DI
FEDERICO DEZZANI
“Una fragile calma cede il passo alle turbolenze” titola il rapporto trimestrale pubblicato ad inizio marzo dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, secondo cui i recenti sconquassi borsistici sono solo le avvisaglie dell’imminente tempesta finanziaria, persino peggiore di quella culminata con il collasso di Lehman Brothers. Il livello di indebitamento globale ha toccato nuovi record, l’economia è in stallo e, dato più allarmante, le politiche dei tassi a zero hanno fallito l’obbiettivo di risollevare l’economia: la banche centrali sono oggi impotenti ed in balia degli eventi. L’allarme lanciato dalla svizzera BRI deve tenuto nella massima considerazione, data la sua natura di “banca delle banche centrali”: come l’organismo aveva “previsto” con ampio anticipo la crisi del 2007-2008 sfociata nella Grande Recessione, così i suoi nuovi allarmi rispecchiano le vere condizioni dei mercati. L’incremento dell’allentamento quantitativo è la prova che anche la BCE ha sparato l’ultima, inutile, munizione.
La Banca dei Regolamenti Internazionali, l’occhio che tutto vede
Corre l’anno 1930 quando il Piano Young, al fine di garantire l’ordinato trasferimento delle riparazioni di guerra tedesche sui conti dei Paesi creditori, crea la Banca Internazionale dei Regolamenti (BRI): l’iniziativa è presa dagli Stati Uniti che, rifiutata la sottoscrizione il Trattato di Versailles ed in pieno isolazionismo hooveriano, agiscono attraverso rappresentanti semi-ufficiali della Riserva Federale, uomini di fiducia della JP Morgan. L’ubicazione della sede del neonato istituto cade su Basilea, importante snodo ferroviario tra Germania, Svizzera e Francia, mentre per la figura di presidente, scartato il nome del francese Jean Monnet (futuro “padre nobile” della CECA e della CEE, a dimostrazione di quali interessi si celeranno dietro il processo di integrazione europea nel secondo dopoguerra) è scelto l’americano Gates W. McGarrah, affermato banchiere e direttore della Federal Reserve Bank di New York.
Se finanza e massoneria vivono in simbiosi dai tempi della nascita della Banca d’Inghilterra, a maggior ragione la Banca dei Regolamenti Internazionali, camera di compensazione tra gli interessi delle diverse banche centrali nazionali, non può che essere frequentata dai più alti gradi della massoneria speculativa: all’inaugurazione della BRI nell’aprile 1930, partecipano per l’Italia Vincenzo Azzolini, numero due di Bankitalia, ed Alberto Beneduce, 33esimo grado del GOI ed ai vertici della finanza italiana, presiedendo enti come il Crediop, l’Icipu e la Bastogi. Ad affiancarli c’è il ghota della finanza e dalla massoneria internazionale: l’onnipotente Montagu Norman, governatore della Banca d’Inghilterra, l’omologo francese Emile Moreau e quello tedesco Hjalmar Schacht.
Il punto terzo dello statuto della BRI recita:
“Compito della banca sono: promuovere la cooperazione delle banche centrali e provvedere facilitazioni aggiuntive per le operazioni finanziarie internazionali; operare come fiduciari o agenti nei regolamenti finanziari internazionali ad essa affidati da accordi tra le parti finanziarie”.
Le riparazioni di guerra tedesche sono, in sostanza, solo uno degli ingredienti alla base del nuovo istituto e, forse, neppure il più importante: preme infatti avere uno strumento per per la consultazione e la collaborazione permanentetra banche centrali.
La BRI, nata a distanza di pochi mesi dal grande crollo di Wall Street, allargatosi a macchia d’olio all’intera economica globale, entra presto in azione: nel maggio del 1931 ha inizio, con l’insolvenza della banca Credit Anstalt fondata dal ramo austriaco dei Rothschild, la crisi bancaria che travolgerà prima l’ex-impero asburgico, poi la Germania ed infine il resto dell’Europa. Altro choc sistemico, sempre nel 1931, è il crollo di uno dei capisaldi della finanza mondiale: l’Inghilterra, stremata da anni di deflazione, svalutazione interna e recessione economica, dà l’addio al gold standard dopo l’ammutinamento della flotta militare di stanza ad Invergordon, sintomo che la società inglese è vicina al punto di ebollizione ed è impossibile difendere ad oltranza il sistema aureo.
