Di
Mauro Bottarelli
Mentre in Italia il Nobel per la medicina, Beatrice Lorenzin, sfida qualche lustro di pubblicistica scientifica, azzardando il contagio malarico tra uomo e uomo per evitare di dover instillare il dubbio che magari la zanzara incriminata in Veneto l’ha portata qualche simpatica risorsa sotto forma di larva (la Boldrini e Fiano hanno già accusato dell’accaduto le cattive bonifiche operate dal Duce), in Cina si concludeva l’annuale meeting dei BRICS e Vladimir Putin teneva la sua attesa conferenza stampa. Molti, ovviamente, gli argomenti trattati: dall’apertura a osservatori OSCE e caschi blu ONU a loro difesa nel Donbass all’annuncio di una cruciale visita in Egitto, “Paese con il quale i rapporti bilaterali sono in crescita”, dalla ricerca di dialogo con Trump ma senza cedere di un millimetro – “Non sono il suo sposo e lui non è la mia sposa” – fino alla questione proprio del contenzioso diplomatico in atto con gli USA, in particolare la querelle relativa al consolato di San Francisco.
“E’ una violazione evidente della nostra proprietà privata perciò, tanto per cominciare, ho dato ordine al ministero degli Esteri di presentare ricorso in tribunale: vediamo quanto efficace è il sistema giudiziario americano, tanto lodato”, ha attaccato Putin, sottolineando che “la Russia si riserva il diritto di ridurre ulteriormente il numero di membri del personale diplomatico statunitense a Mosca, misura che per ora non viene decisa. Le azioni di Washington sulle strutture diplomatiche russe negli Usa sono rozze e senza precedenti”. Ma, ovviamente, la parte del leone l’ha fatta la Corea del Nord: “Ricorrere a nuove sanzioni nei confronti verso PyongYang è inutile, bisogna spingere la questione al dialogo tra tutte le parti. Gli Stati Uniti stanno agendo in modo assurdo, imponendo sanzioni sia contro la Russia sia contro la Corea del Nord e chiedendo poi a Mosca di acconsentire a nuove misure restrittive contro Pyongyang. E’ certamente assurdo equipararci alla Corea del Nord e poi chiederci di aiutare a imporre sanzioni contro la Corea del Nord”. Ma non solo.
Il presidente russo ha quindi dichiarato che questa politica viene portata avanti “da persone che confondono l’Australia con l’Austria e poi vanno dal loro presidente e dicono: adesso parliamo con la Russia, affinché si unisca a noi nel rafforzamento delle sanzioni”. Pensate abbia usato la sciabola e non il fioretto? Sentite qua: “Tutti ricordano bene cosa è successo in Iraq. Saddam Hussein aveva rinunciato alla produzione di armi di distruzione di massa, tuttavia, con il pretesto della ricerca proprio di queste armi, è stato distrutto il Paese e Saddam è stato impiccato. In Corea del Nord lo sanno bene tutti e se lo ricordano. C’è davvero qualcuno che pensa che solo per l’adozione di qualche sanzione, la Corea del Nord abbandonerà il percorso, intrapreso per creare armi di distruzione di massa?”. Infine: “Nuove sanzioni nei confronti della Corea del Nord e l’isteria della militarizzazione della situazione potrebbero portare a una catastrofe globale, una catastrofe nucleare planetaria con moltissimi morti”.
Insomma, una zibaldone di geopolitica. Cui, però, mancano due tasselli: Venezuela e Siria. Stranamente, gli stessi Paesi che, da un giorno con l’altro, sono spariti anche da tg e giornali di casa nostra. Oppure con le proteste di Caracas ci hanno frantumato i coglioni per giorni, così come per la fuga della procuratrice generale che altrimenti sarebbe finita in galera: era tutto un tripudio di solidarietà con il fiero popolo venezuelano contro il regime affamatore, aperture di telegiornali, prime pagine, dotti editoriali, appelli alla mobilitazione e alla solidarietà. Poi, di colpo, puf. Tutto sparito. L’ultimo rantolo di interesse è stato quello legato alle nuove sanzioni USA contro Caracas, lo stesso che ha fatto eccitare tantissimo Enrico Mentana in ferie, poi il buio. Eppure, ci siamo quasi. Già, perché come ricorderete, la leva utilizzata da Washington è quella finanziaria, legata al rifinanziamento dei bond sovrani e petroliferi venezuelani.
E Petroleos de Venezuela si appresta appunto a rimborsare un prestito ormai prossimo alla scadenza: il bond PDVSA 8,50% 2017 da circa 900 milioni di dollari e la prima tranche del bond PDVSA 8,50% 2020 da 1,15 miliardi di dollari, oltre agli interessi maturati, hanno scadenza è prevista tra la fine di ottobre e i primi di novembre. Dovrebbe essere tutto un fremito in attesa del default che spingerebbe Maduro fuori dai palazzi del potere e, invece, nulla. Sapete perché? Da un lato perché, come sempre, PDVSA utilizza soldi dei fondi pensione per acquistare a mercato titoli in scadenza, sfruttando i bassi prezzi offerti e limitando così l’impatto finale del rimborso dei titoli. E dall’altro perché istituzioni finanziarie russe starebbero operando in tal senso in appoggio di Maduro, sostenendo quei bond. Business? No, strategia politica. Come confermato alla tv russa dal ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, a detta del quale “il presidente Putin ha assicurato che non lasceremo che gli USA mettano le mani sui maxi giacimenti petroliferi del Venezuela. Stiamo lavorando a stretto contatto con le autorità venezuelane per fornire ogni possibile sostegno economico a Caracas”.
