Una volta si diceva: c’è o ci fa. E bisognerebbe proprio capire Beppe Grillo da che parte sta. Il Beppe nazionale, infatti, ultimamente si è buttato in politica. E’ stato impegnato in un lungo tour elettorale per sostenere le sue liste a Cinque stelle e i suoi candidati nelle file di Di Pietro. E in un comizio a Bari – a fine maggio – da politico (ormai) consumato ha voluto dire la sua su tutto. Debito pubblico e eventuale crac del Belpaese compreso. Risultato: una previsione tanto funesta, quanto categorica. In sostanza: la resa dei conti è vicina, l’Italia a giugno fallisce.

Parole grosse, quelle pronunciate dal comico. Che – come chiunque può sentire con le sue orecchie in questo filmato caricato su YouTube (e “trasmesso” anche sul sito del fido Daniele Martinelli) – aveva testualmente detto (dal minuto 4:49 in avanti), di fronte a una platea tra l’amaliato, il divertito e probabilmente l’allibito:

“A giugno c’è la resa dei conti, cari amici. A giugno ci sarà l’asta dei Bot italiani sul mercato straniero. Già quelle di sei mesi fa, sono andate deserte (…) e chi è che compra il debito italiano, ma ce lo vedete voi? (…) Chi è che viene ad investire in un Paese che è tutto corruzione? Allora se a giugno non venderanno i Bot, come penso io, non riusciranno a mettere a tacere tutto con l’informazione!“.

Fosse andata così, in effetti, sarebbe stato impossibile far finta di nulla. Anche perchè – in un’intervista rilasciata a dicembre – il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi era stato altrettanto categorico: «Non possiamo permetterci neanche lontanamente che vada deserta un’asta pubblica di titoli di Stato. Ci sarebbe una carenza di liquidità per pagare pensione e stipendi e faremmo come l’Argentina». Ma le cose sono andate diversamente.

Loro – quelli che dovevano mettere a tacere tutto – erano, per usare sempre il verbo grillesco, Truffolo (Berlusconi) e Tremorti (Tremonti). Che però e purtroppo per il comico genovese non hanno dovuto mettere a tacere proprio un bel niente in questo caso (verrebbe da dire caso raro, visto l’andazzo dell’informazione italiota). E infatti come sono andate a finire le aste dei Bot, ce lo ha raccontato, tra gli altri, “Il Sole 24 ore”. Che l’11 giugno titolava festosamente:

botgiugno

Ergo: niente crac? Esatto. Facendo corno – e pure bicorno – niente crac. Ma non è finita qui. Perchè due paroline due meritano di essere spese anche sul come – ormai da mesi – il comico ci invornisce di previsioni da perfetto catastrofista alle vongole. E su quali conseguenze – certe sparate – avrebbero potuto avere.

Per capirci. E’ da gennaio che il Beppe nazionale ha cominciato a dipingerci questo scenario: crac dello Stato italiano, fuga in elicottero dei soliti Truffolo e Tremorti e gloriosa liberazione del Paese da corrotti e corruttori. Uno scenario da palingesi, con tanto di finale idilliaco. Tipo: e dopo il diluvio, vissero tutti felici e contenti. Ma – a rigor di logica e a lume di naso – niente di più di un cumulo di balle. Zuccherose. E, a tratti, pure pericolose.

Certo la crisi è grave. E certo non si può escludere nulla. Ma se la storia recente insegna: il governo – in caso rimanesse all’improvviso a corto di soldi – potrebbe battere diverse vie. Diciamo – come ipotesi di scuola – due in particolare. O affondare le mani nelle tasche dei contribuenti (qualcuno se lo ricorda più il “prelievo” forzoso dai conti correnti deciso, nel 1992, dall’allora governo Amato?). Oppure – cosa che hanno fatto di recente una sfilza di Paesi dell’Est Europapotrebbe chiedere aiuto all’Unione europea e al Fondo monetario internazionale. Che in caso di un “aiutino” – leggi miliardi di euro – ci chiederebbero alcuni “sacrifici” (leggi, per esempio, una bella sforbiciata alle pensioni o la cessione di qualche “gioiello di famiglia” per fare cassa; e sia chiaro che questo sarebbe un antipasto).

Dopo di che: sì, magari il dinamico duo Berlusconi-Tremonti potrebbe anche decidere di passare la vecchiaia in un qualche paradiso tropicale (dove potrebbe migrare, a scelta, a bordo di yacht, elicotteri o jet Gulfstream). Ma in ogni caso e sempre come ipotesi di scuola: potrebbero essere rimpiazzati da un esecutivo, magari tecnico, e pure di emergenza nazionale. Cioè sostenuto da un’accozzaglia fatta da tutti i partiti dei soliti noti. Che si troverebbero – dall’alto della loro competenza – a gestire un’emergenza “all’italiana”. Tutti insieme e appassionatamente. E chi scrive non aggiunge altro. Se non che è roba da fare gli scongiuri. Perchè – con tutta probabilità – il finale non avrebbe proprio nulla di lieto.

