DI
TONY CARTALUCCI
Fin dal 2007 gli Stati Uniti progettavano il rovesciamento e la distruzione di tutti i principali ordini politici dell’area MENA ( Medio Oriente e Nord Africa). Questo è stato detto chiaramente in un articolo del 2007 sul New Yorker del giornalista e Premio Pulitzer Seymour Hersh:
Per danneggiare l’IRAN, che è per la maggior parte Shiita, l’Amministrazione Bush ha deciso, in realtà, di rivedere le sue priorità nel Medio Oriente. In Libano, l’Amministrazione ha collaborato con il governo saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine intese a indebolire Hezbollah, l’organizzazione shiita sostenuta dall’Iran. Gli USA hanno anche preso parte ad operazioni clandestine contro Iran e la sua alleata Siria. Un sottoprodotto di queste operazioni è stato quello di aver incoraggiato l’ascesa di gruppi estremisti sunniti che adottano una visione militante dell’Islam e sono ostili all’America e simpatizzanti di al Qaeda.
Hersh rivelò anche che a quel tempo, gli Stati Uniti – allora sotto l’amministrazione del Presidente George Bush e attraverso intermediari tra cui gli alleati Sauditi – avevano già iniziato a sostenere finanziariamente la Fratellanza Musulmana che nel 2011 avrebbe svolto un ruolo determinante nelle prime fasi di quella guerra distruttiva che oggi infuria in tutto il Medio Oriente.
Nel 2008, il Dipartimento di Stato statunitense individuò in Libia, Siria e altrove, attivisti di ogni genere dell’area MENA, indottrinandoli accuratamente sulla sottile arte dell’industria delle “rivoluzioni di colore” di Washington e Wall Street. Furono preparati per una campagna senza precedenti di destabilizzazione politica – pilotata dagli USA – che nel 2011 fu chiamata “Primavera Araba”.
Attraverso il NED (National Endowment for Democracy) e Movements.org – entrambi dipendenti dal Dipartimento di Stato USA – in diverse occasioni frotte numerose di questi ribelli furono chiamati a N.Y., Washington D.C. ed altri posti del mondo per essere addestrati, attrezzati e finanziati, per poi tornare nei loro paesi di origine e tentare di rovesciare i rispettivi governi.
In un articolo dell’Aprile 2011 pubblicato dal NYT dal titolo: “Gruppi USA hanno contribuito ad alimentare i disordini arabi” fu ammesso che:
Un certo numero di gruppi e di individui direttamente coinvolti nelle rivolte e nelle riforme radicali della regione, tra cui il Movimento 6 aprile della Gioventù d’ Egitto, il Centro del Bahrain per i diritti umani e altri attivisti individuali come Entsar Qadhi, giovane yemenita, hanno ricevuto addestramento e finanziamenti da parte di gruppi come l’International Republican Institute, il National Democratic Institute e Freedom House, un’organizzazione no-profit per i diritti umani con sede a Washington.
Riguardo al NED, l’articolo aggiungeva che:
Questi organismi, d’ispirazione repubblicana e democratica, sono vagamente affiliati ai partiti repubblicano e democratico. Sono stati istituiti dal Congresso e finanziati attraverso il National Endowment for Democracy, istituito nel 1983 per convogliare aiuti per la promozione e la diffusione della democrazia verso i paesi in via di sviluppo. Il National Endowment riceve circa $100 milioni l’anno da parte del Congresso. Anche Freedom House ottiene così la maggior parte dei suoi fondi, soprattutto dal Dipartimento di Stato.
E’ chiaro, infatti, che la copertura politica – la primavera araba – e il sostegno premeditato di gruppi terroristici tra cui al Qaeda, sono stati pianificati anni prima che la primavera araba divenisse una realtà nel 2011. Scopo dichiarato era quello di rovesciare quei governi che ostacolavano le ambizioni egemoniche di Washington e di Wall Street, parte di una più ampia agenda mirata al contenimento di Russia e Cina. La distruzione della regione MENA è stata quindi intenzionale e premeditata, come lo è ancora oggi.
S’INFRANGE L’ONDA DEI CAMBI DI REGIME
Dal 2011, tutte le “rivoluzioni di colore” si sono poi materializzate in eserciti di terroristi, sostenuti dagli Stati Uniti, che hanno tentato di dividere e distruggere ogni nazione. In Libia questo scopo è stato da tempo pienamente raggiunto. In Egitto e in Siria, invece, a diversi livelli di fallimento, questa ‘Agenda’ è in stallo.
