DI
CARLO CLERICETTI
Lo stesso giorno in cui a Riga, dopo l’ennesimo incontro finito con un nulla di fatto, i rappresentanti europei lanciavano bordate di insulti contro il ministro Yanis Varoufakis (“dilettante, perditempo, giocatore d’azzardo”, espressi naturalmente in via ufficiosa ma non off the record, perché si voleva che i media li riprendessero), l’economista greco ha pubblicato sul sito Social Europe un articolo, dal titolo A new deal for Greece, che con ogni probabilità riproduce pari pari quello che ha detto nella riunione e che ha provocato la reazione infuriata dei partner europei.
Vale la pena di leggerlo, quell’articolo, scritto in maniera piana e semplice, perché spiega molto bene che cosa la Grecia vorrebbe e permette di giudicare se l’esplosione di rabbia degli interlocutori sia stata giustificata. Quello che si vuol far credere all’esterno è che i greci vogliono aiuti senza dare niente in cambio, rifiutano “le riforme”, insomma stanno provando a strappare delle concessioni che permettano loro di campare alle spalle degli altri europei senza correggere quel che non va nella loro economia. La realtà è molto diversa. Il fatto è che si vogliono imporre alla Grecia una serie di misure, alcune delle quali non hanno nulla a che fare né con l’aggiustamento dei conti né con il miglioramento dell’economia, che rispondono a due precise caratteristiche: segnano una perfetta continuità con la “cura” imposta fino ad ora, che ha ridotto il paese allo stremo e provocato un’impennata a livelli stratosferici del rapporto debito/Pil; e sono profondamente reazionarie, mirando a cancellare il ruolo dello Stato e a riportare indietro di un secolo i rapporti di lavoro.
Il tono dell’articolo di Varoufakis è tutto l’opposto di quell’atteggiamento strafottente di cui più volte è stato accusato. E’ invece molto conciliante, e fin dall’inizio afferma che “tre mesi di negoziati hanno portato il governo greco e i partner europei e internazionali a molte convergenze sui passi che sono necessari per superare anni di crisi economica e ottenere una ripresa sostenibile”. Subito dopo ribadisce che “noi e i nostri partner siamo già d’accordo su molte cose”, e ne elenca una serie: il sistema di tassazione da riformare e le autorità che lo gestiscono da sottrarre a influenze sia politiche che delle grandi corporation; la previdenza “malata”; il circuito del credito interrotto; il mercato del lavoro troppo segmentato e la produttività che non cresce; la pubblica amministrazione da modernizzare e un migliore utilizzo delle risorse pubbliche; gli ostacoli burocratici alla nascita di nuove imprese; la concorrenza nel mercato dei prodotti. E solo alla fine aggiunge una disuguaglianza “atroce”, cosa di cui presumibilmente i suoi interlocutori se ne impipano.
Siamo anche d’accordo, prosegue Varoufakis, sul perseguire il consolidamento fiscale: quello su cui dissentiamo è il metodo. Quello seguito finora consisteva nel fissare un obiettivo futuro (il 120% di debito/Pil nel 2020) e in base a quello determinare l’avanzo primario di bilancio che dovrebbe permettere di raggiungerlo, in base a ipotesi arbitrarie su crescita, inflazione, ricavi delle privatizzazioni e così via. Ma perseguire quel livello di avanzo getta il paese in una “trappola dell’austerità”: abbatte la crescita e di conseguenza fa mancare gli obiettivi. E’ appunto per questo, conclude l’economista, che i precedenti piani di consolidamento fiscale hanno sbagliato le previsioni in modo così “spettacolare”. Chi può avere il coraggio di affermare che ha torto?
Ma c’è un secondo ostacolo, prosegue il ministro: la “trappola delle riforme”. Il precedente programma che i nostri partner continuano a sostenere in modo inflessibile è basato sulla svalutazione interna, tagli di salari e pensioni, eliminazione delle protezioni per i lavoratori e massimi ricavi possibili dalla vendita di beni pubblici. Ma neanche questa ricetta ha funzionato: è vero, abbiamo raggiunto il pareggio della bilancia commerciale, ma nonostante la forte riduzione di salari e costi l’export non è aumentato, e il pareggio è stato raggiunto solo per un drammatico calo delle importazioni. Diminuire ancora i salari non risolverebbe nulla, così come è sbagliato pensare di risolvere il problema delle pensioni con altri tagli: quello che serve è aumentare gli occupati e combattere il lavoro nero.
Le posizioni espresse da Varoufakis non costituiscono una novità clamorosa. Sono le stesse sostenute dalla maggior parte degli economisti e dei commentatori indipendenti e persino dalla più autorevole stampa di orientamento liberale come l’Economist o il Financial Times. Il più autorevole commentatore di quest’ultimo, Martin Wolf, qualche giorno fa ha anche ricapitolato alcune cifre che dimostrano quale pazzesca stretta abbia già subìto la Grecia: “Tra il 2009 e il 2014, il saldo di bilancio primario (esclusi gli interessi sul debito) si è ridotto del 12 per cento del prodotto interno lordo, il disavanzo di bilancio strutturale del 20 per cento del Pil e la bilancia delle partite correnti del 12 per cento del Pil. Fra il primo trimestre del 2008 e l’ultimo trimestre del 2013, la spesa in termini reali dell’economia greca è scesa del 35 per cento e il Pil del 27 per cento, mentre la disoccupazione ha toccato un livello record del 28 per cento della forza lavoro. Sono aggiustamenti di enormi proporzioni”.
Perché, dunque, Varoufakis ha scatenato la rabbia degli interlocutori, che lo hanno anche accusato di voler fare loro una lezioncina accademica, comportandosi cioè da professore invece che da ministro? Perché l’Europa di Schaeuble, Katainen, Dijsselbloem (uno che ha studiato dalle suore) e dell’inesistente Moscovici se ne infischia di cosa serva davvero a superare la crisi. Vuole imporre la sua politica reazionaria e non può permettere che la Grecia sfugga dalla morsa. Varoufakis è un “dilettante” perché dimostra di non voler accettare questa logica, si rifiuta di capire che la soluzione può essere una sola: cedere al ricatto.
Ora Tsipras, di fronte all’inasprirsi dei toni e pressato dall’imminente disastro, ha di fatto sacrificato Varoufakis, pur senza sconfessarlo. Resta da capire se sia un atto di resa definitiva. Che avrebbe però pesanti ripercussioni interne: la sinistra di Syriza, che conta per almeno il 30% del partito, non accetterebbe questo sbocco, che aprirebbe la strada a scenari difficili da prevedere. Ma può anche darsi che questo sia un estremo tentativo di arrivare a un accordo che non ricalchi la strada disastrosa seguita nel passato. Vedremo nei prossimi giorni se il sacrificio di Varoufakis sarà servito a qualcosa.