DI
ERIC TOUISSANT
mondialisation.ca
Il crack di Wall Street nell’Ottobre del 1929, l’enorme crisi bancaria del 1933 e il periodo prolungato di crisi economica negli Stati Uniti e in Europa degli anni ’30 portarono il presidente Franklin Roosevelt, e in seguito i governi europei, a regolarizzare severamente il settore finanziario al fine di evitare la ripetizione di gravi crisi di borsa e bancarie. Come mostrano Carmen M. Reinhart et Kenneth S. Rogoff (economisti neoliberali nordamericani) in “Questa volta è differente. Otto secoli di follia finanziaria |1|, queste misure politiche hanno permesso di ridurre drasticamente il numero di crisi bancarie nel corso dei trent’anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale. Kenneth Rogoff è stato economista capo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e Carmen Reinhart, professoressa universitaria, è consulente del FMI e della Banca Mondiale. Secondo le loro analisi (per altro fortemente inserita nel pensiero dominante), la quantità molto ridotta di crisi bancarie si spiega principalmente “attraverso la repressione dei mercati finanziari interni (a livelli differenti), e poi grazie a un ricorso massiccio al controllo dei capitali durante parecchi anni, dopo la seconda guerra mondiale.” |2|.
Una delle misure forti prese da Roosevelt e dai governi d’Europa (particolarmente a causa della pressione delle mobilizzazione popolari alla fine della seconda guerra mondiale) consistette nel regolamentare strettamente l’uso che le banche potevano fare del denaro pubblico. Questo principio di protezione dei depositi dette luogo alla separazione tra le banche di deposito e le banche d’investimento, la cui forma più conosciuta fu la legge americana detta “Glass Steagal Act” nonostante essa sia stata applicata con diverse varianti anche nei paesi europei.
Con questa separazione dei mestieri bancari, solo le banche di deposito (o banche commerciali) potevano raccogliere i depositi pubblici che beneficiavano di una garanzia da parte dello Stato. Parallelamente a ciò, il loro campo di attività era ridotto alla concessione di prestiti a privati e imprese ed escludeva l’emissione di titoli, si trattassero di azioni o di qualunque altro strumento finanziario. Le banche di affari (o banche di investimento) dovevano, a loro volta, captare le risorse sui mercati finanziari al fine di poter emettere titoli, azioni e altri strumenti finanziari.
In Europa, dopo la seconda guerra mondiale, la forte regolamentazione del settore bancario e, in certi casi, la nazionalizzazione di una parte importante dello stesso, vanno messe in relazione con le dure lotte sociali che esprimevano la volontà di una rottura con la società degli anni ’30, il rifiuto dei magnati della finanza che avevano sostenuto o collaborato con i nazisti e i fascisti…e vi si erano grandemente arricchiti.
La svolta neoliberale della fine degli anni ’70 ha rimesso in causa queste regolamentazioni. Una ventina di anni più tardi la deregolamentazione bancaria, e in generale finanziaria, aveva fatto dei passi da gigante. Come rilevano Kenneth Rogoff et Carmen Reinhart, le crisi bancarie e di borsa si sono moltiplicate a partire dagli anni ’80, in forme sempre più acute.
Nel modello bancario tradizionale, ereditato dal prolungato periodo di regolamentazione, le banche valutano e sopportano il rischio del credito, in altre parole esse analizzano le domande di credito, decidono o meno di soddisfarle e, una volta consentiti i prestiti, li conservano in bilancio fino al loro termine (si parla qui del modello originate and hold, “crea e conserva”). Grazie alla deregolamentazione finanziaria, le banche hanno potuto abbandonare il modello “crea e conserva” per poter abbandonare il rendimento sul patrimonio netto.*.
Le banche sono ricorse massicciamente alla cartolarizzazione |3| che consiste nel trasformare i crediti bancari posseduti in titoli finanziari che esse possono rivendere. L’obiettivo perseguito è semplice: non conservare più nei propri conti i crediti, e i rischi che vi afferiscono, e disporre di margini di manovra supplementari per realizzare ancora più profitto. Le banche hanno così trasformato i crediti in titoli sotto forma di prodotti finanziari strutturati che poi hanno venduto ad altre banche o a altre istituzioni finanziarie private. Si parla qui di un nuovo modello bancario detto originate to distribute “crea per distribuire”, chiamato anche “crea, riassembla e vendi”. Questo sistema rappresenta un doppio vantaggio per le banche: quando tutto va bene, esse diminuiscono il rischio facendo uscire dal loro attivo i crediti che esse hanno concesso e inoltre esse dispongono di mezzi ulteriori per speculare.
Che cosa è un bilancio bancario ?
Il bilancio di una impresa permette di fare uno stato dei luoghi del suo patrimonio e della maniera con la quale questo patrimonio è finanziato, in un momento dato. Per una società che produce e distribuisce beni – prendiamo l’esempio di una drogheria (cfr. illustrazione del bilancio di una drogheria) – il bilancio si compone, in maniera schematica, del suo stock, delle attrezzature del magazzino (cassa, scaffali, frigoriferi,etc) e degli incassi, presi dal lato dell’attivo: si tratta insomma di ciò che la drogheria possiede. Nel lato passivo (che indica la maniera con cui la drogheria si finanzia), si trovano il capitale (il denaro investito dal proprietario per finanziare la sua attività), gli utili accumulati e mantenuti nell’impresa per finanziare il suo sviluppo (per esempio: modernizzazione regolare dell’equipaggiamento, rinnovazione del magazzino, etc), un prestito bancario e dei debiti nei confronti dei fornitori (tempi di pagamento autorizzati dai fornitori che permettono alla drogheria di finanziare una parte del suo stock).
In ogni momento, ATTIVO = PASSIVO, cioè si deve sempre poter identificare l’origine del finanziamento di un attivo e, nell’altro senso, si deve sempre poter identificare l’uso fatto di una risorsa finanziaria.
Questo stesso principio si applica a una banca ma intendendo tipi di attivo e di passivo evidentemente molto diversi.
All’attivo di una banca tradizionale (banca di deposito) si trovano i crediti concessi ai clienti della banca. Questi crediti sono di fatto dei contratti, delle promesse di rimborso, che costituiscono l’attivo della banca. Si trova anche, nell’attivo della banca, le riserve depositate nella banca centrale e i prestiti alle altre banche, in una proporzione limitata.
