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Domanda: siete un grande dirigente di una grande azienda che però ha grandi problemi; che fate per prima cosa? Risposta: A) Tagliate tutti gli sprechi, a partire dagli stipendi dei top manager (partendo proprio dal vostro di cui vi vergognate anche un po’). B) Elaborate un piano di rilancio a prova di bomba e chiedete i soldi ai vostri azionisti, con la coda tra le gambe e il cappello in mano. C) Non ci pensate due volte: minacciate di licenziare migliaia di operai e chiedete subito tanti quattrini allo Stato. Se per voi le risposte giuste sono la “A” o la “B”, allora non siete dei veri manager. Ma se la risposta corretta, per voi, è la terza, beh, non c’è dubbio che tenga: non siete un lettore del nostro blog. Siete, anzi sei (nun ce prova’…) Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat. Hai giustamente appena detto che ci sono ben 60.000 posti in bilico. E chiesto e richiesto, senza tanti giri di parole, un aiutone al governo.

Un’idea geniale, quella di Marchionne. Che ha trovato subito una sponda tra i comprensivi colleghi industriali di Confindustria (che a loro volta hanno alzato il tiro, indicando in 300mila il numero delle tute blu a rischio piede nel sedere nell’intero settore auto). Ma soprattutto un’idea talmente fina da giustificare in pieno il lauto stipendio dell’amminstratore delegato della Fiat (7 milioni di euro di stipendio nel 2005; 6,6 milioni di euro nel 2006 e 6,8 milioni di euro nel 2007). E che si spiega certamente con le tre-lauree-tre (in filosofia, giurisprudenza ed economia) di cui Marchionne si è sempre vantato. Perchè diciamocelo: uno zotico con la terza media non sarebbe mai arrivato neppure a formularla una pensata del genere.

Così come uno zotico – rimanendo in casa Fiat – non avrebbe mai avuto la classe di un Luca Cordero di Montezemolo. Che da presidente della casa di Torino – quando le vacche erano grasse come i suoi stipendi (circa 7 milioni di euro all’anno; più le stock option) – non faceva che chiedere allo Stato di fare dei passi indietro, lamentandosi dei “lacci e lacciuoli” della burocrazia. E ora che le vacche sono magre – ma appunto con grande nonchalance – non fa altro che ripetere allo Stato di farsi avanti. Con il portafoglio ben aperto. E possibilmente, pure un po’ alla svelta.

Fin qui le parole che i contribuenti si sono sentiti ripetere in modo martellante da giornali e tiggì in questi giorni.

Poi ci sono alcuni fatti che invece vengono da più lontano. E che sono tenuti fuori scena.  Fiat – non una vita fa, ma a settembre 2008 – si è impegnata a investire la bellezza di 640 milioni di euro per un nuovo stabilimento nell’ex Jugoslavia che dovrebbe arrivare – a pieno regime – a produre 300mila automobili (tra Punto e 500). E sempre la casa di Torino – ma a Tichy in Polonia – scodella assieme a Ford altre 400mila macchine. Mentre nel Belpase – in cinque stabilimenti – la casa di Torino non arriva a mettere insieme più di mezzo milione di auto. Numeri citati in una intervista a “Repubblica” proprio da Marchionne. Che ricordando i risultati della marcia della Fiat verso Est, aveva speso parole poco lusinghiere nei confronti degli operai tricolori: «A Tichy, in Polonia, vengono prodotte in un solo stabilimento 400 mila vetture all’ anno tra le nostre e quelle della Ford. In Italia ne produciamo 600 mila in cinque stabilimenti. Questo è offensivo».

E allora? E allora e per parlare chiaro: viene un dubbio. Anzi, più d’uno. Dove e come ha utilizzato la Fiat i danari incassati grazie ai contributi generosamente concessi per il 2007 e per il 2008 dal governo Prodi? E dove e come ha intenzione di utilizzare la Fiat i soldi del nuovo incentivo che con tutta probabilità concederà il nuovo governo italiota (e che potrebbe ammontare a circa 1.500 euro a macchina; per un totale di 2 miliardi tondi tondi di euro)? In Italia o all’estero? Un dubbio sollevato anche oggi dal segretario della Cgil, Guglielmo Epifani. Che – per la cronaca e per capirci – ha chiesto alla azienda degli Agnelli di spiegare, a scanso di equivoci, se intende mantenere la produzione nel nostro ex Belpaese. Perchè questa è la posta in gioco: la salvezza delle fabbriche tricolori. Che potrebbero – in parte – chiudere.

Un dubbio che però, per ora, è rimasto senza risposta. Che dire di più? Noi saremmo solo due bamboccioni. Ma visto che la stampa titolata – ossia i vari “Corriere” (al 10 e passa per cento di Fiat), “Stampa” (interamente di proprietà sempre di Fiat) e “Repubblica” – non lo fa, la questione la poniamo noi. Marchionne&co – ora che vengono a chiedere per l’ennesima volta un aiuto ai contribuenti italiani – chiariscano questo punto. O rinuncino ad aiuti, sostegni e incentivi vari. Perchè non va mai bene imbottire di danari pubblici i bilanci di un’azienda privata. Se però è necessario per salvare dei posti di lavoro, si può anche fare. Ma usare i soldi dei contribuenti italiani per aiutare un’azienda a trasferire la produzione all’estero, quello no. Quello è francamente troppo.

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org