Il Corriere della Sera ha dedicato un’intera paginata
al film che verrà. Ai nuovi giacimenti di petrolio su cui ha puntato gli occhi la nostrana Eni, invece, solo poche righe. Peccato. Perchè se il quotidiano diretto dall’audace Ferruccio de Bortoli avesse collegato le due cose – la storia del film, che poi è quella di una strage; e il petrolio – poteva uscirne ben più di una pagina. Poteva uscirne – senza esagerare – la prima pagina. A patto di ricordare che tutto ruotava e ruota attorno ad una città. Nel sud dell’Iraq. Nassiriya.

O meglio. In effetti, di cose da ricordare ce n’era qualcuna in più. Ma uno sforzo si poteva fare. Si poteva partire dalla strage e dal 12 novembre del (non poi così) lontano anno di grazia 2003. Quando un attentato kamikaze uccise 19 italiani (per lo più militari, ma anche 2 civili) e 8 iracheni. Erano le 8 e 40 del mattino. E quel giorno gli italiani (ri)scoprirono il significato della parola guerra. E aggiunsero un altro tassello alla loro geografia mentale: quello di Nassiriya, luogo di morte adagiato proprio su un fiume che faceva tanto infanzia e sussidiario delle elementari, l’Eufrate. Rammentare i morti e i luoghi, però non bastava. Era solo l’alfa, l’inizio. Per completare il quadro bisognava aggiungere che all’indomani di quelle morti qualcuno cominciò subito a parlare di petrolio. Venendo accusato, nel migliore dei casi, di scarso patriotismo. Nel peggiore di “sciacallaggio”. Gli insulti erano chiari. Anzi, no: quelle parole erano chiaramente degli insulti. Ecco. Ma il loro significato – nel senso concreto, diciamo pratico e reale del termine – un po’ meno.

Ma queste ultime sono inezie. Le cose importanti, per completare il quadro, erano altre. Almeno tre. La prima: il nostro (ormai ex) Belpaese può vantarsi di avere una compagnia petrolifera di prima grandezza. Che si chiama, come tutti probabilmente sanno, Eni. Lavora in 70 paesi e ha 76.000 dipendenti. Più o meno il numero di abitanti di una piccola città, come Treviso. Seconda cosa: quello che magari non tutti sanno è che Eni è una specie di gallina dalle uova d’oro che anche nel 2008 – crisi o non crisi economica – ha generato utili per la cifra “monstre” di 6,74 miliardi di euro. Più o meno l’equivalente di mezza Finanziaria di quest’anno. Ma sopratutto e punto terzo: quel che forse si sa ancora meno è che ancora oggi, nonostante una parziale privatizzazione, il nostro ministero del Tesoro possiede – direttamente o indirettamente (attraverso la Casse depositi e prestiti) – circa il 30% delle azioni Eni. Tanto è vero che è il ministero di cui sopra – di fatto – a nominare i vertici della società. E a intascare buona parte degli utili sotto forma di dividendi. Dividendi che solo quest’anno per lo Stato hanno hanno significato un guadagno di poco meno di un miliardo e mezzo di euro.

Una volta disegnato il quadro, quindi, si poteva aggiungere l’omega, cioè il finale di questa storia. Scriveva infatti il Corriere della Sera, in un articolo datato 15 aprile 2009, che proprio Eni “punta a battere tutti sul tempo: dovrebbe essere questione di giorni il via libera per lo sfruttamento di un giacimento vicino a Nassiriya (nella provincia di Dhi Qar, con riserve stimate in 4,4 miliardi di barili e un potenziale produttivo valutato in 300 mila barili al giorno”). E che secondo l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, “l’Iraq rappresenta la nuova frontiera, un po’ la nuova Mecca del petrolio, un Paese ricchissimo di queste risorse, ma che per molti anni è uscito di scena”.

Così si sarebbe chiuso il cerchio. E chi voleva capire, avrebbe capito. Anche senza nessun commento o pensiero premasticato. E invece? E invece, in quel benedetto articoletto – lungo poco meno di 30 righe e piazzato in un francobollo di pagina 33 – della strage e di tutto il resto non c’era traccia. C’era solo il giacimento. I morti, il Corriere della sera, ha preferito ricordarli – neanche a farlo apposta – pochi giorni dopo, con un altro articolo. Pubblicato nella pagina degli spettacoli, lo scorso 20 aprile. E dedicato a un film che si dovrebbe girare a breve sulla strage. E che sarà intitolato “Venti sigarette”. Un pezzo, appunto, in cui si ritrovavano i morti e Nassiriya. Ma non la parola petrolio. E tantomeno i giacimenti dell’Eni.

Già, i giornali. Si ripete che il giorno dopo, sono buoni per incartare il pesce. E che gli articoli son solo pezzi di carta. Eppure: chi scrive è convinto che questi due ritagli – quello sui pozzi e quello sul film – raccontino molto di più di quello che dicono o non dicono. Che raccontino un rovesciamento. Recitava un vecchio detto: “La realtà, a volte, supera la fantasia”. Ma quel detto, appunto, ormai è vecchio. E va cambiato. A quanto pare, infatti, oggi è la fantasia – pardon, la fiction – ad aver superato la realtà. Fino a prendere il suo posto.

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org