Al passivo, questi crediti sono finanziati dal capitale netto della banca (il denari investito dai suoi azionisti) ma soprattutto dai depositi dei clienti, che sono di fatto dei debiti che la banca (per altro, nella contabilità bancaria, i depositi sono indicati sotto la definizione di “debiti verso la clientela”). Sapendo che il capitale netto della banca non rappresenta che una percentuale dell’ammontare dei crediti concessi, una banca farà anche ricorso al finanziamento interbancario (prestito presso altre banche) e eventualmente al finanziamento del mercato (prestito sui mercati finanziari attraverso l’emissione di obbligazioni, per esempio).
Questa descrizione vale per una banca commerciale semplice, che non opera che come banca di deposito e di credito (vedi l’illustrazione Banca Maurel). Quando una banca si impegna in un’attività di banca d’affari vecchio stile, si vedono apparire altre categorie di bilancio. I depositi sono rimpiazzati da titoli finanziari (obbligazioni emesse dalla banca per finanziarsi) e da prestiti presi sul mercato interbancario. I crediti alla clientela saranno rimpiazzati da attività di trading.
Se la banca mischia le attività di deposito, di credito, di affari e di assicurazione, il bilancio cambia un’altra volta (vedi illustrazione dei bilanci delle banche BNP Paribas, Barclays e Deutsche Bank). Dal lato dell’attivo, si aggiungono dei titoli finanziari detenuti nel quadro delle differenti attività di mercato, chiamate anche trading (azioni, obbligazioni, prodotti derivati* per le più grandi tra loro) e più comunemente da attività sul mercato dei capitali. Queste attività includono in particolare l’emissione-sottoscrizione di titoli, la tenuta del mercato (la parte più importante dello “stock” dei titoli) e la gestione in proprio.
Per finanziare questa parte dell’attività, la banca prenderà in prestito presso altre banche (a cortissimo termine, non più di qualche giorno) e presso i mercati finanziari, emettendo obbligazioni per esempio (a corto e medio termine, qualche mese o anni). Una banca universale, come una banca d’affari, è largamente dipendente dal finanziamento del mercato. Essa si espone a forti variazioni, sia sull’attivo (il valore dei titoli può cambiare bruscamente) che sul passivo per esempio, la contrazione sui mercati finanziari sopravvenuta nel 2008 ha tagliato le risorse finanziarie di numerose banche: dall’oggi al domani, il credito concesso alla banche, dalle altre banche o da altri prestatori, è diminuito fortemente).
Come abbiamo visto più in alto, il passivo informa sull’origine delle risorse della banca, cioè dei fondi ammassati dalla banca. L’attivo informa sull’utilizzazione dei fondi ammassati. “Banca, dimmi di che genere è il tuo passivo ed io ti dirò che banca sei! Se la parte dei prestiti che hai contratto sotto forma di titoli oltrepassa i depositi dei clienti (cioè i prestiti che i tuoi clienti ti hanno concesso), significa che ti stai prendendo dei rischi esagerati a spese di questi ultimi”. Sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze francese, si trovano dei dati edificanti che indicano a che punto la composizione del bilancio delle banche si sia evoluta pericolosamente via via che queste hanno sviluppato le loro attività speculative.
“Se si prende il bilancio dell’insieme degli istituti bancari francesi, i depositi che rappresentavano il 73% del passivo nel 1980 non rappresentano più che il 29% nel 2011. È la conseguenza del finanziamento delle banche sui mercati finanziari dove esse hanno un ruolo maggiore, intervenendovi sia per proprio conto (detenzione diretta di titoli) sia per conto terzi, sia in quanto apportatori di prodotti finanziari, sia in quanto intermediatori di mercato. A livello di bilancio, questo si traduce nell’importanza crescente dei titoli e dei prestiti interbancari che rappresentato il 19% del passivo delle banche francesi nel 1980 e il 54% nel 2011” |4|. Nel 2011, il volume dei derivati posseduti dalle banche francesi costituiva un valore “11 volte superiore al valore totale del loro bilancio”|5|.
Lo sviluppo della brutta nomea della “banca universale”
Un’altra evoluzione molto importante è stata quindi la soppressione della separazione tra banch di deposito e banche d’affari nel corso degli anni ’80 e ’90, secondo i paesi. Da questa soppressione è nata la banca universale che conosciamo oggi. La banca universale (chiamata anche “banca tuttofare” o “banca generalista”) rappresenta un grande insieme finanziario raggruppante e esercitante i diversi mestieri della banca di deposito, della banca d’affari (gestione di attivi) pur giocando comunque il ruolo di assicurare (si parla di “bancassicurazione”). Questo insieme interviene sul territorio nazionale come anche all’estero con le sue filiali. Il principale pericolo di questo modello bancario risiede nel fatto che le perdite delle attività rischiose della banca di finanziamento e investimento debbano essere sopportate dalla banca di deposito che fa parte della banca universale, mettendo così in pericolo gli averi dei piccoli e medi risparmiatori, dei piccoli commercianti, delle PMI, degli amministratori pubblici, i quali vi hanno tutti depositato dei fondi. Inoltre, visto che i depositi dei risparmiatori beneficiano di una garanzia dello Stato (che protegge in Europa i depositi fino a 100.000 euro dal 2008) e visto che la funzione della banca di deposito è essenziale al funzionamento dell’economia (credito, risparmio, pagamenti), lo Stato è di fatto forzato a intervenire in caso di rischio di fallimento della banca universale. Tutte le grandi banche |6| si sono trasformate in banche universali e sono diventate troppo grandi perché lo Stato le lasci fallire (too big to fail). Lo sviluppo delle loro attività sui mercati finanziari è stato quindi incoraggiato da questo fenomeno: la garanzia implicita dello Stato accordata a tutte le attività condotte dalle banche universali, perfino le più rischiose e speculative!
Qualche meccanismo dell’ingegneria bancaria all’origine della crisi
La deregolamentazione a permesso al settore finanziario privato e, in particolare alle banche, di mettere in atto o di amplificare all’estremo differenti meccanismi che hanno giocato un ruolo chiave nell’esplosione della crisi bancaria
La leva finanziaria
La leva finanziaria costituisce uno dei pilastri del funzionamento speculativo delle banche. La Banca di Francia definisce così l’effetto della leva finanziaria: “essa misura l’effetto di un ricorso più o meno importante all’indebitamento sulla rendita finanziaria, per una rendita economica data. Accettando un ricorso all’indebitamento, gli azionisti di un’impresa o di una istituzione finanziaria si attendono un ritorno ancora più importante di utili in ragione del rischio supplementare accettato.”|7|.