E che non si tratti di una sparata lo ha confermato il 1 settembre scorso il “Wall Street Journal”, il quale ha scritto in prima pagina quanto segue: “L’amministrazione Trump è pronta ad impedire alla più grande compagnia statale russa di ottenere il controllo sulle risorse energetiche chiave del Venezuela negli USA. Probabilmente questo passo infiammerà le tensioni tra Washington e Mosca”, commentava il giornalista Ian Talley. Al centro della disputa, appunto, il petrolio, visto che il giornale della comunità finanziaria USA ricordava come “la compagnia Petróleos de Venezuela (PdVSA) ha proposto alla russa Rosneft quasi metà delle azioni della sua filiale americana Citgo Petroleum Corp. come copertura del credito di 1,5 miliardi dollari, concesso da Rosneft nel 2016 per sostenere PdVS, che aveva bisogno di liquidità e al suo proprietario: il governo venezuelano”. Vuoi vedere che gli USA hanno fatto male i loro calcoli un’altra volta e, finché non si trova una controffensiva credibile, è meglio evitare di pubblicizzare questa ennesima figura di merda sui media? E poi, loro non erano preoccupati per la democrazia in Venezuela, per il popolo affamato? Da quando democrazia e petrolio sono sinonimi?
E la Siria? Stesso discorso. E’ di oggi pomeriggio la notizia che l’esercito governativo siriano e le milizie alleate hanno impresso un’accelerata all’avanzata verso Deir Ezzor, enclave fedele al presidente siriano Bashar al-Assad sul fiume Eufrate nell’est del Paese, da anni sotto l’assedio dello Stato islamico. L’altro giorno, Mohammed Ibrahim Samra, governatore della provincia di Deir Ezzor, ha dichiarato in un’intervista telefonica alla Reuters che “entro poche ore” l’esercito dovrebbe arrivare in città: e così è stato, l’Isis è in rotta, tanto che già dall’altra notte, parte della popolazione è già scesa in strada per celebrare l’arrivo dei soldati e l’imminente sconfitta dei jihadisti. Come mai Lucia Goracci non è sul luogo celebrare la ritrovata libertà? Forse perché a liberare quelle donne e quegli uomini sono militari fedeli ad Assad, cattivo a prescindere per i dettami del Tg3?
O forse perché al fianco delle truppe siriane sono presenti anche le forze speciali russe, il cui contributo nell’offensiva in tutta la regione orientale sembra essere molto consistente? O forse perché la guarnigione e la popolazione civile sono riusciti a sopravvivere grazie agli aiuti sganciati dal cielo dagli aerei governativi e russi? Già, solo quest’anno sono stati effettuati circa 300 lanci di cibo e generi di prima necessità, mentre numerosi feriti sono stati evacuati con elicotteri. Davvero troppo per la povera Goracci. E Mentana, l’uomo che sussurrava al forno crematorio di Assad? Poraccio anche lui, che ritorno dalle ferie di merda. Mi sa che finiranno in analisi, avanti di questo passo. Perché per quanto la pantomima nordcoreana sia molto hollywoodiana, Kim Jong-un non vale un Assad o un Putin in chiave di propaganda, non ci si avvicina nemmeno un po’. Bei tempi quelli degli ospedali pediatrici di Aleppo, vero Goracci? Ogni giorno un bombardamento russo, seguito da rastrellamenti stile SS delle truppe di Assad. E adesso, invece? Voli umanitari con lanci di cibo e liberazione di una città simbolo.
Che vita di merda quella del/la velinaro/a di Washington: ti fanno eccitare come un pazzo per mesi, sparando tutte le puttanate che vuoi da Roma o da un hotel di Istanbul e poi sul più bello, tac. Fine del Truman Show, sia in Venezuela che in Siria i piani non sono andati proprio come dovevano. Che pena. Io direi di lanciare una sottoscrizione: paghiamo noi l’analista a Mentana e Goracci, è il minimo dopo mesi e mesi di intrattenimento gratuito che ci hanno offerto. Ah, già che ci sono, vi sparo un paio di previsioni. Primo, a breve Donald Trump annuncerà un viaggio in Cina. Secondo, dopo che oggi il ministero della Difesa francese ha frantumato il muro del ridicolo, mettendo in guardia da un attacco nordcoreano contro l’UE “prima di quanto possiamo aspettarci”, state certi che lo stato di emergenza in Francia non finirà il 1 novembre. Queste puttanate sono i sintomi di un’altra proroga in vista, fino a primavera. Alè, la farsa del terrore permanente vada pure avanti. Ma la realtà è testarda.