Al termine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti, che pure avevano giocato un ruolo determinante nella nascita dell’istituto, meditano di sciogliere la BRI, accusata di aver collaborato con il ministro delle finanze tedesche, Walther Funk, durante la guerra: gli europei però, sospettando probabilmente che l’obbiettivo americano sia l’egemonia indiscussa ed incontrastata dei due istituti nati con gli accordi di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, si oppongono strenuamente, salvando così il prototipo stesso di quegli organismi, come l’FMI, il WTO, o la UE, nati per sviluppare i flussi internazionali di capitale e propagare l’influenza della finanza anglofona. Non a caso, gli aspetti tecnici del processo che culmina con l’introduzione dell’euro, sono curati, dagli anni ’60 sino alla firma nel 1992 del Trattato di Maastricht, nella sede svizzera della BRI.
La natura della Banca Internazionale dei Regolamenti, le consente di essere allo stesso tempo dentro i meandri delle banche centrali ed allo stesso tempo super partes: è la camera di compensazione tra gli istituti che controllano l’emissione di moneta, non il comitato esecutivo della FED o della BCE. Mentre i governatori delle banche centrali sono quindi costretti alla massima cautela (ed omertà) nei loro periodici comunicati, la BRI gode di un certo di margine di libertà, grazie al fatto che le sue pubblicazioni non hanno un impatto diretto su nessuna moneta: la BRI, in sostanza, ha meno freni inibitori nel descrivere il vero stato di salute della finanza mondiale.
Non è un caso se la crisi dei mutui spazzatura, culminata nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, fosse stata ampiamente prevista dall’istituto: risale al 2003 il lavoro “Whiter Monetary and Financial Stability? The implications of Evolving Policy Regimes”1 dove si asserisce che la prolungata discesa del saggio di risconto della banche centrali (abbassato allora dalla FED all’1%, minimo dagli anni ’502) seguito da un progressivo rialzo, favorisce prima la formazione e poi l’esplosione di bolle speculative, specie nel settore edilizio ed in quello azionario. È esattamente quanto avviene quando i tassi, dal 2004 al 2007 risalgono fino al 5,25%, prima sbollentando il prezzo degli immobili e dei corsi azionari, e poi causandone il crollo. Il “profetico” documento (che non descrive nient’altro che le dinamiche già sottostanti al crash del 1929) è firmato da William White, capo economista della BRI, e Claudio Borio, dimostratisi molto più lungimiranti di Nouriel Roubini, venduto a fini commerciali come “l’economista che ha previsto lo scoppio della bolla immobiliare”.
William White lascia la BRI nel 2008 per entrare all’OCSE. Intervistato nel 2013 dal quotidiano inglese The Telegraph, il profetico economista lancia un nuovo allarme: “BIS veteran says global credit excess worse than pre-Lehman”3 titola l’articolo, dove si asserisce che i disequilibri che hanno portato all’ultimo crollo borsistico sono tutt’ora presenti, anzi, sono addirittura peggiorati. Nelle economie avanzate il debito totale rapportato al PIL è cresciuto del 30%, le bolle speculative si sono estese ai mercati emergenti e nessuno può prevedere cosa accadrà quando le banche centrali, presto o tardi, saranno obbligate ad alzare i saggi di risconto.
Subentra il 2015 ed agli allentamenti quantitativi della FED, della BOE e della BOJ, si aggiunge quello della BCE, il cui bilancio cresce ad un ritmo tale da raggiungere velocemente quello dell’omologa americana e preparare il sorpasso: in un simile contesto, l’annuncio dato il 16 dicembre ai mercati da Janet Yellen, di un rialzo del saggio di risconto dallo 0,25% allo 0,5% , ha il mero sapore della propaganda mediatica. Il mondo, in realtà, continua ad essere inondato di liquidità, senza che questa esca però mai dai circuiti finanziari, per irrorare l’economia reale: la dinamica dei prezzi è infatti ovunque piatta, se non scivola addirittura in territorio negativo, mentre l’economia globale, fiaccata dal rallentamento cinese, mostra preoccupanti segnali di recessione.
Nel gennaio del 2016, The Telegraph intervista nuovamente William White ed il titolo dell’articolo “World faces wave of epic debt defaults, fears central bank veteran”4 è sufficientemente eloquente: l’indebitamento globale aumenta senza sosta e, alla prossima recessione, diverrà palese che questa mole di debito è impagabile. “Il giubileo dei debiti” dice White (citando la saltuaria cancellazione delle obbligazioni prevista nell’Antico Testamento) sarà inevitabile e spetterà alla politica governarne gli impatti sulla società (il debito di qualcuno è pur sempre il credito di qualcun altro). L’accanirsi delle banche centrali sulle politiche monetarie accomodanti è tanto inutile quanto dannoso: spetta alla politica riscoprire il proprio primato, lanciando una serie di manovre fiscali espansive (le classiche opere infrastrutturali) per uscire dalle sabbie mobili della crisi.
