito nel tentativo di far pagare all’ Argentina il suo debito al 100%, i fondi avvoltoio americani (NML Capital, Elliot Management) decisero di intentare una causa presso una corte di New York. Nel novembre 2012, la più “imparziale” corte d’America decise che l’ Argentina dovesse pagare ai creditori 1,33 miliardi di dollari statunitensi. Inoltre, prima di trasferire il denaro agli avvoltoi, tutti gli altri ripaga menti del debito vennero sospesi. Al tempo in cui fu annunciata la sentenza della corte, il debito sovrano dell’ Argentina ammontava a circa 24 miliardi di dollari (45% del PIL). Prima del 15 dicembre 2012, l’Argentina fu costretta a pagare 3 miliardi di dollari sulle sue obbligazioni. Gli interessi dei possessori dei nuovi titoli furono discriminati. Gli esperti dicono che la somma di 1,33 miliardi che doveva essere pagata non è che la punta dell’ iceberg. Secondo le loro stime, il volume totale dei titoli (al loro valore nominale originario) nelle mani di coloro che is opposero alla riorganizzazione, ammonta a circa 10 miliardi di dollari statunitensi.
“Colonialismo giuridico”
La decisione della corte di New York è stata un duro colpo per l’Argentina. Dopo la sentenza tutti gli investimenti e ogni affidabilità creditizia del paese precipitarono. Sul finire del 2012 era ormai chiaro per tutti che le armi al servizio dell’egemonia globale americano non erano solo missili e portaerei, ma anche corti americane che avevano esteso la loro giurisdizione a tutto il mondo. In Argentina la decisione della Themis americana fu definita “colonialismo giuridico”. Buenos Aires si rifiutò di rispettare la tale sentenza e presentò un ricorso ai tribunali americani.
Gli avvoltoi finanziari esercitano una grande influenza non solo sulle autorità giuridiche. Sarebbe poi una sorpresa se Paul Singer fosse uno dei principali sponsor del Partito Repubblicano, per esempio? Sfruttando tale influenza, essi cercano di organizzare un blocco dell’ Argentina, senza nemmeno dover ricorrere alle norme legislative per proporre sanzioni, ma semplicemente affidandosi alle sentenze dei tribunali. Tentativi di impadronirsi dei beni esteri argentini sono già stati compiuti più d’una volta. Principalmente tali beni sono costituiti dai trasporti via aria e via terra. Il presidente Cristina Kirchner, per esempio, è impossibilitata di volare verso ovest con il suo aereo presidenziale, dal momento che al primo cenno di Washington, esso sarebbe requisito all’ istante.
Quest’anno, la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito ha accettato di esaminare le proteste dell’ Argentina. Alla fine di agosto 2013, la corte ha annunciato la decisione, probabilmente storica, di revocare il diritto di uno stato sovrano a gestire indipendentemente il proprio debito…
L’ Argentina ha riorganizzato il proprio debito parecchi anni fa, ma ora, a causa della decisione della corte, e nonostante l’annuncio del default in conformità alle regolamentazioni e aver firmato accordi con gli investitori, dovrà pagare agli speculatori americani, che hanno comprato parte del debito sovrano argentino a basso costo, l’intera somma dovuta dalle obbligazioni, come se il default non ci fosse mai stato.
La disputa non è ancora finita, ed all’ Argentina non resta che ricorrere ad un’ ultima via legale –fare ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
La Corte Suprema degli USA potrebbe trasformare ogni paese in una “colonia del debito”
Se l’ Argentina pagasse quanto stabilito dalla corte, costituirebbe un pericoloso precedente. I possessori dei titoli di debito argentini, che avevano accettato una ristrutturazione del debito (equivalente al 97 per cento del valore originale) richiederebbero un ritorno alla situazione originaria. In altre parole, l’ Argentina sarebbe nuovamente stretta nella medesima posizione in cui si trovava nel 2001, alla vigilia del default.
Come dichiarato dall’ economista americano premio Nobel Joseph Stiglitz, il precedente legale riguardante il debito argentino cambia fondamentalmente il concetto moderno di mercato del debito sovrano, e trasforma gli investitori americani in una casta privilegiata di “dei” del sistema finanziario globale, davanti ai quali i debiti assumono un carattere assoluto e irrevocabile. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha espresso la sua perplessità riguardo al precedente costituito dal debito argentino. La decisione priva il FMI della possibilità di guidare i paesi nel riassetto dei loro debiti e fa precipitare gli stati del “terzo mondo” in un buco nero di debiti, senza lasciargli alcuna possibilità.
