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Dubbi non ce n’è. Ha cominciato con il piede giusto. Pronti e via: il freschissimo neosegretario del Partito democratico, Dario Franceschini ha deciso di dar subito fuoco alle polveri. Appena eletto, ha lanciato una crociata in difesa del popolo dei precari. E chiesto a gran voce al governo più sussidi di disoccupazione per tutti. Parole sante e risultato assicurato. Berlusconi in persona gli ha subito risposto ciccia. Ed è partito il primo sciopero. Domanda: contro il governo? Risposta: no, contro gli uomini del Piddì. Renato Soru – ex governatore democratico della Sardegna e editore dello storico giornale del partito guidato da Franceschini – voleva imbracciare la scure e fare a pezzi la redazione de “L’Unità”. Prepensionando e licenziando tutto il prepensionabile e il licenziabile (a partire, va da sè, dai precari). E così, ieri, redattori e collaboratori vari hanno deciso di incrociare le braccia. Oggi, il giornale non sarà in edicola. E domani, visto il rischio chiusura sbandierato dagli uomini di Soru, chissà.

Insomma: i segretari passano e le sconfitte (elettorali) pure. Ma la musica e il ritmo degli “scivoloni” – nella casa del primo partito del centro-sinistra italiano – non cambiano. E non potrebbe essere altrimenti. Per la semplice ragione che i suonatori sono sempre gli stessi. La debacle alle politiche che ha consegnato a Berlusconi&co una maggioranza bulgara; l’umiliazione in Abruzzo; e la mazzata alle regionali in Sardegna non sono bastate a convincere i piddini a scuotersi e a cambiare formula e soprattutto facce. I big del partito sono rimasti – tutti o quasi – al loro posto. Quello di comando.

Mandato in soffita il governo ombra tanto caro al Walter Veltroni che fu; Franceschini infatti ha riesumato la vecchia formula dei dipartimenti. Ogni “dipartimento”, un ministero (sempre per così dire “ombra”, s’intende). Ogni ministero, un volto più o meno noto.

Del resto si poteva non concedere una seconda possibilità a tanta gente valida? Ovviamente, no. Unico neo: per molti, questa chance non era proprio la seconda. E nemmeno la terza. Per dire: la “giovane” (46 anni) Giovanna Melandri è dal 1994 che si candida (alle elezioni) per sconfiggere Berlusconi. Ebbene: nonostante le sconfitte (più che altro sue e del centrosinistra), fino ad ora ha accumulato 5 scranni da parlamentare e 3 poltrone da ministro (due volta ai Beni culturali e una alle Politiche giovanili). Poltrone ministeriali che, con l’ombra di governo veltroniana, erano salite – giustamente – a quota quattro. Ebbene: ora, grazie al neo-segretario, potrà aggiungere alla collezione anche un dipartimento. Vista l’ottima prova da ministro (ombra) alle Comunicazioni – posto da cui la signora Melandri vigilava come un mastino sui conflitti di interesse dell’editore-primo ministro Berlusconi – Franceschini l’ha piazzata alla Cultura. Dovrà marcare stretto il ministro Bondi, insomma. Sicuramente i due faranno scintille. Magari a colpi di ruvidi baciamano.

Ma la poltrona di consolazione alla rodatissima Melandri è tutto fuorchè un’eccezione. Perchè è la “regola dell’usato (in)sicuro” ad aver guidato la mano del neo-segretario. Sulla poltrona del Welfare è rimasto letteralmente spaparanzato il già ministro ombra, Enrico Letta. Che a soli 42 anni di strapuntini di governo (per Politiche comunitarie, Industria e quant’altro) ne ha collezionati addirittura quattro: nel D’Alema 1&2; nell’Amato “nonsisaquanto” (francamente abbiamo perso il conto); e pure e per non farsi mancare niente, un posto da sottosegretario alla presidenza del consiglio, nell’ultimo governo Prodi. Ultimo governo Prodi che evidentemente ha dato un’ottima prova di sè (come ha dimostrato il voto degli elettori). E infatti da lì, già Walter e i suoi Walter boys avevano (ri)pescato a piene mani. E Franceschini non è stato da meno.