Le banche hanno utilizzato massivamente la leva finanziaria con lo scopo di indebitarsi di più per guadagnare di più. Xavier Dupret descrive chiaramente questo fenomeno: “il mondo bancario si è molto indebitato, in questi ultimi anni, ciò si chiama leva finanziaria. La leva finanziaria consiste nel ricorrere all’indebitamento per aumentare la rendita dei capitali netti. E perché funzioni, è necessario che il tasso di rendita del progetto selezionato sia superiore al tasso di interesse da pagare per la somma presa in prestito. Gli effetti della leva finanziaria sono diventati sempre più importanti con il tempo. Cosa che non avviene senza creare problemi. Infine, nella primavera del 2008, le banche di investimento di Wall Street avevano delle leve finanziarie che oscillavano tra il 25 e il 45 (per un dollaro di capitale netto, avevano preso a prestito tra 25 e 45 dollari). Così, Merril Lynch aveva una leva finanziaria di 40. questa situazione era evidentemente esplosiva, poiché un’istituzione che ha una leva di 40 vede i suoi fondi cancellati con un ribasso del 2,5% (cioè 1/40) del valore degli attivi acquisiti.” |8|
Lo sviluppo del “fuori bilancio”
Dall’altro lato, con la deregolamentazione le banche hanno potuto sviluppare delle attività implicanti dei volumi giganteschi di finanziamento (cioè di debiti) senza le prendere in conto nei loro bilanci contabili. Esse hanno praticato massivamente il fuori bilancio, in particolare per dissimulare una grossa parte dei rischi che prendono con le loro voluminose operazioni sui derivati (vedi sotto).
Cos’è un fuori bilancio? Il fuori bilancio assicura il monitoraggio contabile delle attività che non hanno ancora prodotto un pagamento (esborsi o incassi) da parte della banca, ma che le fanno comunque correre un certo numero di rischi. Si tratta abitualmente di contratti in corso di esecuzione. Le attività registrate nei fuori bilancio bancari sono essenzialmente delle operazioni sui derivati, gli impegni sulle firme e le operazioni di cambio.
secondo il sito ufficiale del ministero francese dell’Economia e delle Finanze “i fuori bilancio dell’insieme degli istituti di credito francesi per gli anni 2010 e 2011 si presenta così:
2010
2011
Impegni di finanziamenti
dati
1 038,76
950,26
ricevuti
539,69
463,08
Impegni di garanzia
d’ordine
1 075,34
1 108,79
ricevuti
1 061,07
1 213,36
Impegno sui titoli
Titoli da ricevere
220,27
184,98
Titoli da consegnare
220,53
188,60
Operazioni sulle valute
Valuta a ricevere
5 844,34
6 071,95
Valuta a consegnare
5 852,64
6 060,34
Impegni sulle operazioni finanziarie a breve termine
(=derivati)
91 292,73
95 922,43
In miliardi di Euro. Fonte: ACP
Il posto sempre più importante del fuori-bilancio delle banche è il posto degli impegni sugli strumenti finanziari a breve termine, cioè le operazioni sui prodotti derivati. Nel 2011, gli impegni sugli strumenti finanziari a temrine dell’insieme delle banche rappresentava circa 96.000 miliardi di euro, ovvero 11 volte più che il valore totale del loro bilancio.
Tra questi impegni sui derivati, le operazioni sui tassi di interesse sono ciò che è più importante: 84.739 miliardi di euro per l’anno 2011. Questo rappresenta 34 volte il montante totale dei crediti accordati dalle banche alle loro clientele. Questa cifra è un indicatore sorprendente dell’attività delle banche sui mercati finanziari.” |9|
Secondo Laurence Scialom, negli Stati Uniti: “questo impegno massivo nelle attività fuori-bilancio si riflette nell’accrescimento della parte di profitto proveniente da queste attività (commissioni e profitti di negoziazione |10|) nel totale del profitto delle banche. Questa parte è passata dal 19% nel periodo 1960 – 1980 al 43% del prodotto netto bancario nel 1999” |11|.
Visto il volume gigantesco del fuori-bilancio, qualunque incidente finanziario su questo aspetto, in particolare sui derivati, può destabilizzare la banca. Le grandi banche non esitano comunque a ricorrervi massicciamente poiché esse ne ottengono, come dice Laurence Scialom, dei profitti importanti che possono inserirvi dei rischi che così, di colpo, restano invisibili agli occhi delle autorità di controllo.
La banca ombra o lo shadow banking
Le banche hanno inoltre creato e sviluppato la banca ombra, lo shadow banking, e questo in maniera legale (come pure per il fuori-bilancio) con l’autorizzazione delle autorità di controllo.
Cos’é lo shadow banking ?
Le attività finanziare di shadow banking sono realizzate principalmente per conto di grandi banche da società finanziarie create da loro. Queste società finanziarie (Special Purpose Vehicles – SPV, money market funds*, hedge funds…) non ricevono depositi, e questo permette loro di non essere sottomesse alla regolamentazione e alla regolazione bancaria. Esse sono quindi utilizzate dalle grandi banche per sfuggire alle regolamentazioni nazionali e internazionali. Certe società di gestione di attivi, come BlackRock o Pimco sono ugualmente attive nello shadow banking e intrattengono relazioni molto strette con le grandi banche.
