di Elvira Berlingieri –

cassinelliMentre il decreto sicurezza è ancora fermo alla Camera dei Deputati, il deputato del Pdl si fa portavoce delle proteste della rete e presenta una sostanziale modifica al maldestro emendamento che punisce i reati di opinione su internet. Non risolve ancora tutti i problemi, ma esclude almeno le coseguenze più disastrose
La bufera di critiche suscitata dall’emendamento proposto dal senatore Gianpiero D’Alia nel pacchetto sicurezza sembra avere toccato non solo gli utenti e i destinatari della norma, ma anche le istituzioni. Mentre il pacchetto sicurezza è ancora all’esame della Camera, il deputato Roberto Cassinelli fa sua e diffonde dal proprio blog una proposta di emendamento presentata alle Commissioni Affari istituzionali e Giustizia che, sempre per lo specifico caso dei reati di opinione, responsabilizza l’utente e il gestore dello spazio in seconda battuta, ed elimina l’obbligo di filtraggio da parte degli Isp. Come scrive il deputato sul suo blog nel presentare la proposta, l’emendamento è stato riscritto per evitare le pesanti conseguenze della precedente proposta D’Alia: «Ne va anche della credibilità del Parlamento, che altrimenti darebbe l’impressione di voler legiferare su argomenti tecnici senza avere le conoscenze per farlo». La disponibilità del deputato è esemplare, e dopo un incontro organizzato dal settimanale L’espresso con vari blogger, si è reso disposto a raccogliere le opinioni degli utenti e frutto di quell’incontro è un wiki dove è possibile apportare proposte di modifica al testo che emenda l’articolo di D’Alia.
Sempre Cassinelli si è fatto promotore, nello scorso novembre, di una proposta di legge intesa a modificare la disciplina in materia di stampa nella parte in cui si definisce il prodotto editoriale e in relazione alla vigente disciplina in materia di stampa clandestina. Abbiamo già ampiamente esaminato che cosa accadrebbe se la proposta D’Alia diventasse legge sotto i profili delle conseguenze per i reati di opinione, così come abbiamo anche discusso della proposta Carlucci per il divieto di anonimato esteso a chiunque inserisca contenuti in rete e per l’estensione integrale della legge stampa a tutte le questioni di diffamazione. Rimangono, quindi, da esaminare le prospettive future che potrebbero derivare dall’approvazione delle proposte di Cassinelli.
I reati di opinione
La questione dei reati di opinione in rete, oggetto dell’emendamento D’Alia, è sostanzialmente modificata dalla proposta Cassinelli sul solo piano procedurale: nessuno dei due si è operato per modificare le condotte già incriminate dal codice penale. Sebbene il codice risalga al 1930, gli articoli sopravvissuti ai vari interventi legislativi -  l’istigazione a delinquere (414 c.p.) e l’istigazione a disobbedire alle leggi (415 c.p.) – sono stati colpiti dalla scure della Corte Costituzionale, la quale ha specificato come il comportamento che integra le condotte punibili «non é, dunque, la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti».
Il primo comma dell’emendamento Cassinelli così recita:
Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia dette attività a mezzo internet, l’autorità giudiziaria può disporre con proprio decreto l’interruzione dell’attività indicata, ordinando al soggetto ritenuto autore del reato di provvedere alla immediata rimozione, a titolo preventivo e cautelare, del contenuto attraverso il quale si estrinseca la citata attività. Il destinatario del provvedimento deve, in questo caso, procedervi senza ritardo e, comunque, non oltre ventiquattro ore dalla notifica del provvedimento. In caso di ritardo nell’adempimento a detto ordine, l’autore è tenuto al pagamento di una sanzione, da euro mille fino ad euro settantamila, commisurata ai giorni di ritardo nell’adempimento.
Il primo rilievo è che si elimina l’ingerenza del potere esecutivo sul potere giudiziario, previsto invece dall’emendamento D’Alia, o dell’istituendo Comitato tecnico presso l’Autorità garante delle telecomunicazioni, previsto dalla proposta Carlucci. Nella proposta Cassinelli, come è giusto che sia, è il giudiziario a essere dotato di un nuovo provvedimento: il magistrato, infatti, ha il potere di emettere un ordine con decreto (soggetto alle stesse procedure di convalida, riesame e impugnazione dei sequestri, stante il richiamo all’articolo 321 del codice di procedura penale). I destinatari del provvedimento del giudice possono essere due: l’autore del contenuto in prima istanza e il gestore della piattaforma che lo ospita in caso di inerzia del primo. Vediamo come funziona.
