di
MICHAEL PAYNE
Online Journal
Questa è una storia di due nazioni molto potenti. Una, definita l’unica Superpotenza mondiale, ha una politica estera molto aggressiva e una rete massiccia di installazioni militari sparse sul pianeta. L’altra, la potenza economica mondiale che sta salendo alle stelle, ha una politica estera moderata e non ha una reale presenza militare eccetto che all’interno dei suoi confini. America e Cina, con due filosofie e due agende chiaramente differenti sono in una rotta di collisione che determinerà chi di loro guiderà il mondo nei decenni a venire.
La Cina è guidata da un governo comunista, ma ha anche un sistema economico capitalistico. Tra le principali nazioni industrializzate, la Cina ha la più dinamica, la più veloce economia in crescita. La sua crescita prevista per il 2009 è del 6 percento, mentre l’America e il resto del mondo stanno giusto tentando di sopravvivere. Il suo budget militare è minuscolo, meno del dieci percento di quello americano. Non è coinvolta in guerre all’estero. Siccome la sua economia dipende in gran misura dalle importazioni di petrolio, è stata molto attiva nello stipulare contratti e accordi per il petrolio in tutto il mondo, incluso il Sud America, con un business e sforzi diplomatici molto aggressivi.
L’America [qui e in seguito intesa come Stati Uniti, ndt] è una repubblica democratica, governata da un presidente e un Congresso eletti, con un sistema economico capitalistico. La sua economia si è trovata in progressivo declino per un po’ di tempo, in quanto le imprese statunitensi hanno delocalizzato in maniera aggressiva milioni di lavori manufatturieri. Il suo budget militare è più grande di quello di tutte le altre maggiori nazioni industrializzate nel mondo messe assieme. Gli USA mantengono una presenza militare in più di 750 basi in tutto il mondo e sono coinvolti in conflitti e occupazioni sia in Iraq che in Afghanistan. Importano la maggior parte del suo fabbisogno di petrolio da fonti straniere e il loro esercito è impegnato attivamente a proteggere i loro interessi petroliferi in varie parti del mondo.
Sì, queste sono due nazioni molto potenti le cui agende riguardanti gli affari mondiali, le strategie economiche e l’uso delle risorse militari difficilmente potrebbero essere più differenti. E, ancora, queste due nazioni sono legate insieme nel più grande accordo economico al mondo – almeno per il momento.
Come ha fatto l’America ad arrivare al punto di essere così dipendente dall’industria cinese e dalla necessità di chiedere continuamente prestiti a essa per finanziare tali acquisti? Come è passata l’America dall’essere una volta la prima nazione creditrice nel mondo ad essere la prima nazione debitrice?
Fin dagli anni ottanta, l’America si è trasformata da principale forza industriale in una nazione che si è concentrata sulla produzione industriale delocalizzata in tutto il mondo, mentre si dedicava ad un’economia dei servizi. La lunga, debole e conflittuale relazione tra i sindacati e il management causò infine una rottura totale, che vide le imprese partire in quarta con le delocalizzazioni. Ciò arricchì gli amministratori delegati, aumentò i profitti e gli stock values, arricchì gli investitori e, in tal modo, iniziò il crollo della classe operaia americana.
A tal punto, la produzione industriale, la pietra angolare dell’America, iniziò un declino rapido e intenso. Questo fu il momento significativo per un’economia che si basa sui consumatori per il settanta percento del PIL. Quando ebbe luogo tale inversione di rotta, dalla produzione industriale all’abbraccio alla delocalizzazione rampante, essa garantì un declino continuo nell’economia, dato che il potere d’acquisto della classe operaia americana iniziò a erodersi.
Durante tale periodo, il Giappone era la stella economica crescente e iniziò ad accelerare il suo motore produttivo. La Cina non era realmente un attore economico principale ma stava iniziando a mostrare il suo reale potenziale. Così la presenza giapponese sul palcoscenico americano subì una fase di rapida crescita in quanto entrò nei mercati elettronico e automobilistico statunitensi come una forza principale che avrebbe potuto fornire prodotti di qualità a prezzi estremamente competitivi.
Come reagirono le imprese statunitensi a questa potenziale minaccia alla loro superiorità? Continuarono il loro processo di delocalizzazione di ogni tipo di industria possibile in qualsiasi luogo trovassero oltreoceano con forza lavoro economica. Naturalmente, l’industria automobilistica statunitense aveva costruito anni prima stabilimenti industriali in Europa e altre nazioni oltreoceano. Ora vorrebbero vedere varie industrie automobilistiche straniere, giapponesi, tedesche, e altre ritornare il favore e costruire stabilimenti in America.