L’Egitto, grazie alle sue dimensioni geografiche e alle capacità del suo esercito, è riuscito ad evitare un conflitto di dimensioni nazionali. In Siria, invece, con l’ulteriore rischio di un’ invasione da parte di Giordania e Turchia, la violenza è stata ancora più drammatica e duratura.
Ma nonostante l’iniziale euforia dell’Occidente nel vedere la sua perversa cospirazione riuscire nel suo intento di rovesciare i governi di tutta la regione MENA, la capacità della Siria di resistere alle forze degli ‘intermediari’ occidentali e, ora, anche ad un’azione più diretta, ha interrotto completamente quest’ondata di cambiamenti di regime.
Il senatore statunitense John McCain (repubblicano – Arizona) che ha letteralmente posato nelle foto con leader terroristi sia in Libia sia in Siria, tra cui l’ormai Capo del cosiddetto Stato Islamico (ISIS) in Libia, Abdul Hakim Belhaj, al culmine delle agitazioni della Primavera Araba, minacciò prematuramente Mosca e Pechino di dirigere anche verso di loro quel caos ben orchestrato dagli USA
Inutile dire che Mosca e Pechino non solo erano già pronti a questi tentativi di destabilizzazione, ma lo erano anche per piegare quei tentativi non appena si fossero affacciati ai loro confini. Di fronte al nuovo stallo, Stati Uniti e collaboratori regionali, hanno tentato di giustificare l’intervento militare diretto in Siria prima di quanto lo avessero fatto in Libia – sostenendo che in questo modo avrebbero scongiurato un disastro umanitario e aiutato i “combattenti per la libertà” (Freedom Fighters). Tuttavia, con i crimini commessi da USA e NATO ancora freschi nella memoria dell’opinione pubblica mondiale, questa storia è risultata del tutto insostenibile. Alla periferia di Damasco sono stati inscenati attacchi con armi chimiche, sotto il naso degli ispettori delle Nazioni Unite, nel tentativo di incastrare il governo di Damasco e giustificare l’intervento militare diretto degli Stati Uniti. Anche in questo caso, ricordando simili storielle spacciate dall’Occidente prima della sua decennale invasione in Iraq, e grazie all’esperta diplomazia di Mosca, è stato scongiurato il pericolo di una guerra mondiale. E mentre è sempre più ovvio che la presenza di al-Qaeda e ISIS in Siria e in Iraq sia il risultato diretto e premeditato della sponsorizzazione nella regione di entrambi i due gruppi da parte di USA e NATO, l’Occidente ha tentato di usarli come pretesto per un intervento militare diretto non solo in Siria, ma ancora una volta contro lo stesso Governo di Damasco.
E ORA…VIA AI PROFUGHI
Mentre vacilla quest’ultimo tentativo di giustificare una spinta finale per il cambio di regime in Siria, e mentre le potenze europee cominciano ad interrogarsi sull’opportunità o meno di intervenire ulteriormente in Siria a fianco degli Stati Uniti, ecco che inizia ad abbattersi sull’Europa un diluvio di rifugiati, come avessero avuto un segnale. Come nella scena di un film, ecco apparire orde di rifugiati laceri ammassati lungo le varie frontiere. Come hanno detto vari mezzi di stampa occidentali, sembravano essere sbucati fuori dal nulla, come da una nuvola di fumo. In realtà, non sono affatto sbucati dal nulla. Sono apparsi in Turchia, membro della NATO dagli anni ’50 e uno tra i più fedeli paesi alleati degli Stati Uniti. La Turchia, attualmente, sta ospitando i militari statunitensi, incluse le forze speciali e la CIA che, insieme ai militari e alle agenzie di intelligence turche, conducono dal 2011 una guerra per procura nella vicina Siria.
La Turchia ha adottato entusiasticamente e in modo sospetto una politica di ‘porte aperte’ ai rifugiati, spendendo ingenti somme di denaro e di capitale politico per accoglierli. La ‘Brookings Institution’ – uno dei maggiori think-tank politici che hanno architettato la guerra in Siria – nel suo articolo di luglio 2015 – “Dal Caos all’ Ordine – “Il significato per i rifugiati siriani della politica ‘porte aperte’ della Turchia,” scriveva:
Oggi la Turchia è il più ampio bacino mondiale di rifugiati. Dall’Ottobre del 2013, il numero dei profughi siriani si è più che triplicato, raggiungendo quasi due milioni di registrati.