In concomitanza all’intervista di William White, le borse mondiali affondano senza sosta sigillando il peggior gennaio dal 2009, quando l’economia mondiale annaspava tra i gorghi post-Lehman Brothers: ad innervosire i mercati è il rallentamento dell’economia cinese, il crollo del greggio (capace di innescare la bancarotta di un terzo delle società operanti nel settore5) e la percezione sempre più diffusa che le banche centrali abbiamo raschiato il fondo del barile.
È la volta ora di Claudio Borio, l’altro economista della BRI ad aver previsto nel 2003 lo scoppio della bolla immobiliare in nuce, adesso a capo del dipartimento monetario ed economico: ai primi di marzo, in occasione della presentazione della rassegna trimestrale, Borio afferma, commentando le recenti turbolenze dei mercati, che “quelli che vediamo potrebbero non essere solo fulmini isolati, ma i segnali di una tempesta vicina che si sta preparando da molto tempo”6. Il documento pubblicato dalla Banca Internazionale dei Regolamenti ha le stesse (alte) probabilità di essere “profetico” quanto quello che preannunciò la crisi dei mutui spazzatura: le banche centrali hanno esaurito le munizioni ed l’accanirsi con i tassi attorno allo zero, se non negativi, sortisce come unico effetto la contrazione della redditività delle banche, non a caso vittime del forte ribasso borsistico di inizio anno.
Recita la rassegna della BRI, dall’eloquente titolo “Una fragile calma cede il passo alle turbolenze”7:
“All’origine di parte delle turbolenze vi è stato il crescente timore degli operatori del mercato per le opzioni sempre minori per il sostegno delle politiche di fronte all’indebolimento delle prospettive di crescita. Con lo stretto margine di manovra disponibile nelle finanze pubbliche e le politiche strutturali ampiamente latenti, le misure delle banche centrali sono sembrate in via di esaurimento. (…) Le costanti turbolenze finanziarie in un contesto globale di debolezza hanno dato il via a una seconda fase di agitazioni, in cui i mercati hanno preso in considerazione l’eventualità che le banche centrali possano spingere ulteriormente i tassi di interesse in territorio negativo e, contemporaneamente, accentuare la persistente debolezza nella redditività delle banche. (…) All’origine di parte delle turbolenze degli ultimi mesi vi è stata una crescente percezione nei mercati finanziari secondo cui le banche centrali potrebbero aver quasi esaurito le opzioni di policy efficaci. I mercati hanno differito ulteriormente al futuro le aspettative per la ripresa di una graduale normalizzazione da parte della Fed. E nel momento in cui la BoJ e la BCE hanno manifestato la propria intenzione di prorogare l’accomodamento, i mercati hanno palesato accresciuti timori per le conseguenze indesiderate di tassi ufficiali negativi. Sullo sfondo, la crescita è rimasta deludente e l’inflazione persistentemente al di sotto degli obiettivi.
A distanza di poche giorni dalla pubblicazione del rapporto, i timori della BRI trovano conferma nella nuova mossa della BCE: l’inasprimento dei tassi negativi per gli istituti che depositano denaro nei forzieri (blindati, fino a prova contraria) di Francoforte, un ulteriore riduzione del costo del denaro e l’estensione degli acquisti di titoli alle obbligazioni societarie. Il tutto mentre l’eurozona scivola nuovamente in deflazione ed il malessere degli istituti di credito si irrobustisce.
L’inutile accanimento della BCE
A distanza di uno anno dal lancio dell’allentamento quantitativo della BCE, l’unico giudizio positivo esprimibile è che la sua mancata adozione avrebbero forse reso la situazione ancora peggiore: un Paese come l’Italia, che ha chiuso il 2015 con un PIL a +0,6%, avrebbe quasi inanellato l’ennesima recessione senza le esportazioni facilitate dal cambio €/$ sotto a 1,15. Diversamente il quadro è desolante, come certifica il dato sull’inflazione nell’eurozona, precipitato nel febbraio 2016 a -0,2% su base annua: per l’Italia (dove la caduta dei prezzi è persino più accentuata, -0,3%), un simile andamento significa non solo l’archiviazione di qualsiasi ipotesi di ridurre il debito pubblico, ma addirittura rende sempre più traballanti le finanze pubbliche (basti pensare all’IVA, che è una percentuale fissa del prezzo delle merci e quindi cala al deprezzarsi delle stesse).
Nonostante ciò, il governatore della BCE Mario Draghi (altro 33esimo grado della massoneria che siede con disinvoltura nei più ristretti ed esclusivi salotti finanziari mondiali) ha optato, più per disperazione che per convinzione, per la continuazione della strategia adottata. Anzi, ha deciso di calcare la mano: agli istituti che depositano il denaro presso la BCE è applicato un interesse negativo che passa dal precedente -0,3% al -0,4%, il saggio di risconto tocca infine lo 0% dal 0,05% precedente, ed ai 60 €mld di acquisti mensili di titoli di Stato (per l’80% collocati in pancia alla rispettive banche nazionali) se ne aggiungono altri 20 di obbligazioni societarie. Si pone però il problema già evidenziato da Claudio Borio.