Nel novembre 2012 (subito dopo la scandalosa decisione della corte di New York) apparve un articolo sul Guardian intitolato “Come fare a liberare la Grecia e l’ Argentina –le nuove colonie del debito?” L’articolo analizzava il diritto di bancarotta delle nazioni, e conteneva suggerimenti per la regolamentazione dei debiti sovrani. Il pezzo è stato scritto dall’ economista sud coreano Ha-Joon Chang, uno dei massimi esperti di sviluppo economico al mondo, ed attualmente professore a Cambridge. Ha-Joon Chang solleva la seguente questione: E’ possibile che un piccolo fondo speculativo porti alla bancarotta uno o anche due paesi? La comunità globale si trova faccia a faccia con un enorme problema etico ed economico. In definitiva, il prezzo da pagare per la bancarotta potrebbe essere altissimo –un nuovo round della crisi economica globale. Il problema è anche che le discussioni con i creditori possono durare svariati anni, spingendo a forza i paesi debitori in una spirale di crisi.
L’ Europa ha tenuto gli occhi chiusi su quello che accadeva in Argentina. Se l’ Argentina ottemperasse alla decisione della corte, sarebbe un grave precedente anche per i paesi membri dell’ UE. Vi ricorderete che il più grande riassetto del debito sovrano in Europa (e forse nel mondo) ebbe luogo nel 2012. Mi riferisco alla Grecia. Un imponente fetta dei possessori di titoli di debito greci accettò i termini della riorganizzazione. Inizialmente, il valore nominale dei titoli fu ridotto del 54%. Successivamente i periodi dei pagamenti e i tassi di interesse furono rivisti. In totale le obbligazioni sui titoli di debito greci furono ridotte del 70-75%. Il debito greco, semplicemente tramite una revisione del valore nominale dei titoli, si ridusse di 107 miliardi di euro. Sarebbe stato tutto a posto, ma la sfortuna fu che un esiguo numero di possessori di titoli (non più del 3-4%) non accettarono la revisione. Alcuni di essi hanno intentato svariate cause nello scorso anno. Il precedente argentino ha aumentato le loro chance di vittoria, e nel caso la avessero, l’ intero riassetto del debito greco (furono cancellati circa 107 miliardi di euro) potrebbe essere soggetto a un’ ulteriore revisione. Avrebbe inizio un tumulto finanziario globale, le cui conseguenze sono difficili da predire. Nel febbraio 2013, il ministro argentino dell’ economia, Hernàn Lorenzino, ha fatto notare che la decisione a favore dei quel 7% di creditori che vorrebbero i loro titoli ripagati a prezzo pieno non è corretta nei confronti del restante 93% che aveva votato per il riassetto. Secondo Lorenzino “la domanda fondamentale è se la riorganizzazione del debito sovrano, una necessità con cui potrebbero trovarsi faccia a faccia altri paesi nel mondo, abbia o no un futuro”.
Sono necessarie procedure internazionali per risolvere le controversie del debito
Fino ad ora le clausole di azione collettiva (CAC) erano state usate in casi di imminente default nei quali il debitore suggerisse le condizioni per una ristrutturazione del debito. La questione viene messa ai voti. Se la maggioranza dei possessori di titoli (in genere tra i due terzi e i tre quarti) si trovano d’accordo sulla ristrutturazione, allora l’ obbligo di adottare le misure convenute ed aderire al programma fissato si applica a tutti i creditori. Negli ultimi 10 anni praticamente ogni paese ha emesso titoli secondo le CAC. E’ diventata la norma. Ad ogni modo, le regole delle CAC sono state bersagliate (legalmente) dagli avvoltoi finanziari.
Negli anni 90, era nell’ aria l’ idea di creare un ente internazionale che facilitasse le soluzioni delle dispute a proposito del debito sovrano. Dopo la crisi in Argentina, ci fu un tentativo di creare un unico meccanismo internazionale che assicurasse un giusto riassetto del debito, ma l’ amministrazione Bush pose un veto sul progetto.
