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Altra infornata di dati. Altra doccia fredda per il partito degli ottimisti ad oltranza. E altro silenzio – o quasi – da parte delle Cnn e dei New York Times de’ noantri.

Ma andiamo per ordine. E cominciamo dai fatti. Ieri, Eurostat – l’istituto europeo di statistiche, insomma “l’Istat di Bruxelles” – ha pubblicato un’altra serie di numeri da brivido. Scrivendo nero su bianco, in un bollettino ad hoc, che:

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In March 2009, compared with march 2008, the retail sales index decreased by 4.2% in the euro area and by 3.1% in the EU27

Ovvero e in italiano:

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A marzo 2009, l’indice delle vendite al dettaglio, rispetto a un anno prima, è sceso del 4,2% nella zona euro e del 3,1% nell’Europa a 27

Cifre, come ha osservato l’agenzia di stampa americana Bloomberg, che sono le peggiori mai registrate da quando questo benedetto indice dei consumi esiste (cioè dall’anno di grazia 2000). E quindi e in pratica: un record. Un record, ma non una novità. A febbraio, infatti, le vendite (in negozi e quant’altro) erano già calate di un 4%. Meno che a marzo. Ma sempre abbastanza per stracciare tutti i record negativi precedenti.

Numeri, questi, completamente ignorati dalla stampa titolata italiota. Ovvero dai soliti “Repubblica”, “La Stampa”, “Corriere della Sera” e “Sole 24 ore” (che per la cronaca non ne hanno pubblicato manco mezzo). E che, invece, avrebbero meritato un po’ più di attenzione. Perchè se in una società basata sul consumismo, i consumi scendono, c’è qualcosa che non torna. E perchè questi “segni meno” non preannunciano nulla di buono.

Partiamo da quello che non va. Secondo Eurostat, gli europei stanno davvero tirando la cinghia. E tagliando tutto il tagliabile (tanto è vero che il calo delle vendite di cibo, bevande e sigarette è stato addirittura del 5,2% in zona euro; e del 3,7% nell’Europa a 27). La domanda, ovviamente, è: perchè tanta difficoltà a mettere le mani al portafoglio anche per le piccole spese? E la risposta – con tutta probabilità – sta in un altro report vergato dall’ufficio europeo delle statistiche. Pubblicato lo scorso 30 aprile. Che diceva – sempre nero su bianco – che la disoccupazione nel Vecchio continente non sta facendo boom. Ma un vero e proprio super-boom.

Scriveva infatti Eurostat nel suo ultimo report sul lavoro che:

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Compared with march 2008, unemployment went up by 4.061 million in the EU27 and by 2.816 milion in the euro area

Ovvero e sempre nella lingua de’ noantri:

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A marzo 2008, il numero dei disoccupati, rispetto ad un anno prima, è aumentato di 4,061 milioni di unità nell’Europa a 27 e di 2,816 milioni in area euro

Va da sè che in un (ex) Belpaese che – da quando la crisi è esplosa con il fallimento della banca americana Lehman Brothers, cioè da sette mesi e mezzo – fatica a parlare di recessione e soprattutto di licenziamenti, statistiche così non potevano avere grande successo. E così è stato: anche questi numeri sono stati sostanzialmente ignorati dai media made in Italy. Ma poco importa. Perchè i numeri ci sono e parlano da soli: sempre a marzo 2008 e sempre secondo Eurostat: il numero di disoccupati europei ha sfondato la barriera dei 20 milioni (leggere due volte: 20 milioni di persone, a marzo, erano senza lavoro). E solo nell’ultimo mese (da febbraio a marzo): i posti persi sono stati 626mila nell’Europa a 27 e 419mila in zona euro.

Dati da incubo. Che dimostrano che il Vecchio continente non sta affatto meglio di quello nuovo (per chi non lo sapesse: gli Stati Uniti, dallo scoppio della crisi e fino al mese scorso, hanno bruciato circa 5 milioni di posti di lavoro). E che spiegano lo scarso successo dei negozi. Perchè, evidentemente: se le persone perdono il posto (o hanno paura di perderlo), spendono meno. E non certo per il gusto di risparmiare. Ma per causa di forza maggiore.