Le banche europee (e quelle italiane in particolare) traggono una parte modesta dei ricavi dall’attività di investimento/speculazione, normalmente galvanizzata dagli allentamenti quantitativi delle banche centrali (si pensi che l’americana Citigroup, banca universale per eccellenza, produce in questo settore il 25% dei ricavi8), mentre sono ancora dipendenti dalla tradizionale attività creditizia. Ne consegue che l’unico vantaggio concreto è il lievitare del prezzo dei titoli di Stato di cui i bilanci sono ricolmi. La politica accomodante delle BCE non risolve però, ad esempio, il dramma delle sofferenze (ammontanti in Italia a 202 €mld, secondo le ultime cifre9), né aiuta il cuore dell’attività creditizia, che ha bisogno di un contesto macroeconomico sano per funzionare, pena il diniego di linee di credito anche per le attività più rodate. Non solo, nel momento in cui al vertice dei sistema creditizio (la BOJ ha intrapreso la stessa strada e la FED non esclude di agire allo stesso modo in futuro) si introduce la politica dei tassi negativi, presto o tardi, questa deve essere applicata a cascata sino al consumatore: d’altronde come le banche pagano per lasciare il denaro presso la BCE e non prestare, così il cittadino comune dovrebbe “pagare” per lasciare il denaro sul conto corrente e non spendere.
La riluttanza degli istituti di credito ad applicare i tassi negativi alla clientela è alla base dell’erosione di redditività paventata dalla BRI: la minaccia è particolarmente avvertita da quegli istituti, come la casse di risparmio tedesche, che data la loro natura aborriscono l’idea di essere costrette a pagare per parcheggiare il denaro presso la BCE e necessitano di investimenti che, per quanto poco rischiosi, abbiano comunque un rendimento (anche i Bund tedeschi pagano da tempo interessi negativi). Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, da sempre critico verso l’allentamento quantitativo, ha lanciato il monito che entro il 2019 rischia di andare in fumo fino al 75% degli utili delle banche tedesche, se la BCE non inverte la rotta.
Dall’altra parte dell’oceano Atlantico, il governatore della FED, dopo il frazionale rialzo del saggio di risconto di dicembre, ha rimandato qualsiasi ulteriore incremento, in attesa di capire l’evoluzione della situazione economica statunitense e globale: il termine “incertezza” ricorre sempre più sovente nel lessico di Janet Yellen. Incerta è l’evoluzione dei tassi, incerto è l’andamento dell’economia, incerte, di riflesso, sono le idee dei banchieri centrali10:
“Also, it is important to note that the Committee makes its decisions on a meeting-bymeeting basis and does not and need not decide on a likely future path for the federal funds rate. Indeed, the future path of policy is necessarily uncertain because the economy will surely evolve in unexpected ways. As we note in our statement, the actual path of the federal funds rate will depend on the economic outlook as informed by incoming data.”
Il “giubileo dei debiti” evocato dall’ex-economista del BRI, indispensabile per rilanciare l’economia, incombe, senza che la politica ne abbia neppure cognizione: i precedenti storici con cui si uscì dall’opprimente cappa di deflazione e debito impagabile non sono rassicuranti.
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org
1https://www.kansascityfed.org/publicat/sympos/2003/pdf/Boriowhite2003.pdf
2https://research.stlouisfed.org/fred2/series/FEDFUNDS
3http://www.telegraph.co.uk/finance/10310598/BIS-veteran-says-global-credit-excess-worse-than-pre-Lehman.html
4http://www.telegraph.co.uk/finance/financetopics/davos/12108569/World-faces-wave-of-epic-debt-defaults-fears-central-bank-veteran.html
5http://www.reuters.com/article/us-usa-shale-bankruptcy-idUSKCN0VP0O6
6http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Bri-Banca-dei-regolamenti-internazionali-segnali-di-tempesta-vicina-vacilla-la-fiducia-nelle-banche-centrali-Crescita-deludente-inflazione-bassa-a33e70ae-d2b9-476e-9aa0-84122a9d7ba9.html?refresh_ce
8http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-03-08/citigroup-says-markets-revenue-to-tumble-15-in-first-quarter
9https://www.lastampa.it/2016/03/09/economia/le-sofferenze-bancarie-salgono-a-miliardi-QLFEdrSKYbFE7aiivybg6L/pagina.html
10https://www.federalreserve.gov/mediacenter/files/FOMCpresconf20160316.pdf