L’autorità procedente può, in caso di indagini su reati di opinione commessi attraverso le rete e in presenza di concreti elementi, intimare al presunto autore la rimozione preventiva e cautelare del contenuto. La persona indagata e intimata ha 24 ore per procedere alla rimozione. Il primo comma dell’emendamento dice testualmente che in caso di mancato adempimento l’autore è tenuto al pagamento di una sanzione che può andare dai 1.000 e ai 70.000 euro per ogni giorno di ritardo. Solo nel caso in cui l’intimato si rifiuti di adempiere, e decorse 72 ore dalla notifica del decreto di rimozione all’intimato, l’autorità può emettere un ulteriore decreto in capo al gestore della piattaforma di hosting, il quale deve adempiere e rimuovere a sua volta il contenuto entro 48 ore pena una sanzione che può arrivare a 100.000 euro, commisurata ai giorni di ritardo.
Le due procedure differiscono su un punto importante: mentre il fornitore può essere esentato dall’obbligo nel caso in cui non esiste la «possibilità tecnica di procedere senza pregiudizio per l’accessibilità a contenuti estranei al procedimento», non abbiamo nessuna eccezione per l’indagato-intimato. Se è giusto prevedere un limite all’ordine di rimozione al fornitore che tecnicamente è impossibilitato, pena l’interruzione del servizio offerto (o di una sua parte), altrettanto dovrebbe potere essere previsto per l’indagato-intimato. La questione assume rilievo, infatti, in considerazione delle molteplici vite che subisce il contenuto, una volta immesso in rete. In modo particolare, i contenuti dotati di feed Rss possono essere diffusi in rete da diverse piattaforme contemporaneamente e da diversi utenti, senza che l’originario autore possa averne coscienza.

Se il contenuto sfugge
Abbiamo già parlato diffusamente delle molteplici vite del contenuto in relazione alle conseguenze dell’emendamento D’Alia: le stesse considerazioni possono essere ripetute in questa sede, sebbene con diverse ripercussioni ai fini della colpevolezza dei soggetti coinvolti. L’impossibilità tecnica di rimozione, infatti, può fare sì che l’indagato-intimato non riesca ad adempiere entro i termini stabiliti e assoggettarlo, comunque, alla multa. Ma anche le persone terze che abbiano diffuso, consapevolmente o meno, i contenuti oggetto di indagine potrebbero vedersi indagati per concorso nel reato con l’autore originario.
Facciamo l’ipotesi di un contenuto postato in un tumblelog, ovvero un blog che permette in modo semplificato la creazione di post che “citano” contenuti ospitati in piattaforme terze. La particolare caratteristica del tumblelog fa si che il contenuto originariamente citato possa essere citato da altri che usano la stessa piattaforma o tecnologia indipendentemente dalla permanenza del contenuto citato sulla piattaforma di origine. Significa che né la rimozione dalla piattaforma di origine, né quella dal primo (o secondo o terzo e così via) tumblelog che effettua la citazione si ripercuotono sulle altre citazioni. Né più e né meno di un testo che viene copiato e incollato su un altro sito, con la differenza che mentre citare incollando è una eccezione rara, nei tumblelog è la prassi della conversazione tra gli utenti della tecnologia.
Gli stessi contenuti possono essere a loro volta incorporati in sistemi condivisi di gestione dei feed, come FriendFeed, o Google Reader, ma anche lo stesso Facebook, dove ciascun utente può importare feed da qualsiasi piattaforma. Anche in questo caso il problema del controllo di quello che ciascuno di noi immette in rete – sia in modo originale che in modo derivato, cioè “citando” – rischia di costituire un problema ove non conosciuto e non ponderato. In modo particolare, le conseguenze non desiderate possono essere la responsabilità dell’indagato originario in primo luogo, poiché questi potrebbe essere tecnicamente non in grado di rimuovere efficacemente il contenuto illegittimo, e la corresponsabilità di terzi rispetto all’indagine iniziale in concorso per avere contribuito alla diffusione dei messaggi incriminati. Corresponsabilità che dovrebbe essere comunque provata, poiché, in primo luogo, molte delle piattaforme di cui parliamo sono utilizzate da persone che non sempre parlano la stessa lingua, ma che potrebbero ugualmente contribuire a diffondere un messaggio che nemmeno intendono compiutamente. Inoltre, quando il contenuto è ripreso e citato, deve essere sempre effettuato un vaglio sotto l’aspetto del diritto di critica e discussione che, ove presente, escluderebbe l’ipotesi di concorso nel reato di opinione.
