France

DI

AMBROSE EVANS PRITCHARD

 

Negli ultimi mesi la Francia è diventata ancor più visceralmente euroscettica dell’Inghilterra, alterando profondamente la geografia politica dell’Europa e rendendo impossibile prevedere come Parigi possa reagire ad un Brexit.

Un’ingestibile crisi economica ha eroso da oltre una decade la legittimità delle elite alla guida della Francia. A questo ora si aggiunge il collasso della credibilità del governo, e la crescente rabbia contro l’immigrazione.

Un’inchiesta pan-europea del Centro Ricerche Pew divulgata oggi ha scoperto che il 61% dei votanti francesi hanno un’opinione “contraria”, mentre in Inghilterra sono solo il 48 %.

Una chiara maggioranza si oppone ad una “ancora più stretta unione” e vuole che i poteri siano restituiti al parlamento francese, una scoperta che difficilmente può coabitare con l’insistenza del presidente François Hollande che la risposta alle sofferenze europee sia “più Europa”.

“E’ una protesta contro le elite” dice la professoressa Brigitte Granville, economista francese della Queen Mary University di Londra. “Ci sono 5000 persone che gestiscono tutto in Francia. Questi sono tutti collegati tra loro per formazione scolastica e matrimoni, e sono molto uniti.

La Granville dice che i meccanismi dell’unione monetaria hanno sconvolto il matrimonio strategico franco-tedesco, ferendo la psiche francese. Sostiene che: “L’UE è stata venduta ai francesi come un accordo fra pari con la Germania. Ma è stato molto chiaro che a partire dal 2010 questo non sia vero. Chiunque può vedere come la Germania decida tutto sulla Grecia”.

La morte del sogno di Monnet di un’unione europea, stabilizzatrice degli stati pone una minaccia esistenziale al progetto europeo e si sta sviluppando in parallelo a quanto accade in Inghilterra.

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Il Front National di Marine Le Pen è in vantaggio nei sondaggi per le elezioni presidenziali del 2017 con promesse di ritornare al franco francese e abbattere l’edificio europeo. Mentre era da molto tempo stabilito che lei non potesse mai vincere con una maggioranza assoluta, nessuno ne è molto sicuro dopo quanto è accaduto in Austria nelle elezioni del mese scorso.

“Il Front National sta cogliendo l’occasione del dibattito sul brexit” dice Giles Merritt, capo del think-tank di Bruxelles Friends of Europe.

Dice: “Le élite dei regolamenti dell’UE sono in panico. Se lo shock del voto inglese per lasciare sarà così spaventoso alla fine si sveglieranno realizzando che non possono più ignorare le domande di riforme democratiche”.

Aggiunge: “Potrebbero dover dissolvere l’UE per come attualmente è e provare a reinventarla, sia per richiamare gli inglesi sia per la paura che se non lo fanno l’intero sistema politico europeo verrà spazzato via.

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Mr. Merritt ha detto che è un errore supporre che l’UE continui come un blocco monolitico in grado di dettare legge dopo un voto per il brexit. Afferma: ”Gli inglesi hanno rotto la bolla. I tedeschi sono profondamente allarmati su come la situazione scivoli via da ogni lato”.

Il sondaggio di Pew mostra come l’insoddisfazione per l’UE è cresciuta al 49% in Spagna e al 48% in Germania, due nazioni che di solito sono viste come pro-europee. Questo è grosso modo quanto avvenuto in Inghilterra, anche se con caratteristiche diverse e minor intensità.

La Francia ha sempre avuto un nucleo euroscettico e ha rifiutato, con ampio margine, la Costituzione europea nel 2005, questo sentimento è cresciuto legato alla crescita del Front National.

La signora Le Pen ha vinto con il 55% dei voti della classe operaia alle ultime elezioni delle amministrazioni locali, rosicchiando al lato sinistro del partito socialista ufficiale difendendo con le unghie lo stato sociale francese e con una dichiarazione di guerra alla globalizzazione. La sua strategia riecheggia fortemente quella di Mussolini.

La professoressa Granville dice che “Le Pen ha attirato tutte quelle persone che si sentono tagliate fuori, gli scontenti di destra e sinistra, e si sta allargando alla classe media”.

“Siamo in una fase molto pericolosa. Le élite francesi sono molto spaventate di quello che può succedere in Francia in caso di Brexit”.