Lo shadow banking e la banca universale sono quindi complementari. Il ricorso allo shadow banking permette alla banca universale di scappare sempre più alla gestione diretta dei rischi. Il volume degli attivi gestiti dallo shadow banking è aumentato in maniera molto importante, in particolar modo prima della crisi 2007-2008. È passato da 26.375 miliardi di dollari nel 2002 a 62.031 nel 2007, prima di ridiscendere nel 2008 a 59.350 e per rimontare nuovamente e raggiungere 66.614 miliardi di dollari nel 2011. |12|
Il Consiglio di stabilità finanziaria (CSF), l’organo costituito dal forum G20 responsabile della stabilità finanziaria mondiale, a pubblicato le cifre per l’anno 2011. “Questo settore ‘parallelo’ rappresenta da solo la metà del totale degli attivi complessivi delle banche. Rapportati al Prodotti Interno Lordo del paese, la banca ombra prospera a Hong-Kong (520%), nei Paese Bassi (490%), nel Regno Unito (370%), a Singapore (260%) e in Svizzera (210%). ma, in termini assoluti, gli Stati Uniti restano in prima posizione poiché la parte di questo settore parallelo rappresenta 23.000 miliardi di attivi nel 2011, seguito dalla zona Euro (22.000 miliardi) e dal Regno Unito (9000 miliardi).” |13|
Nel 2012, il volume di questi attivi gestiti dallo shadow banking è ancora cresciuto per raggiungere quasi 71.000 miliardi di dollari |14| (cioè circa l’equivalente della somma di tutti i PIL di ogni paese al mondo). Le autorità di controllo della finanza non cercano in alcun modo di sgonfiare il volume della banca ombra e ancora meno di eliminarla. Le grandi banche e i potenti fondi di investimento* come BlackRock e Pimco sono sufficientemente influenti presso le autorità per preservare la parte d’ombra della quale esse approfittano al meglio per aumentare i loro profitti e il loro peso nell’economia. “Per noi lo shadow banking deve contribuire a un finanziamento trasparente e solido dell’economia, che permetta di diversificare le fonti del suo finanziamento in una maniera che sia sostenibile a lungo termine”, afferma Mark Carney, presidente del Consiglio di Stabilità Finanziaria della Banca d’Inghilterra. Aggiunge inoltre che il Consiglio perseguirà la messa in osservazione dello shadow banking al fine di tentare di imporre certe regole, in un futuro indeterminato. |15|
La moltiplicazione delle attività delle banche nei paradisi fiscali
Nel 2009, si stima che i due terzi delle transazioni OTC (“Over The Counter” – mercati non regolamentati) sui derivati di credito implichino dei paradisi fiscali. Secondo il calcolo effettuato dal deputato europeo ecologista Philippe Lamberts, che ha sviscerato i rapporti annuali di numerose banche europee, la Deutsche Bank dispone di 974 entità (filiali, SPV, etc) nei paradisi fiscali, di cui 657 fuori dall’Europa |16|. Vengono subito dopo BNP Paribas con più di 280 società, la banca belga KBC con quasi 100, il Crédit Agricole 95, la Société Generale 82, BPCE 81.
I paradisi fiscali sono degli Stati caratterizzati dai cinque seguenti criteri non cumulativi:
a) l’opacità (attraverso il segreto bancario o altro meccanismo che protegga i trusts);
b) una fiscalità molto bassa, se non nulla, per i non-residenti;
c) certe facilitazioni legali che permettono di creare società schermo, senza alcuna obbligazione per i non-residenti di avere un’attività reale sul territorio;
d) l’assenza di cooperazione con le amministrazioni fiscali, doganiere e / o giudiziarie degli altri paese;
e) la debolezza o l’assenza della regolamentazione finanziaria.
La Svizzera, la City di Londra e il Lussemburgo accolgono la maggioranza dei capitali collocati nei paradisi fiscali. Ci sono, inoltre, le Isole Caiman, le isole del Canale come Jersey o Guernesey, Hong-kong e molti altri Stati nei quattro angoli del pianeta. I detentori di fortune che vogliono sfuggire al fisco o coloro che vogliono ripulire dei capitali che provengano da attività criminali sono aiutati direttamente dalle banche che fanno “passare” i capitali attraverso una successione di paradisi fiscali, prelevando delle succose commissioni. I capitali generalmente sono piazzati dapprima in Svizzera, alla City di Londra o in Lussemburgo, transitando poi attraverso altri paradisi fiscali ancora più opachi al fine di complicare il compito delle autorità che vorrebbero seguire le loro tracce, e finiscono infine per riapparire la maggior parte delle volte a Ginevra, Zurigo, Berna, Londra o Lussemburgo da dove possono essere recuperati dai loro proprietari, o dove questi preferiscano.
Secondo Gabriel Zucman, professore alla London School of Economics, 5800 miliardi di euro sono collocati nei paradisi fiscali di primo livello, dei quali cita la Svizzera, che accoglie un terzo delle fortune mondiali offshore, e il Lussemburgo. Sempre secondo Gabriel Zucman, l’ammontare delle fortune gestite dai paradisi fiscali sarebbe aumentato del 25% tra il 2009 e il 2012. secondo the Economist che fornisce delle cifre grosso modo concordanti, la Svizzera accoglie poco più di 2000 miliardi di dollari di depositi provenienti all’estero; il Regno Unito, le Isole del Canale e l’Irlanda, un po’ meno di 2000 miliardi; i Caraibi e Panama circa 1000 miliardi; Hong Kong e Singapore, 1000 miliardi; gli Stati Uniti (in particolare lo Stato del Delaware) e il Lussemburgo, 500 miliardi ciascuno. Certi paradisi fiscali contano sul loro territorio più imprese differenti che abitanti, cosa che illustra perfettamente come essi servano unicamente come cassetta postale: le Isole Vergini britanniche contano 1995 società finanziare ogni 100 abitanti, le Isole Caiman (sempre britanniche) contano 161 imprese per 100 abitanti, lo stato del Delaware (USA) ne conta 104 per 100 abitanti. |17|
In seguito a un’investigazione approfondita della giustizia statunitense, la principale banca britannica HSBC ha riconosciuto, nel Dicembre 2012, di aver collaborato con il cartello della droga messicano e con altre organizzazioni criminali implicate nella ripulitura di denaro sporco, per un ammontare di circa 880 miliardi di dollari. Per far questo, HSBC è passata principalmente attraverso le isole Caiman.
Evidentemente, le filiali delle banche nei paradisi fiscali sono suscettibili di realizzare non soltanto dei grassi profitti ma anche delle perdite che possono portarle sul bordo dell’abisso e che possono spingere le autorità a andare in soccorso della loro casa madre.
In realtà dal 2009 ad oggi, malgrado le numerose dichiarazioni fatte da parte dei capi di stato del G20, i mutamenti concreti realizzati sono stati molto pochi. A queste condizioni è chiaro che la portata dell’azione delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali incaricate di, per riprendere il loro vocabolario, “riportare la finanza a dei comportamenti più responsabili” è molto limitata. I regolatori non si danno realmente mezzi per conoscere le attività effettive delle banche che sono tenute a controllarsi da sole. Una grossa parte delle transazioni finanziarie sfugge quindi completamente al controllo ufficiale.