Ma qual è, ai sensi del diritto vigente, la procedura che si segue quando un contenuto illegittimo viene diffuso in rete? Attualmente, quando un contenuto deve essere rimosso, si procede generalmente con il sequestro del server presso il gestore della piattaforma oppure, se la situazione concreta lo richiede e lo permette, si inibisce l’erogazione telematica del server stesso: lo si isola da internet. In alcuni casi, soprattutto quando il server che ospita I contenuti illegittimi fornisce servizi che andrebbero a ledere soggetti estranei al reato e che pubblicano contenuti legittimi, il sequestro e l’isolamento vengono evitati e si copiano, invece, i dati oggetto di indagine per assicurare agli inquirenti gli elementi per indagare mentre si cancellano i contenuti dal server in modo da impedirne l’accesso da parte del pubblico. I gestori delle piattaforme, quindi, già adesso sono tenuti a collaborare per favorire le indagini ed evitare, ove possibile, la diffusione dei contenuti quando questi possono aggravare le conseguenze del reato.
La novità introdotta dalla proposta Cassinelli rispetto al diritto vigente, quindi, è quella di prevedere un ruolo specifico dell’autore del reato riguardo la rimozione che deve effettuare in prima persona e la sanzione pecuniaria come conseguenza del suo rifiuto a rimuovere i contenuti. Ma anche la creazione ad hoc di un ruolo specifico per il gestore della singola piattaforma che ospita i contenuti, il quale se non ottempera entro i tempi richiesti e sempre che sia possibile procedere alla rimozione, sarà anche esso soggetto a sanzione. Se la proposta è un alleggerimento rispetto all’emendamento D’Alia abbiamo, invece, un aggravio rispetto al diritto vigente. Un buon compromesso a tutela dell’utente potrebbe essere l’introduzione di una previsione specifica affinché l’utente non possa essere sanzionabile se non ha la possibilità oggettiva di eseguire la rimozione dei contenuti stessi, così come accade al gestore che non è sanzionabile se non ha la possibilità tecnica di intervenire.
La raccolta delle prove
Ulteriori quesiti pone la procedura della rimozione del contenuto affidata all’utente indagato e intimato sotto il delicato aspetto dell’acquisizione della prova. Il contenuto che deve essere rimosso, infatti, nel caso dei reati di opinione costituisce il corpo del reato. È ragionevole pensare che, poiché debbono sussistere «concreti elementi» che le autorità debbono analizzare prima di emettere il decreto imponente la rimozione, il contenuto sia stato già acquisito agli atti e l’indagato già informato della pendenza di un procedimento a suo carico. Se però la procedura prevista per tale decreto si richiama alla disciplina dei sequestri dove c’è l’apprensione di una “cosa” materiale, in questo caso ci stiamo riferendo a un contenuto puramente digitale e diffuso in rete. L’approvazione dell’emendamento potrebbe essere la sede ideale per iniziare a livello istituzionale un discorso più ampio sui mezzi di raccolta della prova informatica, prevedendo regole tecniche da rispettare in ogni fase del procedimento, compresa l’indagine.
Tecnicamente, infatti, il contenuto digitale ha la caratteristica della malleabilità e modificabilità, a meno che non venga protetto da firma digitale. Si pone, quindi, la questione di che cosa avviene nel momento successivo alla rimozione del contenuto se la prova non è stata previamente raccolta con le dovute cautele (come potrebbe invece verificarsi attraverso l’esperimento di un incidente probatorio o attraverso le cautele osservate per gli accertamenti tecnici non ripetibili): può il soggetto indagato-intimato successivamente alla rimozione disconoscere il contenuto rimosso? La rimozione “volontaria” e antecedente all’accertamento del reato può avere un valore confessorio?