Causa di forza maggiore – la disoccupazione – che ora rischia di causare guai ben peggiori. Sotto forma di “saldi” – cioè e per così dire di “svendite” – fuori stagione. E infatti e sempre a marzo: in Spagna e Gran Bretagna – a furia di “offerte speciali” e visto che nessuno comprava un tubo – i prezzi hanno preso, anche se di poco, a scendere. Una notizia – pure questa oscurata dai media italioti – che non è cattiva. E’ proprio pessima. Perchè significa che questi due Paesi si trovano sull’orlo di una spirale piuttosto pericolosa. Per colpa di uno dei circoli viziosi della nostra economia dei consumi: se i cittadini diventano “pessimisti” (perchè perdono il posto o temono di perderlo), non spendono; ma se non spendono, i prezzi scendono; se i prezzi scendono, i profitti calano; se i profitti calano, le aziende licenziano; e i licenziati spenderanno ancora meno. E così via. Questo fenomeno si chiama deflazione. E per la cronaca si è letteralmente scatenato durante la Grande depressione del 1929. Portando l’economia americana al tracollo.

Fin qui la teoria. La pratica è che la deflazione – cioè l’inflazione negativa – a marzo ha già colpito, tra gli altri, gli Stati Uniti (dove i prezzi sono scesi dell’1,1%), il Giappone (-0,1%) e appunto Spagna (-0,1%) e Regno Unito (-0,4%). Numeri che – sommati a quelli su disoccupazione e consumi – descrivono un vero e proprio crollo verticale. Non segnalano, almeno per ora, nessuna inversione di tendenza (alla faccia dei tanti “il peggio è passato” pronunciati in coro dal nostrano Berlusconi, dall’inglese Gordon Brown e dall’americanissimo Barack Obama). E che sanno tanto – ci si passi il gioco di parole in stile deflazione – di scenario tipo “si saldi chi può”.

Uno scenario che a Bruxelles, i padroni del vapore europei devono avere ben presente. Tanto è vero che oggi – e di questo sì che hanno parlato quasi tutti i giornali on line – la Banca centrale europea, seguendo le orme dei colleghi banchieri centrali americani e giapponesi, ha portato verso lo zero il tasso unico di riferimento (adesso è all’1%, ma vabbè, manca poco). Tasso che per la cronaca e per chi non lo sapesse non è un animale. Ma il tasso a cui la banca centrale presta danaro alle banche private (ossia alle varie Unicredit&co). Che a loro volta – così funziona la catena del denaro – lo presteranno a clienti e imprese. In pratica e per capirci: la Bce ha reso per tutti più facile e meno costoso indebitarsi.

Finalmente una buona notizia, quindi? Non proprio. Perchè a furia di immettere soldi – anche se sotto forma di debito – nel motore della spompatissima economia mondiale, s’incentiva sì la gente a spendere. E – forse – si può pure sconfiggere la deflazione. Ma aumentano i rischi – e più rischio di così (con un costo del denaro prossimo allo zero), non si può – di scatenare un’ondata di iperinflazione. Che, distruggendo il valore della moneta, avrebbe il merito di ridimensionare il debito degli Stati (che, secondo il Fondo monetario internazionale, è destinato a esplodere). Ma il demerito di distruggere il redditto dei soliti contribuenti poverazzi. Che andrebbero – come da consolidato copione – a pagare tutto il costo (o quasi) della crisi.

E allora? E allora: forse hanno ragione le Cnn e i New York Times de’ noantri. Mentre le doccie fredde si susseguono e si naviga tra Scilla (la deflazione stile “29 americano) e Cariddi (l’iperinflazione come all’epoca della Repubblica di Weimar) è meglio pensare ad altro. Distrarsi. E dedicarsi alle crisi, sì. Ma, come è accaduto negli ultimi sette giorni, di natura matrimoniale. Un gossip che forse non servirà a nulla di sodo. Ma che come panicello caldo funziona sempre.

 

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org