Cosa si può sperare dagli annunci recenti sulla regolamentazione bancaria?
Il cataclisma finanziario del 2007-2008 e i suoi drammatici strascichi hanno dimostrato largamente che gli attori dei mercati finanziari sono incapaci di autoregolarsi. Non ne hanno né il desiderio né la volontà e ancor meno l’interesse. Tutte le crisi finanziarie che hanno punteggiato la storia del capitalismo lo attestano. Dopo la crisi, i governanti sono stati costretti ad adottare un altro discorso: “l’autoregolamentazione per gestire i problemi è terminata. Il lassez-faire è finito. Il mercato “che ha sempre ragione” è finito.”|18|. Ma sette anni dopo l’inizio della crisi e sei anni dopo l’impegno per un ritorno alla regolamentazione, nessun fatto serio in merito può essere iscritto a bilancio. La constatazione è senza appello: “compari con i dirigenti delle banche, i governanti e i legislatori hanno preso poche misure stringenti nei confronti delle società finanziarie.
Negli Stati Uniti, una nuova legislazione, timida in confronto alla regolamentazione imposta da Roosvelt a partire dal 1933, è stata adottata nel primo mandato di Barack Obama. Si tratta della legge Dodd-Frank (che include la regola Volcker|19|). Nonostante la legge Dodd-Frank sia stata approvata nel 2010, la sua applicazione tarda. In effetti, le banche e i loro lobbisti, come i parlamentari repubblicani o democratici da loro influenzati direttamente, sono riusciti a limitarne la messa in pratica. |20|. In principio, la regola Volcker proibisce specificamente agli istituti bancari di realizzare del proprietary trading, cioè di speculare con le proprie risorse per proprio conto. Essa prevede certe limitazioni in merito alla detenzione di partecipazioni negli hedge founds o nei fondi di private equity, che non sono sottomessi ad alcuna reale regolamentazione. L’entrata in vigore della regola Volcker inizialmente prevista per il Luglio 2014 è stata riportata al Luglio 2015. |21|. È possibile che le banche arrivino, da qui ad allora, a ottenere delle ulteriori modifiche in loro favore.
Nel Regno Unito, in seguito al quasi-fallimento delle grandi banche inglesi del 2008, il governo inglese ha creato la “Commissione Vickers”, presieduta dall’anziano capo economista della Banca d’Inghilterra Lord John Vickers. La commissione Vickers a consegnato alle autorità le sue raccomandazioni nel 2011 senza che alla fine del 2013 la minima decisione sia stata presa.|22|
A livello dell’Unione Europea, una commissione animata da Erkki Liikanen, governatore della Banca nazionale dell Finlandia, a consegnato il suo rapporto nell’Ottobre del 2012. Le raccomandazioni contenute nei rapporti delle commissioni Vickers e Liikanen |23| si spingono più lontano di quelle nella legge Dood-Frank e della regola Volcker: un inizio di compartimentazione delle attività molteplici delle banche. Ma nessuna proposta di tornare al Glass Steagal Act e alle regolamentazioni adottate dopo la crisi degli anni 1930 in Europa. Nessuna proposta di una separazione netta e chiara tra banche di deposito e banche di affari, cioè lo smantellamento di ciò che oggigiorno chiamiamo la banca universale. La legge Dodd-Frank, le proposte delle commissioni Vickers et Liikanen, i progetti di legge sulla riforma bancaria depositati dal governatore francese all’Assemblée Nationale nel Dicembre 2012 e votati qualche mese dopo |24| restano in mezzo al guado e non prevedono che delle partizioni che si riveleranno (se un giorno entreranno mai in vigore) di un’efficacia molto limitata, poiché la parte banca di investimento e affari non esiterà a pompare nei depositi dei clienti e poiché essa continuerà a prendere dei rischi molto elevati visto che nessuna misura vincolante e seria sarà messa in opera |25|. Come indicato più in alto, nel quadro della banca universale, la banca d’affari e la banca di deposito sono solidari, cosa che implica che le perdite realizzate dalla banca di finanziamento e di investimento saranno sopportata dalla banca di deposito.
Mentre le autorità di controllo moltiplicano le concessioni alla lobby bancaria |26|, colpisce constatare che John Reed, l’ex patron di Citicorps et di Citigroup, oggi ritirato dagli affari, abbia dichiarato che l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 costituì un grave “errore”. Lui stesso che era stato in prima linea per ottenere dall’Amministrazione Clinton questa funesta decisione. Quattordici anni più tardi, nel 2013, egli effermava che sarebbe necessario rimettere in atto d’urgenza il Glass Steagall Act. Aggiungeva inoltre che era assai facile separare le banche di deposito dalle banche d’affari, poiché il settore finanziario è molto flessibile. A differenza dell’industria, non ci sono grandi investimenti fissi, immobilizzati in attrezzature, dichiarava in sostanza |27|.
Nonostante le raccomandazioni di Vickers e di Liikanen siano molto concilianti verso di loro, i padroni delle banche private stanno organizzando un intenso lobbying al fine d’impedire che esse producano effetti. Il settimanale finaziario francese “Challenges” riportava nel 2012 le reazioni dell’ambiente bancario dell’Esagono (ndt: la Francia) a proposito del rapporto Liikanen. “Molti rapporti di questo genere sono finiti nella spazzatura” dichiara un banchiere. “Liikanen? Sa a malapena che cos’è una banca” ironizza un altro “in Finlandia non ci sono che filiali di istituti stranieri.”.
Challenges prosegue con un altro colpo di campana, dando la parola a Martin Wolf, editorialista del Financial Times: “Temo che sotto la pressione dei banchieri molte attività di mercato (=trading) vengano escluse dalla compartimentazione. Questo rapporto è un passo in avanti, ma bisognera che la prossima mossa non sia un passo indietro”|28|.