Va detto che la rimozione prevista dall’emendamento ha caratteristiche preventive, cioè ha come scopo l’interruzione dell’attività criminosa e si propone di evitare che le conseguenze del reato possano protrarsi nel tempo con la permanenza del contenuto nella rete, ed è ragionevole pensare che venga preceduta anche dal sequestro del materiale presso il gestore, a fini probatori. Insomma, attraverso questo nuovo procedimento si aprono interessanti prospettive sotto diversi punti di vista.

Neutralizzare Carlucci


Un ultimo discorso deve essere fatto, per completezza di informazione rispetto ai recenti avvenimenti legislativi nel nostro paese, sulla proposta Cassinelli di modifica alla legge stampa. L’argomento è di particolare rilievo anche in relazione al recente provvedimento Carlucci che estenderebbe ai casi di diffamazione online tutta disciplina prevista dalla legge stampa. In commento al provvedimento Carlucci avevamo evidenziato le preoccupazioni in merito alle possibili conseguenze che potrebbero derivare da una applicazione della disciplina in materia di stampa così come è adesso.
La proposta di Cassinelli, pensata prima del provvedimento Carlucci, neutralizzerebbe (ove accolta) le preoccupazioni evidenziate per l’estensione della legge stampa. La proposta di modifica della legge stampa di Cassinelli, infatti, muta il concetto di prodotto editoriale escludendo che in esso possano essere ricompresi siti e social network non riconducibili, di fatto, a testate telematiche. Secondo l’articolo 1 della proposta di legge, infatti, il prodotto editoriale che ricade sotto la disciplina della legge sulla stampa è solo quello realizzato su supporto cartaceo, mentre gli unici prodotti informatici che sono soggetti alla registrazione presso il tribunale e all’intera disciplina sulla stampa sarebbero: le edizioni telematiche di periodici cartacei; le testate telematiche che intendono avvalersi delle provvidenze previste dalla legge stampa; i prodotti editoriali pubblicati sulla rete il cui unico scopo o scopo prevalente sia quello di diffondere notizie di attualità, che siano gestiti «in modo professionale, oltre che dall’editore o proprietario, da una redazione di almeno due persone regolarmente retribuite», e che contenga inserzioni pubblicitarie il cui importo lordo annuale non sia inferiore a 50.000 euro annui.
Grazie a questa modifica, qualora la proposta di Cassinelli venisse accolta, i blog non verrebbero toccati non solo dal provvedimento Carlucci (se divenisse legge la parte in cui estende la disciplina della legge stampa alla diffamazione) e dal disegno di legge Levi (qualora venisse ripreso e di cui abbiamo parlato a suo tempo), ma non potrebbero più temersi ipotesi di responsabilità oggettiva per omissione di controllo sui contenuti inseriti da commentatori in blog, social network e simili – previsti, invece, per i direttori e vice direttori responsabili dalla legge sulla stampa. Sempre in virtù di tali modifiche, Cassinelli ha proposto di abolire il reato di stampa clandestina che qualche mese fa aveva portato alla condanna di un blogger per avere omesso la registrazione del proprio sito, ritenuto dal giudice testata telematica a tutti gli effetti. La proposta di Cassinelli, invece, cancella il reato di stampa clandestina e parla solo di «omessa registrazione o non veritiera indicazione del nome dell’editore o dello stampatore», sancendo una multa di 500 euro che può essere comminata solo a quelle testate telematiche che rientrano nella definizione sopra ricordata di “prodotto editoriale” e che omettano la registrazione o non ne riportino gli estremi in modo veritiero.
Anche questa proposta non è esente da critiche (e meriterebbe una analisi dedicata) soprattutto nella parte in cui impone la registrazione al Tribunale indiscriminatamente per testate periodiche e non periodiche – queste ultime sinora soggette alla sola iscrizione al Roc. Inoltre l’abolizione del reato di stampa clandestina, una volta chiarito che i siti personali non organizzati imprenditorialmente non hanno l’obbligo di registrazione, si discosta dai motivi che hanno spinto la proposta, la quale – come si legge nella relazione di accompagnamento – ha lo scopo di chiarire la posizione dei siti web rispetto agli obblighi previsti dalla legge 62/01 in materia di editoria.
Rimane il fatto che dalle istituzioni continuano ad arrivare messaggi contraddittori, ma non c’è che da sperare e augurarsi che si apra ancora di più un dialogo costruttivo.

Fonte: apogeonline.com