Oltre a Letta&Melandri, tra i nuovi capi dipartimento ci sarà anche l’ex ministro prodiano all’Istruzione, Beppe Fioroni (per altro già parlamentare da ben quattro legislature di fila); che si occuperà, appunto, del comparto Educazione. E – dulcis in fundo – la cosentina Linda Lanzillotta, che andrà ad occuparsi di Pubblica amministrazione. E che non ha solo una lunga carriera politica alle spalle (già funzionario al ministero del Bilancio e alla Camera; poi assessore in una vecchia giunta Rutelli; quindi ministra con Prodi). Ma pure un marito di successo (Franco Bassanini, che è stato ministro del governo Prodi I nella seconda metà degli anni Novanta; e ora è stato nominato dal governo Berlusconi alla presidenza della Cassa depositi e prestiti). Del resto, devono essersi detti a Roma nei dintorni del loft, noi der Piddì semo come una famija. Anzi semo proprio una famija.

Basta così? Ma manco per niente. Perchè all’appello, manca ancora il numero uno degli sconfitti di successo. Piero Fassino. Vero e proprio collezionista di poltrone&incarichi (5 volte parlamentare; 3 volte ministro e una volta sottosegretario), l’ex segretario dei Ds, il giorno delle primarie che incoronarono l’amico Walter, aveva strabiliato tutti con la sua lungimiranza politica: la nascita del “Pd contribuirà in modo decisivo a stabilizzare il centrosinistra e il governo Prodi”, disse. E detto e fatto (il Pd), Prodi è immediatamente franato. E l’alleanza con la Sinistra Arcobaleno pure. Risultato: Veltroni – a elezioni perse – lo ha subito nominato come sua “ombra” agli Esteri. E Franceschini gli ha confermato il posto. Nominandolo sempre responsabile di dipartimento e sempre agli Esteri. Di uno con un occhio (e soprattutto un naso) come quello di Piero, proprio non si poteva fare a meno. Ma soprattutto: non si poteva fare a meno del filosofo (perchè laureato in filosofia) piacentino, Pierluigi Bersani. Che ministro “ombra” per l’Economia era e capo dipartimento per l’Economia rimarrà. Del resto per uno come Bersani – che nel suo palmarès vanta solo, si fa per dire, 3 scranni da parlamentare, 3 da ministro e uno da presidente della Regione Emilia-Romagna – stare dentro o fuori dalla squadra di Franceschini, cambiava poco. Il filosofo emiliano è già sicuro che la sua avventura non finirà qui. Si è autocandidato a segretario, con la benedizione dell’eterno Massimo D’Alema. E con tutta probabilità quando Franceschini lascerà, sarà lui a sostituirlo.

Risultato finale: squadra che perde, non si cambia. Nè ora, nè mai. E Franceschini – che già sa che ad ottobre, quando si celebrerà il nuovo congresso, dovrà passare la mano per passare ad altro adeguato incarico – non ha rinunciato a dare battaglia. Le elezioni europee sono alle porte. E il neo-segretario per ramazzare qualche voto – oltre a battersi per i precari – già che c’era ha speso parole perentorie anche contro il male dell’astensionismo: “A chi è tentato dall’astensionismo o dal voto di protesta, voglio dire che non è il momento del passo indietro ma di quello in avanti”. Come è andata a finire? Semplice, gli elettori hanno subito risposto all’appello. Secondo un sondaggio pubblicato ieri da Repubblica a trionfare non sarà il partito di chi diserta le urne. Ma Udc e Italia dei valori che dovrebbero raddoppiare i loro voti. A tutto danno del Piddì che, invece, dovrebbe crollare. Per la Casta dei mandarini democratici, son sempre soddisfazioni.

P.S. Perchè abbiamo intitolato il post “Comunque vada, sarà un successo – Franceschini’s edition”? Semplice: quando Veltroni aveva nominato il suo governo ombra avevamo fatto un post identico. Stessi contenuti. Stesso titolo (”Comunque vada, sarà un successo”). E stessi nomi. Leggere (qui) la Veltroni’s edition, per credere.

 

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org