Infatti, anche il Financial Times a condotto la sua piccola inchiesta nell’ambiente delle banche. Sulle sue colonne, Christian Clausen, il patron della banca svedese Nordes che presiede la Federazione bancaria europea dichiara che il Rapporto Liikanen compie un errore in ciò che riguarda il partizionamento tra le attività di dettaglio e le attività di trading |29|. I parlamentari statunitensi e europei, senza parlare degli alti funzionari, sono stati oggetto di intense pressioni. A Bruxelles, il Parlamento è composto di 754 deputati europei. I rappresentati delle grandi banche sarebbero tra i 700 e i 1000. Essi rappresentano gli interessi del settore bancario e dispongono a questo fine di un budget di più di 300 miliardi d’euro |30|. In più, le banche possono contare su dei solidi alleati piazzati nelle più alte funzioni, come in particolare Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea ed ex dirigente di Goldman Sachs.
Dal lato delle autorità di controllo, qualche voce isolata si fa sentire per criticare l’assenza di regolamentazione seria del settore bancario. Andrew Haldane, direttore del dipartimento di Stabilità finanziaria della Banca d’Inghilterra, ha alzato la voce in occasione di una riunione degli ambienti finanziari a Londra, nell’Ottobre 2012. Egli critica il fatto che le 29 banche sistemiche (vedi riquadro) approfittano del pericolo che rappresenterebbe il loro fallimento per ottenere a buon mercato il denaro della BCE, della FED, della Banca d’Inghilterra… Egli considera che il credito che queste istituzioni pubbliche concedono loro costituisca una sovvenzione annuale di più di 700 miliardi di dollari. Dalla data in cui ha pronunciato questo discorso, la BCE ha ancora abbassato il suo tasso, cosa che ha aumentato sensibilmente i regali ai banchieri.
Le banche sistemiche secondo il G20
Il G20 ha stabilito nel Novembre 2011 una lista di 29 banche sistemiche, chiamate in inglese SIFIs (Systemically Important Financial Institutions). Come nel caso di Lehman Brothers il cui fallimento sconvolse l’economia mondiale nel settembre-ottobre 2008, queste banche sono considerate dal FSB (Financial Stability Board) come troppo importanti perché i poteri pubblici le lascino cadere in fallimento (in inglese: “too big to fail”).
Esse sono dette sistemiche a causa del loro peso e del pericolo che il fallimento di una tra queste rappresenterebbe per il sistema finanziario privato a livello internazionale. Nel 2011, tra le 29 banche sistemiche, si contavano 4 banche francesi (Société Générale, Crédit Agricole, BNP Paribas e BPCE), 2 banche tedesce (Deutsche Bank e Commerzbank), 1 italiana (Unicredit), 1 spagnola (Santander), 1 belgo-francese (Dexia), 1 olandese (ING), 4 britanniche (HSBC, Lloyds, Barclays et Royal Bank of Scotland), 2 svizzere (UBS, Crédit suisse), 1 svedese (Nordea), 8 statunitensi (JPMorgan, Bank of America, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citigroup, Bank of New York Mellon, Wells Fargo, State Street), 3 giapponesi (Sumitomo, Mitsubishi UFJ FG, Mizuho FG), 1 cinese (Bank of China). Nel 2012, il G20 ha escluso 3 banche dalla lista (Dexia, Commerzbank, Lloyds) e ve ne ha aggiunte 2 (la spagnola BBVA e la britannica Standard Chartered). Nel 2013, la banca cinese ICBC è stata aggiunta alla lista.
Più ampiamente, dappertutto nel mondo il Capitale si è lanciato in un’offensiva contro il Lavoro. È in Europa che, dal 2008, l’offensiva prende la forma più sistematica iniziando nei paesi come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, Cipro, la Spagna… Nonostante le banche (e il capitalismo in quanto sistema) siano le responsabili della crisi, esse sono sistematicamente protette. Il loro salvataggio ha provocato un aumento molto forte del debito pubblico, chiaramente illegittimo. Dappertutto il rimborso del debito pubblico e il ritorno all’equilibrio fiscale costituiscono il pretesto invocato dai governanti per giustificare una politica che se la prende con i diritti economici e sociali della schiacciante maggioranza della popolazione. Se i movimenti sociali e, tra loro, i sindacati vogliono affrontare vittoriosamente questa offensiva devastatrice, bisogna affrontare di corpo la questione del debito pubblico al fino di togliere al potere il suo argomento principale. L’annullamento della parte illegittima del debito pubblico e l’espropriazione delle banche per integrarle a un servizio pubblico di risparmio e credito sono delle misure essenziali in un programma che sia alternativo alla gestione capitalista della crisi.
Conclusione
Il mestiere della banca (nel senso di costituire uno strumento per raccogliere il risparmio e per concedere crediti) è troppo serio per essere affidato a dei banchieri privati che, per definizione, cercano di massimizzare i profitti della manciata di grandi proprietari privati (l’1%, come il movimento Occupy Wall Street li ha chiamati). È inevitabile di smetterla con la sottomissione alle esigenze delle banche. Prendendo una svolta radicale, è possibile proteggere i depositi dei risparmiatori, finanziare le attività utili al bene comune, garantire l’impiego e le condizioni di lavoro del personale del settore. Per far questo, appare indispensabile e essenziale il costruire un servizio pubblico di risparmio, di credito e di investimento. Dando per evidente che esse usano il denaro pubblico, beneficiano di garanzie da parte dello Stato e devono rendere un servizio di base fondamentale alla società, le banche devono essere socializzate e messe sotto il controllo nazionale |37|. È egualmente essenziale di proibire le attività speculative, tutti gli strumenti finanziari che le sostengono così come le transazioni con i paradisi fiscali.
Il 30 Gennaio 2013, il Financial Times titola: “Passo indietro di Bruxelles a proposito del cuore della riforma bancaria” |35| e spiega nelle sue colonne che la Commissione Europea ha battuto in ritirata in ciò che concerne l’obbligo che potrebbe essere imposto alle banche di separare le loro attività di mercato (intendendo quelle altamente speculative e a rischio) e le attività di banca di deposito. Nel Settembre 2013, la lobby bancaria ha segnato ancora dei punti. L’avvocato generale della corte di giustizia dell’Unione Europea ha rimesso in causa il diritto delle autorità (ESMA, European Securities and Markets Authority) di proibire la vendita di scoperti (short selling) perfino in situazione di crisi |36|. Non solamente l’applicazione delle misure è stata rinviata al 2019, vista la situazione drammatica è come dire “alle calende greche”, ma inoltre le banche potranno contabilizzare, nella riserva di liquidità (LCR), dei prodotti strutturati e tossici come i MBS (Mortgage backed securities) |34|.
