di

Massimo Mazzucco

 

 

 

 

 

 

Con grande visibilità l’ANSA ha “dato la notizia” che un suo giornalista, Paolo Cucchiarelli, ha pubblicato un libro sul caso di Piazza Fontana. Come dire, facciamo tutto in casa, ma facciamo finta che sia una cosa seria.
Questa, secondo l’articolo dell’ANSA, la tesi del libro di Cucchiarelli: “Alla Bna, quel 12 dicembre 1969, non c’era una sola bomba, ma due. Una piazzata dagli anarchici, presumibilmente da Pietro Valpreda, con un timer tarato per farla esplodere dopo la chiusura della banca, perché l’obiettivo era quello di un’azione dimostrativa che non doveva fare vittime; ed è questa la bomba che conosciamo da quattro decenni. L’altra, molto più potente, era realizzata con esplosivo di diversa origine e fu occultata dentro una borsa sportiva nera dai neofascisti di Ordine Nuovo, che sapevano dell’azione degli anarchici e decisero di renderla mortale. Fu questa seconda bomba che, esplodendo anticipatamente, con un meccanismo a miccia, determinò la strage che il ballerino anarchico non voleva né poteva realizzare. Due borse, due bombe, dunque. E una regia che per anni ha occultato la realtà per coprire i veri responsabili della strage.”
Si sente già da lontano lo stesso odore di LIHOP che ha ammorbato per anni la questione 11 settembre. Il LIHOP è la splendida tesi del “let it happen on purpose” (lasciarlo succedere di proposito), che riesce meravigliosamente ad assolvere i veri mandanti, pur tenendo conto delle evidenti pecche della versione ufficiale. E’ la versione ideale per i salotti-bene della nostra “intellighenzia”, dove non puoi accusare apertamente lo stato di aver messo le bombe, ma non puoi nemmeno fare la figura di quello che crede alla favoletta della versione ufficiale.
Ma leggiamo prima nel dettaglio cosa ha “scoperto” l’autore del libro, …
… che secondo l’ANSA è: “Una vera e propria indagine che presenta una serie di novità in parte scartate, in parte mai prese in considerazione dalla magistratura, oppure non valutate nella luce in cui le pone il libro. Cucchiarelli racconta che i neofascisti di Ordine Nuovo (ma non solo loro), infiltratisi tra gli anarchici e nei gruppi marxisti-leninisti a Roma e Milano già dal ’68, idearono la strage-trappola per cercare di provocare una stretta del sistema democratico. Principale obiettivo politico di tutta l’operazione era Aldo Moro, che nel novembre del 1968 aveva varato la "strategia dell’attenzione" al Pci, a cui si rispose con la "strategia della tensione" a suon di bombe. Il progetto neofascista voleva far ricadere tutta la colpa della strage sugli anarchici e sull’editore di sinistra Giangiacomo Feltrinelli, a cui facevano capo diversi gruppi, tra cui quello neo anarchico dei coniugi milanesi Corradini e Vincileone. Le novità asserite dal libro sono molte. Tra le altre, il fatto che il 12 dicembre ’69 , come confermarono proprio gli anarchici nella loro conferenza stampa del 17 dicembre, oltre a quelle di Piazza Fontana c’erano a Milano altre due bombe pronte a scoppiare: una vicino ad un grande magazzino, l’altra presso una caserma. Anche in quei casi gli anarchici non volevano provocare vittime. Ma l’inchiesta ipotizza che anche queste altre due bombe dovevano essere "raddoppiate" dai neofascisti per farle esplodere in anticipo e provocare altre stragi. La stessa cosa fu infatti realizzata anche a Roma alla Bnl (altra novità del libro) e si tentò di fare, non riuscendovi, all’Altare della Patria. Pino Pinelli, ferroviere anarchico, da tempo sull’avviso delle manovre in atto da parte di settori degli apparati dello Stato, intuì la trappola e nel pomeriggio del 12 dicembre cercò in ogni modo di fermare la strage. Ma non ci riuscì.”
Quindi avremmo i “sani fascisti“ di Ordine Nuovo che convincono “ballerini e ferrovieri anarchici” a fare degli attentati “ma senza fare del male a nessuno”, poi invece arrivano loro cattivi che mettono le bombe vere, “per far ricadere la colpa su di loro”?