Brookings scrive anche:
Il prezzo per la Turchia è stato altissimo. I funzionari governativi si sono affrettati a far sapere al mondo di aver speso più di 6 miliardi di dollari per i rifugiati e lamentano la mancanza di un adeguato sostegno internazionale.
Brookings ha descritto in dettaglio gli sforzi compiuti dalla Turchia, in coordinamento con le ONG occidentali, per gestire l’ondata umana. Avrebbe poco senso se questi rifugiati all’improvviso scomparissero e finissero in Europa all’insaputa del governo Turco e soprattutto di quelli Europei, o senza un loro diretto coinvolgimento.
PEDINE DI GUERRA
E’ chiaro che dietro alla politica per i rifugiati della Turchia, non c’è una vera motivazione altruistica. La Turchia è uno dei principali incubatori di terroristi che operano in Siria, e un importante collaboratore nella guerra per procura della NATO contro il suo vicino di casa. La Turchia ha permesso ogni giorno a centinaia di camion carichi di rifornimenti di attraversare indisturbati i suoi confini e raggiungere i territori controllati dall’ISIS.
La Turchia è stata anche incaricata, attraverso diversi documenti politici statunitensi, di creare una “zona cuscinetto” e un “porto sicuro” per l’accoglienza dei rifugiati, e di costituire in territorio siriano una ‘fortezza’ per i terroristi pilotati dalla NATO, da cui poter lanciare le varie operazioni militari. Probabilmente, i profughi dovevano servire come popolazione iniziale di un qualsiasi nuovo stato che la NATO avesse costituito con i territori sequestrati nella Siria settentrionale, dove avrebbe anche stabilito delle no-fly zones.
Ora pare che molti di questi rifugiati siano invece stati reindirizzati verso l’Europa. Tuttavia, non tutti i profughi che dalla Turchia si riversano in Europa sono collegati al conflitto siriano. Molti sono in transito in Turchia da altri teatri bellici sempre pilotati dalla NATO, come Afghanistan, Pakistan e Iraq. La Turchia sembra stia fungendo da punto centrale di transito non solo come centro di smistamento dei terroristi destinati al conflitto siriano, ma anche per raccogliere i rifugiati proveniente da tutta l’area MENA e dall’Asia Centrale, per poi convogliarli in gran numero verso i paesi dell’Europa. Alcuni rapporti indicano anche che i rifugiati stanno ricevendo assistenza direttamente dal Governo Turco.
Il documento Greek Kathimerini dell’International New York Times, in un articolo intitolato “L’ondata dei profughi è legata alle nuove politiche della Turchia,” dice così:
Secondo fonti diplomatiche, il forte aumento nell’afflusso dei migranti in Grecia, per lo più provenienti dalla Siria, è dovuto in parte ad un cambiamento nelle strategie geopolitiche della Turchia.
Secondo questi funzionari, esiste un collegamento tra l’ondata dei migranti nell’Egeo orientale e le pressioni politiche in Turchia che si prepara alle elezioni anticipate in novembre, e con una recente decisione di Ankara di collaborare con gli Stati Uniti nel bombardamento di obbiettivi governativi in Siria. L’analisi di diversi funzionari indica che l’afflusso dei profughi in Turchia si sta verificando come se il governo Turco facesse finta di niente o se lo stesse addirittura incoraggiando.
Catastrofi come queste, che a prima vista possono sembrare “improvvise” e “inattese” – e anche “inarrestabili” – in realtà vengono incoraggiate nel quadro di uno scenario operativo totalmente controllato dagli Stati Uniti e dalla NATO, costituendo quindi una reale cospirazione che contrappone profughi disperati e/o appositamente sfruttati provenienti dalla Turchia, a un pubblico europeo manipolato, timoroso e male informato.
Lo stesso vale per tutta quella serie di attacchi programmati in vari paesi Europei – attribuiti ad ISIS. In tutti i casi avvenuti, senza alcuna eccezione, gli autori erano già noti alle agenzia d’intelligence occidentali, come nel caso del massacro del Charlie Hebdo. Tutti gli individui coinvolti erano stati monitorati per quasi dieci anni dall’agenzia di sicurezza francese. Uno di loro, che è stato arrestato, durante il periodo di sorveglianza aveva anche viaggiato all’estero, divenendo complice di al Qaeda, ed era tranquillamente tornato in Francia. E neanche a farlo apposta, le agenzie d’intelligence francesi avevano interrotto solo sei mesi prima la loro sorveglianza a causa di “mancanza di risorse”.