Così eccoci qui, ma cosa riserva il futuro? Dunque, la Cina ha in mano le carte e la maggior parte degli assi. Essa guarda pazientemente e aspetta mentre l’America continua a trovarsi in un oblio economico con una guerra infinita contro i cosiddetti terroristi islamici e la continua enorme importazione di beni che una volta venivano prodotti in America.
La Cina, perlomeno al momento, sta continuando a prestarci miliardi di dollari mentre guarda il nostro commercio e il deficit nazionale salire ad altitudini astronomiche. Oltre ai circa duemila miliardi di dollari che la Cina possiede in riserve di valuta straniera, circa mille miliardi di dollari sono in titoli del governo statunitense. Questo enorme trasferimento di ricchezza dagli USA alla Cina non può continuare con la stessa violenza perché sta erodendo le fondamenta economiche della nostra nazione. Cosa dobbiamo fare?
Una delle risposte a questo dilemma è che l’America semplicemente non può e non deve permettere che tale situazione continui a deteriorarsi. Deve ricostruire la sua base produttiva e invertire la delocalizzazione distruttiva del lavoro o non ristabiliremo le nostre fondamenta economiche.
Robert Reich, ex Segretario del Lavoro sotto il presidente Clinton e noto economista, in un recente articolo ha indicato che stiamo perdendo i lavori di routine, inclusi i tradizionali lavori produttivi, ma invita a non preoccuparsi perché verranno rimpiazzati in futuro dal ‘lavoro simbolico-analitico’ di “persone che analizzano, manipolano, innovano e creano. Queste persone sono responsabili della ricerca e dello sviluppo, della progettazione e dell’ingegneria o delle vendite, del marketing e della pubblicità ad alto livello. Essi sono compositori, scrittori e produttori. Essi sono avvocati, giornalisti, dottori e consulenti aziendali”.
Bene, il signor Reich è l’economista e io no, ma non accetto del tutto il suo ragionamento. Questa sembra essere la solita vecchia teoria, leggermente modificata, che sentivamo negli anni ottanta riguardo a come il settore terziario fosse la via del futuro per l’America. Il mio punto di vista è: puoi creare tutti i lavori simbolico-analitici che vuoi, ma se non abbiamo una consistente porzione di forza lavoro americana che esegua lavori che prendono una qualche forma di materiale grezzo, insieme al lavoro, per creare prodotti che vengano acquistati dagli Americani ed esportati all’estero, la maggioranza degli Americani non avrà il potere d’acquisto per alimentare la nostra economia basata sui consumatori.
Possiamo ricostruire la nostra base produttiva se cambiamo la filosofia avvelenata della delocalizzazione industriale che ha portato enormi profitti industriali e la distruzione della forza lavoro americana. Il signor Obama e il Congresso devono approvare una legislazione appropriata, e certamente hanno il potere per farlo, che fornisca detrazioni fiscali alle industrie che non delocalizzano o a quelle che riportano a casa il lavoro. In secondo luogo, a quelle industrie che continuano a delocalizzare devono essere applicate penalizzazioni fiscali.
In aggiunta al ritorno dei lavori produttivi basilari in America, un grande potenziale risiede nello sviluppo di un nuovo enorme settore industriale verde dove gli incentivi governativi in denaro e i fondi privati creino nuovi posti di lavoro per la produzione di pannelli solari, mulini a vento, sistemi di transito rapidi e varie nuove fonti di energia che rimpiazzino i combustibili fossili. Oltre a invertire la delocalizzazione di lavori americani, non c’è via migliore per risolvere i nostri problemi economici che attraverso una aggressiva promozione di programmi per sviluppare nuove fonti di energia.
Per il popolo americano è ora di dire ‘quel che è troppo è troppo’, e chiedere al presidente Obama che cominci il processo veramente necessario di invertire la nostra estremamente aggressiva e dispendiosa presenza militare in tutto il mondo, la quale sta causando una terribile emorragia nella nostra base economica. Il nostro debito nazionale sta aumentando così rapidamente che sta diventando insostenibile. Le nostre guerre all’estero, le occupazioni e il mantenimento di quell’enorme complesso di installazioni militari nel mondo sta dissanguando l’America. Il nostro governo deve capire che è ora di ridurre questa intera macchina militare prima che sia troppo tardi e che ci troviamo in una situazione di bancarotta nazionale. La domanda è: come mai Obama e i nostri leader al Congresso non capiscono che le nostre azioni e politiche militari nel mondo stanno portando l’America sull’orlo della bancarotta?