La rivolta arriva a Parigi sotto forma di un’onda di protesta contro la riforma del lavoro, una forzatura che sta portando il partito socialista vicino alla rottura. Le misure intraprese vengono imposte per decreto in modo da evitare di sottoporle a votazione.

Le scene di guerriglia con la polizia per le strade francesi sono state un disastro di pubbliche relazioni in vista del campionato europeo di calcio Euro 2016. I conflitti con le industrie sono stati in gran parte attenuati ma i discorsi notturni per evitare lo sciopero delle ferrovie sono falliti. I lavoratori del settore ferroviario chiedono un massimo di 32 ore settimanali.

Eric Dor della scuola di management IESEG di Lille sostiene che forti garanzie ai lavoratori hanno reso la Francia irriformabile. Dice che “Non c’è un generale consenso su cosa sia necessario fare. Si è allo scontro tra due diverse concezioni della società ed è per questo che il conflitto è così violento.”

Aggiunge che le riforme del lavoro sono state annacquate e sono ben distanti dalle leggi Hartz IV emanate in Germania nel 2004, le quali rendono più facile licenziare i lavoratori e abbassarne il salario. La chiave della contesa è un piano per la contrattazione salariale a livello aziendale, attualmente praticata in economie vivaci.

La Professoressa Granville dice che l’establishment francese non è mai entrato in accordo con le politiche monetarie europee. Dice: “Sia che stiamo nell’euro o no. Se vogliamo stare – e l’euro è una religione per tali persone – dobbiamo ridurre i costi del lavoro, ma non vogliono. Abbiamo ancora leggi fiscali che sono datate a prima della Rivoluzione”.

Il modello sociale francese è basato su tasse sul lavoro punitive. Con l’effetto non voluto di creare un distruttivo cuneo fiscale che rende troppo oneroso assumere nuovi lavoratori. Protegge chi è in carica ma penalizza chi sta fuori, conducendo ad una cultura degradata tra le masse di giovani disoccupati delle periferie.

Ci sono 360 diverse tasse con 470 scappatoie. Il codice del lavoro è triplicato dal 1985 fino a contenere 3000 pagine. I sindacati controllano solo il 7% dei lavoratori ma hanno possibilità di bloccare le imprese con più di 50 dipendenti. Per la Granville è un – inferno dantesco -.

Il fallimento delle riforme è arrivato insieme al Cocktail tossico degli effetti distruttivi delle riforme dell’unione monetaria. I danni sono stati meno drammatici che in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, ma hanno effetti potenzialmente insidiosi.

La Francia rispetto alla Germania ha perso il 20% in competitività per unità di costo di lavoro, ma è bloccata dallo stesso regime di cambi. Il risultato è uno svuotamento delle manifatture francesi per un valore di 60.000 posti di lavoro all’anno.

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Il codice del lavoro francese ha messo su molto peso.

La stretta monetaria e l’inasprimento fiscale della zona euro tra il 2011 e il 2014 ha bloccato i risanamenti e portato a una crescente recessione. Questo mix di austerità è stato autodistruttivo e ha spinto il debito pubblico francese al 100% del Pil.

Ha portato ad una trappola deflazionistica che rende sempre più difficile recuperare il terreno perduto. Questa storia ricorda la lenta tortura della Francia sotto il Gold Standard e la famigerata deflazione di Pierre Laval negli anni ’30. In quel caso è finita con l’elezione del Front Populaire e si è rasentata la guerra civile.

Hollande è intrappolato dalla sua campagna retorica di quattro anni fa, quando ha venduto una nostalgia anni ’70 e promesso piani di aumento della spesa pubblica, “la finanza è il mio nemico” diceva.

Ha fallito nel cogliere l’occasione di realizzare spinose riforme nei primi mesi della sua presidenza. La sua credibilità è adesso così in basso che nell’ultimo sondaggio di TNS-Sofrescon un 84% di intervistati che dichiarano una “totale mancanza di fiducia”, questa Francia effettivamente sta nel limbo.

La spesa pubblica è al 57% del Pil, un livello nordico ma senza la flessibilità lavorativa di Svezia e Danimarca. La disoccupazione è ancora al 10,2% pur in questa parte finale di ciclo globale, e non è mai tornata ai livelli pre-Lheman.

Il tempo sta correndo per i difensori dello status quo francese. E’ difficile vedere come l’ordine attuale possa sopravvivere al doppio colpo di un Brexit e alla ricaduta dell’economia globale.

Fonte: www.telegraph.co.uk

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Fonte versione italiana www.comedonchisciotte.org traduzione a cura di PAOLOG