La follia bancaria ha quindi dei bei giorni di fronte a sé, e soprattutto la storia non finisce qui. A fine Gennaio 2013, altre notizie rendono felici le banche. Michel Barnier, commissario europeo in carica per i mercati finanziari, ha dichiarato che non seguirà la raccomandazione principale del rapporto Liikanen riguardante il partizionamento delle attività delle banche di deposito e delle attività di mercato. Inizio Gennaio 2013, il comitato di Basilea ha rinunciato all’applicazione di una delle esigenze che aveva imposto alle banche. Queste ultime saranno esentate dalla messa in opera di un ammortizzatore di shock finanziari sotto forma di una riserva permanente di liquidità (liquidity coverage ratio, LCR), che avrebbe dovuto permettere loro di fronteggiare una crisi della durata di 30 giorni. Era previsto che la misura entrasse in vigore nel 2015. Adesso, essa è stata rimandata al 2019! In prima pagina i periodici finanziari hanno sottolineato chiaramente che si trattasse di una vittoria delle banche e di una ritirata delle autorità di controllo. L’8 Gennaio 2013, la prima pagina del Financial Times annunciava la “vittoria delle banche europee dopo l’ammorbidimento delle regole di Basilea”|32| e il 12 Gennaio l’Economist titolava “I regolatori addolciscono la loro posizione in materia di liquidità”|33|. Andrew Haldane raccomanda di ridurre in maniera drastica la taglia delle banche. Thomas Hoenig, della US Federal Deposit Insurance Corporation, afferma che le partizioni messe in atto per separare i differenti tipi di attività delle banche sono in realtà porose. Egli plaude a che sia adottata una legge del tipo Glass-Steagall al fine di separare radicalmente le banche di deposito e le banche d’affari |31|.
Eric Touissant
Fonte: www.mondialisation.ca
Link: http://www.mondialisation.ca/comment-les-banques-et-les-gouvernants-detruisent-les-garde-fous/5364873
14.01.204
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SOKRATICO
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Note
|1| Carmen M. Reinhart, Kenneth S. Rogoff, Cette fois, c’est différent. Huit siècles de folie financière, Pearson, Paris, 2010.
|2| Toutes les expressions reprises dans le glossaire sont suivies d’un astérisque (*) lors de leur première apparition, ou lorsque ces définitions sont utiles pour la compréhension d’un passage.
|3| La première grande vague de titrisation à vaste échelle remonte à la période qui a suivi l’éclatement de la crise de la dette du tiers monde en 1982.
|4| Extrait de “Les comptes d’une banque. Le bilan d’une banque”
www.economie.gouv.fr/facilec…
|5| Même source. Nous reviendrons là-dessus plus loin dans la partie sur le hors bilan.
|6| Après que le gouvernement des États-Unis ait laissé la banque d’affaires Lehman Brothers faire faillite en septembre 2008, Goldman Sachs et Morgan Stanley (elles-mêmes banques d’affaires) ont fait le nécessaire pour changer de statut et devenir des banques universelles afin que l’État leur vienne financièrement en aide en cas de pépin.
|7| Voir http://www.banque-france.fr/fileadm…, p. 112.
|8| Xavier Dupret, « Et si nous laissions les banques faire faillite ? », 22 août 2012,http://www.gresea.be/spip.php?artic…
|9| Voir : Ministère de l’Économie et des Finances, « Les comptes d’une banque »,www.economie.gouv.fr/facilec…, consulté le 17 octobre 2013.
|10| Commissions et revenus de négoce = les revenus du trading.
|11| Laurence Scialom, Economie bancaire, Paris, La Découverte, 2013, p. 22.
|12| Source : http://www.institut-numerique.org/i… . Voir également Daniel Munevar, « Les risques du système bancaire de l’ombre », 21 avril 2012, http://cadtm.org/Les-risques-du-sys… . Voir aussi : Tracy Alloway, “Traditional lenders shiver as shadow banking grows”, Financial Times, 28 décembre 2011.
|13| Voir Richard Hiault, « Le monde bancaire « parallèle » pèse 67.000 milliards de dollars », Les Echos, 18 novembre 2012, http://www.lesechos.fr/entreprises-…
|14| http://www.latribune.fr/entreprises…
|15| « Le Conseil va poursuivre son travail de surveillance pour identifier les risques associés aux pratiques de ce secteur », Mark Carney cité dans http://www.lesechos.fr/entreprises-…
|16| Voir Philippe Lamberts et Gaspard Denis, « Les 7 péchés capitaux des banques », 2013http://www.pechesbancaires.eu/
|17| The Economist, Special report Offshore Finance, 16 février 2013.
|18| Discours de Nicolas Sarkozy, le 25 septembre 2008 à Toulon (cité dans Damien Millet et Éric Toussaint, AAA. Audit Annulation Autre politique, Seuil, 2012, p. 34). Voir aussi la carte blanche de Didier Reynders, ministre belge des finances de 1999 à 2011 : « Tirer les leçons de la crise financière », Le Soir, 24 avril 2009, http://archives.lesoir.be/tirer-les…
|19| Voir Daniel Munevar, “Un pequeño recordatorio de parte de JP : La importancia de la Volcker Rule”, 25 mai 2012, http://cadtm.org/Un-pequeno-recorda… La règle Volcker entrera en vigueur au plus tôt en juillet 2015
|20| Voir Matt Taïbbi, “How Wall Street Killed Financial Reform”, Rollingstone, 10 mai 2012,http://www.rollingstone.com/politic…. Voir également Les Echos, « La réforme de Wall Street reste aux deux tiers inachevée », 12 décembre 2012, p. 28.
|21| FT, « Fed eyes delay to Volcker rule”, 18 novembre 2013 et “Volcker comes of age in spite of protests”, 11 décembre 2013. Stéphane Lauer, “Les Etats-Unis adoptent la « règle Volcker » pour limiter la spéculation”, Le Monde, 10 décembre 2013, http://www.lemonde.fr/economie/arti…
|22| La proposition de texte était en débat à la chambre des Lords en novembre 2013. Voir :http://services.parliament.uk/bills…
|23| Voir Erkki Liikanen (chairperson), High-level Expert Group on reforming the structure of the EU banking sector, octobre 2012.