Cosa succederà se non avremo la saggezza e il coraggio di cambiare? Prima di tutto, la nostra posizione debitrice nei confronti della Cina raggiungerà tali enormi proporzioni che la Cina, ad un certo punto, annuncerà di non poter più continuare a prestare all’America tanti miliardi di dollari come in passato, e ciò, in realtà, porrà una moratoria sugli altri prestiti finché l’America non metterà in ordine i suoi sistemi monetario ed economico. A tal punto, il valore del dollaro sarà chiaramente in pericolo e potrebbe diminuire così velocemente da non poter essere più utilizzato come valuta mondiale di riserva.
I finanziamenti per l’intero complesso militare nel mondo inizieranno a prosciugarsi rapidamente. Gli USA dovranno chiudere la maggior parte delle loro basi. E quando questo succederà, cosa faremo con le migliaia e migliaia di militari che abbiamo nel mondo i quali, quando saranno congedati, non avranno opportunità di lavoro in un’economia fallimentare?
Segni di grande preoccupazione stanno iniziano ad emergere dalla Cina. Un rapporto proveniente dalla Cina afferma che Guo Shuqing, presidente della China Construction Bank, controllata dallo stato, sta valutando la possibilità di concedere prestiti in yuan, la valuta cinese di base, alle industrie di import-export cinesi. Ciò permetterebbe alle aziende cinesi e a quelle straniere di usare lo yuan per saldare i propri debiti al posto del dollaro statunitense. Inoltre, la Cina ha recentemente convertito i suoi titolo del tesoro statunitensi da lungo termine a breve termine.
Non sto dicendo che la Cina voglia che l’economia americana collassi – non del tutto, perché la Cina sa che l’America, per ora, è la sua vacca da latte e sarebbe felice di continuare a nutrirsi attraverso tale finanza. Tuttavia, realisti come sono, i Cinesi vedono chiaramente come l’America sia diretta su un percorso pericoloso che minaccia di far collassare le sue fondamenta economiche, ed essi potranno sistemarsi per tale eventualità.
Un altro scenario, non bello, potrebbe coinvolgere le nazioni creditrici straniere, in particolare la Cina, le quali potrebbero accaparrarsi tutti i tipi di imprese americane. Infatti, tale scenario è già in corso, con la Chrysler e la General Motors che stanno andando entrambe verso la bancarotta. La Chrysler sopravviverà, almeno per un po’, con la Fiat italiana che possiederà la maggior parte delle azioni e dirigerà le operazioni. La General Motors sta perdendo molte divisioni automobilistiche, dato che un conglomerato industriale cinese sta comprando la linea Hummer della GMC. Questo scenario potrebbe essere il modello per il futuro, quando molte aziende statunitensi falliranno a causa di una cattiva gestione e dell’avidità, e molte nazioni straniere, con la Cina in prima linea, acquisteranno le risorse industriali americane per pochi centesimi di dollaro.
L’America si è per il momento salvata in corner dal punto di vista economico. Ci sono pochi segnali sul fatto che l’amministrazione Obama e il Congresso capiscano la necessità urgente di promuovere aggressivamente una rinascita della produzione industriale e ridurre rapidamente la nostra presenza militare sul pianeta. Se non hanno la lungimiranza e il coraggio e non si possono dedicare a fare le cose nell’interesse della popolazione americana, ecco dunque ciò che accadrà: la Cina diventerà la potenza economica principale nel mondo. Il dollaro americano non avrà più un effetto significativo nel commercio mondiale e verrà rimpiazzato. Il nostro vasto establishment militare nel mondo si disintegrerà velocemente, dato che non ci saranno fondi per alimentare ulteriormente la sua esistenza. A tal punto, l’America avrà perso il suo status di potenza economica leader mondiale e di ‘unica Superpotenza’.
Messaggio per il presidente Obama e il congresso statunitense: se mai c’è stato un momento per il vero cambiamento in America, tale momento è adesso!
Titolo originale: "An economic Tsunami bears down on America; China watches and waits"
Fonte: http://onlinejournal.com
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15.06.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MAURO SACCOL