Fin qui la cornice. Ora i dettagli. Perchè Grillo è uno che ama dire le cose come stanno. E nella sua previsione – nel comizio di fine maggio a Bari – di cose, per rendere più credibile l’inevitabile default, ne aveva dette tante. Per esempio che il debito pubblico stava crescendo a ritmi preoccupanti (vero). E che molti della crisi non si accorgevano perchè pensionati o dipendenti pubblici (altrettanto, ragionevolmente, vero). Ma il tutto – probabilmente per essere più convincente – condito con frasi tipo: “Siamo in staglazione”; oppure: la cassaintegrazione “è arrivata all’ottocentonovantacinque (sì, 895) per cento”. Frasi che avranno fatto balzare sulla sedia qualche babbeo digiuno di economia seduto in platea. Ma che erano – palesemente – bufale.

La stagflazione – che diciamolo ha anche un bel nome; astruso quanto basta per suscitare fascino e paura – è un mix di “sfighe” notevole, fatto di stagnazione (bassissima crescita del Pil, per farla semplice) e inflazione (aumento sostenuto dei prezzi che deve pagare il povero consumatore). Ma con l’Italia di inizio 2009 ha a che fare come i cavoli con la proverbiale merenda. Punto primo: perchè il Belpaese attualmente non è in stagnazione, ma è proprio in recessione (cioè il Pil quest’anno dovrebbe calare di diversi punti percentuali, altro che bassa crescita). E punto secondo: perchè l’inflazione (dati Istat alla mano) quest’anno è bassissima. Ma attenzione perchè Grillo in questo caso è riuscito – con una finezza appannaggio di pochi – a dire due castronate in un’una. Precisando al pubblico – che chissà, magari, faceva anche “ohhhh…” – che stagflazione “vuol dire stagnazione con deflazione”. Ecco, quella per la cronaca si chiama “stagdeflazione”. Ed è un altro mix di rare sfighe, fatto sempre di crescita bassissima, ma di prezzi, questa volta, calanti (deflazione, appunto). Ed è inutile ripetere – per le ragioni di cui sopra – che per ora, in Italia, è pura fantascienza.

Il dato più fantascientifico di tutti però – e spero che i lettori riescano ad apprezzarlo fino in fondo – era quello della “cassa” “all’ottocentonovantacinque (sì, 895) per cento”. Una sparata che avrà fatto pensare a qualche gonzo all’ascolto qualcosa tipo: nessuno lavora più (o quasi). Staranno tutti al bar a bere bianchi e mangiare gelati. Anche perchè se la cassaintegrazione “fosse” – letteralmente – all’895%, avremmo 895 lavoratori su cento con le mani in mano. Più che un record, una missione impossibile.

Ovviamente non era – e non è – così. Grillo probabilmente si riferiva al dato monstre che si è registrato a marzo, quando la cassa non “è arrivata a”, ma è aumentata – rispetto a un anno prima, quando la crisi non era ancora esplosa – del 925% (e dell’895%, appunto, per gli operai). Ma ben inteso: la percentuale boom non era riferita direttamente al numero dei lavoratori cassintegrati, ma alle ore di cassaintegrazione (ordinaria). Il che – visto che lo stesso lavoratore può fare tante ore a casa a girarsi i pollici – fa una bella differenza. Di più: se non si guarda solo a marzo, ma ai primi cinque mesi dell’anno (da gennaio a maggio), la situazione appare – decisamente – meno drammatica. Per il dispiacere di Grillo e per la gioia dei lavoratori. Le ore di cassa, infatti, in questi mesi sono aumentate “solo” – si fa per dire – del 350 e passa per cento. Cioè molto, ma molto meno. Per fortuna.

Fatti veri, verosimili e – a volte – proprio falsi mescolati assieme. Che però costituivano un cocktail pericolosissimo. Dal sapore di una di quelle profezie che rischiano – pericolosamente – di autoavverarsi.

Che vor dì? Vor dì che un conto è svelare una truffa o segnalare i guasti dell’economia, sperando che qualcuno si decida a metterci una pezza e che i cittadini-consumatori si levino le fette di prosciutto di Praga dagli occhi (come hanno fatto e fanno tanti blogger e giornalisti non troppo embedded). E un altro è spiatellare – urbi et orbi, con tanto di road show e di comizi – che il tal Paese o la tal azienda, entro una certa data, fallirà. Per capirci e senza tanti giri di parole: che sarebbe successo se gli spettatori dei comizi-show di Grillo avessero deciso in massa di non comprare più titoli di Stato nostrani o di disfarsi nel minor tempo possibile di quelli che avevano? Che sarebbe accaduto se qualche giornale straniero avesse deciso – per ragioni varie, magari per avvantaggiare il proprio di Stato che aveva tanti titoli da piazzare – di dare risalto alle sparate di Grillo con un bel titolone per la serie “A giugno in Italia vanno in scena gli ultimi giorni di Pompei”? Semplice: sarebbe successo che la profezia, per l’appunto, si sarebbe “autoavverata”. E che saremmo tutti rimasti in mutande.

Per questo chi scrive ha aspettato pazientemente che le aste dei titoli per questo primo semestre si chiudessero, e che la fine di giugno arivasse, prima di vergare questo post. E per questo è di molto imbufalito. Perchè i casi sono due: o Grillo – ingenuamente e per raccattare qualche voto – ha detto e fatto un mucchio di castronate. Oppure – per ragioni che sfuggono ai più – ha letteralmente gufato contro il suo Paese. Ma chi scrive – che tanto ha apprezzato il Grillo comico e certe sue battaglie (come quella per impedire ai condannati in Parlamento) – non vuole nemmeno pensarlo. Farebbe più pena, che schifo.

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