|24| Voir le texte complet : http://www.assemblee-nationale.fr/1…. Par ailleurs, les autorités de Belgique, des Pays-Bas et du Danemark travaillent aussi séparément sur un texte national mais il y a peu de choses à en attendre.
|25| Voir l’excellente critique de Gaël Giraud au projet de loi sur la réforme bancaire en France ainsi que sur Dodd-Frank, Vickers et Liikanen : http://www.lavie.fr/www/files/media…. Gaël Giraud montre que le projet de loi du gouvernement de François Hollande est plus favorable au statu quo et donc aux banques que la loi Dodd-Franck et les recommandations des commissions Vickers et Liikanen. Voir également : « ATTAC, Les 20 propositions d’Attac pour une véritable réforme bancaire », 14 février 2013, http://www.france.attac.org/article…
|26| Côté européen, le texte initialement annoncé pour l’automne 2013 pourrait être mis au placard en attendant la nouvelle commission qui sera mise en place fin 2014 suite aux élections européennes de juin 2014.
|27| Financial Times, 9 septembre 2013.
|28| Challenges, « La cloison bancaire est bien fragile », 11 octobre 2012, p. 28.
|29| Financial Times, “Nordea chief takes a swipe at Liikanen”, 30 octobre 2012.
|30| Finance Watch, « Le poil à gratter des lobbies bancaires », Lesechos.fr, 23 janvier 2013,http://www.lesechos.fr/23/01/2013/l…
|31| Le résumé des propos de Andrew Haldane et de Thomas Hoenig s’appuie sur : Financial Times, “Warnings over steps to reform biggest banks”, 28-29 octobre 2012, p.3.
|32| Financial Times, “European banks gain after Basel rules eased”, 8 janvier 2013.
|33| The Economist, “Bank liquidity. Go with the Flow. Global regulators soften their stance on liquidity”, 12 janvier 2013, p. 60.
|34| Un mortgage-backed security (MBS) ou un titre hypothécaire est une valeur mobilièreadossée à des actifs. Il s’agit d’une forme d’asset-backed security. Sa valeur de revente est garantie à la fois par un ensemble de portions d’hypothèques et par les intérêts* payés sur ces hypothèques. Les paiements sont habituellement versés mensuellement pendant la durée de vie des actifs qui servent de garantie. Cependant, tous les titres garantis par une hypothèque ne sont pas nécessairement des MBS. Les obligations sur résidences (mortgage revenue bonds), garanties par les hypothèques qu’elles financent, ne sont pas des MBS mais des RMBS (Residential Mortgage-backed security).
|35| Financial Times, “Brussels retreat on key bank reform”, 30 janvier 2013.
|36| Financial Times, « Short selling win gives UK third victory in Brussels clash », 1ère page, 13 septembre 2013.
|37| Voir Patrick Saurin, « Socialiser le système bancaire », 2 février 2013, http://cadtm.org/Socialiser-le-syst…
|38| Ce glossaire reprend les principales notions présentes dans le présent ouvrage. Les définitions proposées proviennent soit de l’auteur, soit de Gaspard Denis et Philippe Lamberts, soit des sites : wikipédia, http://www.alternatives-economiques.fr, http://definition.actufinance.fr,http://www.banque-info.com/lexique-…, http://www.banque-france.fr, http://www.trader-finance.fr,http://www.lesechos.fr, http://www.lafinancepourtous.com, http://www.insee.fr L’auteur remercie Pauline Imbach qui a contribué à réaliser ce glossaire.
|39| Les CDS jouent aussi un rôle très important à un autre niveau : une banque qui acquiert un CDS pour se couvrir contre le risque que représentent des titres qu’elle détient peut réduire le poids de ces actifs dans son bilan. Nous verrons plus loin que les banques sont effectivement à la recherche de moyens leur permettant de faire « croire » aux autorités de contrôle qu’elles respectent les exigences de fonds propres par rapport au total des actifs (voir la partie… sur Bâle 2 et la pondération des risques).
|40| Voir Règlement (UE) N° 236/2012 du Parlement européen et du Conseil du 14 mars 2012 sur la vente à découvert et certains aspects des contrats d’échange sur risque de crédit http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ…. Comme l’indique le titre du règlement, sont visées les ventes à découvert. La vente à découvert consiste à vendre sur le marché un titre que l’on ne possède pas, dans l’espoir de le racheter plus tard à un prix inférieur. La réglementation sur les ventes à découvert est assortie d’une série d’exceptions qui offrent de nombreuses possibilités d’y échapper. Voir aussi :http://www.lemonde.fr/economie/arti… Comme si les exceptions ne suffisaient pas, en septembre 2013, l’avocat général de la Cour de justice de l’Union européenne a remis en cause le droit des autorités d’interdire les ventes à découvert (short selling*) même en situation de crise.
|41| Voir Financial Times, « Brussels charge 13 banks in CDS case », 2 juillet 2013.
|42| Financial Times, « EU shadow banking plan rapped », 26 mars 2012 ; « MMF lose worth in low interest rate world », 10 septembre 2012.
|43| Financial Times, “20 money market funds rescued”, 21 octobre 2013.
Éric Toussaint, maître de conférence à l’université de Liège, préside le CADTM Belgique. Il est auteur du livre Procès d’un homme exemplaire, Éditions Al Dante, Marseille, 2013 ; Un coup d’œil dans le rétroviseur. L’idéologie néolibérale des origines jusqu’à aujourd’hui, Le Cerisier, Mons, 2010. Il est coauteur avec Damien Millet du livre AAA, Audit, Annulation, Autre politique, Le Seuil, Paris, 2012 ; La dette ou la vie, Aden/CADTM, Bruxelles, 2011. Ce dernier livre a reçu le Prix du livre politique octroyé par la Foire du livre politique de Liège, http://www.cadtm.org/Le-CADTM-recoi….
Prochain livre à paraître en 2014 : Bancocratie chez ADEN, Bruxelles,http://www.chapitre.com/CHAPITRE/fr…
Remerciements : L’auteur remercie pour leur aide Aline Fares, Pierre Gotiniaux, Pauline Imbach, Damien Millet, Daniel Munevar, Brigitte Ponet, Claude Quémar et Patrick Saurin.
Les illustrations peuvent être reprises à condition de clairement mentionner qu’elles ont été produites par le CADTM.
Cette étude prolonge la série « Banques contre Peuples : les dessous d’un match truqué ! »parue en 2012-2013 sur www.cadtm.org