Ha-Joon Chang crede che nella gestione dei casi di bancarotta andrebbero introdotte le consuetudini del diritto d’ impresa. Un soggetto dovrebbe tornare indietro alle sopra menzionate CAC dopo aver concluso gli accordi internazionali (convenzioni). L’ economista coreano non è il solo a pensarla così: gli analisti iniziano sempre più a propendere per l’ idea che i rischi del colonialismo del debito siano troppo alti, specialmente per l’economia globale nel complesso.
Il famoso economista americano Nouriel Roubini, soprannominato dalla stampa “profeta dell’ economia”, ha commentato le decisioni della corte americana. Fa notare che dalla fine degli anni ’90, un sistema per gestire i default controllati si è gradualmente evoluto nel mondo. Fu esattamente uno di questi sistemi quello sperimentato dalla Grecia nel marzo scorso, quando parte del debito del paese verso creditori privati venne cancellato. La decisione della corte di New York poteva minare l’ intero sistema, dice Roubini, sebbene richiedesse solo un miglioramento. Roubini è certo che la sentenza costituisca un pericoloso precedente per tutti i paesi del mondo, ma soprattutto per la Grecia. E’ Atene che dovrà sostenere l’ impatto: la seconda riorganizzazione del suo debito privato, cosa necessaria al paese, non avverrà. Roubini nota che i creditori ufficiali della Grecia proveniente dalla “Troika” ( la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, il FMI) non sono assolutamente migliori dei fondi speculativi dei cosiddetti avvoltoi. Dopo tutto, i default controllati, hanno mantenuto tali istituzioni in una posizione di creditori “privilegiati”, dovendo essere pagati al 100%. Roubini sostiene che il FMI possa e dovrebbe analizzare la risoluzione di tali dispute nei casi in cui la minaccia di un default sia vicina, cosa che non sta facendo. Il FMI sta solo silenziosamente impiegando il tempo osservando le decisioni illegali delle corti americane.
L’Argentina contro gli avvoltoi del debito
Dunque, Buenos Aires sta provando a contestare le sentenze emesse presso la Corte Suprema degli Stati Uniti. In questo caso, secondo gli esperti, la questione potrebbe rimanere sospesa fino alla metà del 2015. Il team di difesa dell’ Argentina ha apertamente ammesso che se la corte non dovesse pronunciarsi in suo favore, Buenos Aires semplicemente si rifiuterà di pagare. “Stiamo rappresentando un governo”, sottolinea l’ avvocato Jonathan Blackman, “ed ai governi non si può dire di fare qualcosa che viola i suoi principi”. Se prima era il FMI ad interferire con gli affari interni del paese, ora è la corte americana a farlo.
Se un default sta per essere annunciato, potrebbe causare una caduta del valore dei titoli di stato e sferrare un colpo alle banche locali troppo indebitate. Ad ogni modo, la maggioranza degli esperti crede che un default tecnico non farebbe precipitare il paese in una crisi, dato che le esportazioni argentine non dipendono più tanto dai creditori per il finanziamento del commercio estero quanto facevano invece nel 2001. Dopo la morte del Presidente del Venezuela Hugo Chavez, Cristina Kirchner è probabilmente il più duro oppositore dell’ imperialismo americano in America Latina. La Kirchner compare nella “lista nera” della finanza internazionale insieme a Fidel Castro.
Comunque, non è solo il Presidente dell’ Argentina a trovarsi in tale posizione, ma l’ intero paese. Il Presidente non riesce a sfruttare le opportunità del mercato finanziario internazionale per attirare investimenti, ma d’ altra parte ha imparato ad andare avanti senza tali finanziamenti esterni mantenendo positivo il bilancio del commercio estero. Attualmente, in altre parole, l’ Argentina non sta prendendo in prestito denaro, ma lo sta guadagnando. Nel 2011, il paese aveva un bilancio in positivo di 13,3 miliardi di dollari, e nel 2012 di 12,6 miliardi. Il paese sta affrontando molte difficoltà sociali ed economiche, ma il ritmo del suo sviluppo economico è più alto che non quello dei paesi che stanno seguendo con obbedienza le raccomandazioni del FMI e le decisioni delle corti americane.
Valentin Katasonov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/10/03/financial-vultures-against-argentina.html
Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di STEFANO GRECO