Quelli a cui è familiare il programma ‘Gladio’ della NATO degli anni della Guerra Fredda, comprendono facilmente che si è trattato di attacchi pianificati, nel quadro di una strategia della tensione intesa a creare paura e timore all’interno del paese e raccogliere consenso per le guerre all’estero.
La recente crisi dei rifugiati viene utilizzata allo stesso scopo. Infatti, mentre i mezzi stampa occidentali alimentano un falso dibattito tra vari personaggi politici sull’accettare o rifiutare incondizionatamente i profughi, l’unico argomento su cui si cerca di creare accordo tra le due ‘correnti’ è che la responsabilità del problema risiede nell’ instabilità di tutta l’area MENA e che quindi si renderanno necessari ulteriori bombardamenti…
Gli attuali dibattiti sull’opportunità di un intervento militare diretto in Siria ormai non riguardano più il ‘ sostegno ai combattenti per la libertà” o il “fermare gli WMD” o la “lotta contro ISIS”; ma solo “un intervento militare che può aiutare a risolvere la “crisi dei rifugiati”.
I titoli dei maggiori mezzi di stampa occidentali non fanno alcun cenno al ruolo che l’Occidente ha avuto nella distruzione dell’area MENA, e neanche al fatto che questa crisi trae origine dall’interno della NATO e non tanto dall’esterno. I rifugiati non sono che pedine, volutamente spostate da una parte all’altra della scacchiera per provocare una prevedibile reazione da parte dei loro avversari del tutto impreparati – il pubblico europeo. Mentre gli ingegneri sociali sono impegnati in una partita a scacchi tridimensionale, il pubblico occidentale sembra un bambino che si mette in bocca le pedine.
Considerando questa triste realtà, qualunque sia la giustificazione che l’Occidente darà alla crisi dei profughi, dovrà in ogni caso affrontare da solo il problema Siria e dei suoi alleati – con un pubblico europeo disperatamente indifeso di fronte ad una cospirazione di cui esso stesso si è reso complice.
INGEGNERIA SOCIALE vs L’INEVITABILE DECLINO DI UN IMPERO
Una crisi di rifugiati era inevitabile, indipendentemente dalla tempistica e dall’entità di qualsiasi ‘diluvio’ manipolato o fabbricato dall’Occidente. Distruggendo il pianeta per creare un impero, saccheggiando nazioni e depredando le ricchezze del mondo, inevitabilmente si provocano flussi infiniti di vittime defraudate alla ricerca della tana dei ‘ladri’. Mentre si espande un impero, e con esso il numero delle sue vittime, al numero di quelli che l’impero è in grado di assimilare al suo interno si contrappone il numero di quelli che invece ne restano sopraffatti. E alla fine dei conti, la bilancia pende sempre dalla parte di questi ultimi.
Fu proprio questo il destino dell’Impero Romano, che nel corso del suo declino, vide le sue istituzioni sopraffatte dai popoli che aveva conquistato più velocemente di quanto esse riuscissero ad assimilarli.
Tornando all’Occidente, esso ha preferito lo scontro alla cooperazione. Ha tagliato i suoi legami commerciali con la Russia, ha allontanato la Cina e continua a partecipare a guerre interminabili in tutta le regione MENA e in Asia Centrale. Si è lanciato in una pericolosa campagna di ‘dividit et impera’ nel Sud-Est Asiatico, condita da terrorismo e disordini politici, dimenticando tutte le virtù che lo resero all’inizio un potere mondiale di tutto rispetto.
Difficile dire quanto della recente crisi dei profughi sia da attribuire ad un’ ingegneria sociale e quanto all’inevitabile conseguenza di un impero in declino – anche se, il fatto che degli ‘ingegneri sociali’ siano stati tentati dallo sfruttare un gran numero di rifugiati creati dalle loro stesse politiche estere, è indicativo di un profondo e irreversibile declino geopolitico.
Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore di geopolitica, vive a Bangkok, scrive in particolare per la rivista online “New Eastern Outlook”
Fonte: http://landdestroyer.blogspot.it
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63