Ma scusate, i “fascisti” non facevano prima a mettere le bombe vere, per poi stampare il classico ciclostile con la ”rivendicazione anarchica”? Perché complicarsi la vita con questi dilettanti dell’esplosivo, quando puoi fare tutto da solo? E poi, perché rischiare di andare DUE VOLTE alla banca, a mettere una bomba, raddoppiando così le possibilità di essere scoperti?
Più bella ancora è la storia di Pinelli, che era “da tempo sull’avviso delle manovre in atto da parte di settori degli apparati dello Stato”, ma che “intuì la trappola e nel pomeriggio del 12 dicembre cercò in ogni modo di fermare la strage”.
Ma scusate, se la trappola era di Ordine Nuovo, cosa c’entrano i “settori degli apparati dello stato”? E poi, come faceva un miserando “ferroviere anarchico” ad essere a conoscenza di tali manovre?
Veniamo infatti al “premio” con cui fu onorato Pinelli per aver tentato, con altissimo dovere civico e con devozione sprezzante del pericolo, di “fermare la strage all’ultimo momento”:
Pinelli, in questura, si vide attribuire la responsabilità di tutte le bombe del 12 dicembre e della strage. Da ciò un duro alterco, al quale seguì la caduta dell’anarchico, di spalle, dalla finestra della stanza dove si svolgeva l’interrogatorio.
Come, tu corri per evitare una strage, e ti vedi invece attribuire la responsabilità di “tutte” le bombe? E quando sei in questura non solo non riesci a spiegarti bene (è noto che i “ferrovieri anarchici” parlino solo un antico dialetto jugoslavo), ma cadi pure di spalle dalle finestre?
Durante l’interrogatorio, Pinelli ebbe la prova che nel gruppo anarchico c’era almeno un infiltrato neofascista, anche lui ferroviere, che gravitava tra Roma e Milano.
Quel neofascista doveva essere particolarmente astuto, perché invece di infiltrarsi semplicemente negli anarchici, ha preferito fare il giro lungo: si è sorbito mesi e mesi di tirocinio nei depositi di locomotive della Centrale di Milano, si è fatto controvoglia mille bevute di barbera nelle “osterie” tipiche dei ferrovieri, ha dovuto cantare più volte in coro “Bella Ciao” con tutti loro, tutto questo per riuscire ad “avvicinarsi” a Pinelli senza destare sospetti in lui.
Interessante poi questa notizia, con cui chiude l’articolo dell’ANSA: “Il libro-inchiesta è corredato da una perizia del generale Fernando Termentini, che accredita l’utilizzo di ‘accenditori’ speciali, che permisero ai neofascisti di anticipare lo scoppio, causando così la strage”.
Questo sì che è importante.
Gentile Signor Cucchiarelli, perché invece di fingere di fare una indagine “di 700 pagine” non ha scritto un semplice articolo di sette righe, che recitasse più o meno così:
Dal dopoguerra in poi l’Italia è schiava degli Stati Uniti, con il beneplacito del Vaticano. Da noi comanda la CIA, al punto che spesso i nostri Servizi devono chiedere a loro il permesso per agire (Calipari insegna: se sgarri paghi). I democristiani di Andreotti sono la facciata “laica” del potere religioso, e sono accomunati agli americani dal terrore del “comunismo”, che condividono fin dall’avvento di Stalin. Il ’68 li ha fatti letteralmente cagare sotto, e dal ’69 in poi – guarda caso – è partita la strategia della tensione. Il primo episodio fu quello di Piazza Fontana, e i meccanismi attuati per gettare la colpa sugli “anarchici” erano ancora rudimentali, al punto da partorire una versione ufficiale semplicemente ridicola.
Immagino infatti che il suo libro si sia dimenticato di spiegarci perché Valpreda abbia preso un taxi per fare 400 metri con una bomba in valigia, vero? (Un ballerino 400 metri li fa con cinque salti al massimo, caro Cucchiarelli, altro che “taxi”).
Se invece di prendere certe vicende dal lato degli “accenditori speciali” provasse a prenderli dal lato della Storia, vedrà che le torna tutto molto più facile.

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