DI
LUIGI GRIMALDI
Nuovi sviluppi nel giallo dei 134,5 miliardi di dollari sequestrati a due giapponesi. Un intrigo che porta molto in alto
E’ un intrigo internazionale. Il mistero dei 134,5 miliardi di dollari sequestrati a Chiasso lo scorso 3 giugno è sempre più allarmante e avrebbe origine nella crisi finanziaria giapponese del 1998.
Circolano banconote da un miliardo di dollari l’una ma non emesse dalla Fed. Una storia di finanza parallela con i servizi segreti Usa (e i nostri) in chiaroscuro. I due fermati a Chiasso hanno un nome: Mitsuyoshi Watanabe e Akihiko Yamaguchi, personaggi già abbondantemente “bruciati” in campo finanziario internazionale e coinvolti (nel 2004) nel caso di una emissione non autorizzata di bond giapponesi (i cosiddetti Japanese 57 Series Bond – titoli esclusivamente utilizzati in transazioni intergovernative) del valore di 500 miliardi di yen ognuno. Una operazione in cui si sospetta vi sia stato lo zampino della Cia. Inoltre Yamaguchi è stato indicato da fonti riservate come dirigente del ministero delle finanze giapponese e cognato di Toshiro Muto. Un nome che porta lontano e talmente in alto da far comprendere come mai, dopo un mese e mezzo, ancora non sia stato emesso un solo comunicato ufficiale.
Stati Uniti Giappone e Italia
Stati Uniti, Giappone e Italia appaiono in misura diversa imbarazzati protagonisti di uno scandalo di stato. Il giorno dopo il vertice del G8 dell’Aquila sarebbe arrivata conferma che una speciale commissione sarebbe in arrivo dagli States per stabilire finalmente se i titoli sequestrati, per un importo di dimensioni tali da collocarsi al quarto posto nella classifica dei maggiori creditori degli Usa, dopo la Russia e prima dell’Inghilterra, siano veri o falsi. In ogni caso si tratta del più ingente traffico valutario della storia. Ma dell’arrivo degli “esperti” americani si favoleggia inutilmente sin dal giorno successivo al sequestro di Como.
Anomali traffici di stato
Veri o falsi? Non ha molta importanza: è una cifra in grado di incidere sugli assetti valutari del dollaro. Una eventualità che ha messo in fibrillazione i servizi segreti e le banche centrali di tutto il mondo. La Banca d’Italia non ha voluto rilasciare commenti rinviando la palla al Ministero dell’Economia dove fonti anonime hanno confermato che nella vicenda il profilo valutario è il più preoccupante. In questa faccenda ci sono troppe cose che non funzionano. Tanto per cominciare, quelli sequestrati a Como sono titoli esclusi dalle normali negoziazioni trattandosi di importi e tagli utilizzati nelle transazioni e nei rapporti tra stati e governi e non è credibile che siano stati messi in circolazione per una tentata truffa. Fatto sta che il 3 giugno i finanzieri di Como vanno a colpo sicuro, secondo fonti del Il Giornale , imbeccati dalla Cia che ai primi di maggio avrebbero avvisato i nostri servizi del possibile arrivo in Italia di una valanga di titoli di Stato Usa che “il governo nordcoreano stava cercando di convertire in euro. I nostri servizi allertano così la Guardia di Finanza e i titoli, per un importo che la Corea del Nord non ha mai posseduto, arrivano puntualmente a Chiasso, trasportati da due orientali regolarmente attesi al varco.
I titoli e la pista Americana
Si tratta di 249 titoli. 10 Kennedy Notes da un miliardo di dollari l’uno e 239 titoli del Tesoro Americano da 500 milioni di dollari l’uno. Proprio dai Kennedy Notes arriva il bandolo per iniziare a sbrogliare questa intricatissima matassa. Non si tratta infatti di buoni del Tesoro ma di vera e propria carta moneta. Sissignori, si tratta di biglietti da un miliardo di dollari l’uno. Il fatto è però che l’emissione di tale Biglietto di Stato era, sino al sequestro di Como, se non proprio segreta, almeno non di dominio pubblico. Evidentemente è assai improbabile che un falsario riproduca, con assoluta perfezione (per la Guardia di Finanza si tratta di titoli indistinguibili dagli originali) un biglietto non in circolazione e di cui non è nota l’esistenza. Le super-banconote sarebbero state emesse nel 1998 e non sarebbero garantite dalla Federal Reserve che, in effetti, ha già dichiarato ufficialmente di non aver mai emesso titoli per il valore nominale di un miliardo di dollari.
La Fed non mente
I super-biglietti farebbero parte di una speciale emissione effettuata in base all’ordine esecutivo 11.110, firmato il 4 giugno 1963 dal presidente John Kennedy che aveva restituito al governo Usa il potere di emettere moneta, senza il coinvolgimento del Congresso, garantita attraverso le riserve federali di argento, e senza passare attraverso la Fed. Dopo l’assassinio del Presidente Kennedy l’ordine esecutivo 11.110 cadde in disuso e le banconote emesse dal governo furono ritirate dal mercato. Ma il fatto è che l’ordine esecutivo 11.110 non è mai stato formalmente abrogato. Si stima che nel 1998 il 99% delle banconote in circolazione erano “Banconote della Federal Riserve” mentre l’1% era costituito da “Banconote degli Stati Uniti”. Bisogna sapere, per capirci qualcosa, che la stampa dei due tipi di banconote è quasi identica ad eccezione del fatto che una riporta la dicitura “Banconota della Federal Reserve” e l’altra “Banconota degli Stati Uniti”. Inoltre, quelle della Federal Reserve hanno marchio e numero di serie verdi, quelle degli Stati Uniti marchio e numero di serie rossi. Basta guardare le foto diffuse dalla Guardia di finanza di Como per rendersi conto che le banconote da un miliardo di dollari sequestrate a Chiasso sono state messe dal Ministero del Tesoro Usa e non dalla Fed.
I consiglieri di Obama e la crisi del 1998
Al 1998 risale la grande crisi dello yen, con l’economia giapponese sull’orlo della bancarotta e il rischio di un tracollo dei mercati finanziari dello stesso tipo di quello che stiamo vivendo oggi.
Una eventualità allora scongiurata dall’intervento del governo americano deciso a sostenere il peso valutario dello yen in caduta libera. Nessuno si ricorda più di quella crisi ma all’epoca intervennero personalmente Rubin, ministro del Tesoro, e il suo vice: Larry Summers, oggi consigliere economico di Barak Obama e all’epoca inviato speciale di Washington nei Paesi nei guai, precipitatosi a Tokio il 18 giugno del 1998 per incontrare il ministro delle Finanze Hikaru Matsunaga e il suo vice, Eisuke Sakakibara, l’uomo conosciuto sui mercati come “Mister Yen”.
Una trappola da romanzo
Ora il fatto davvero interessante è che i due giapponesi fermati a Chiasso, con la ciclopica cifra di 134,5 miliardi di dollari, sono personaggi abbondantemente “bruciati” essendo stati coinvolti in un precedente traffico miliardiario di titoli falsi in yen. In più le precauzioni assunte dai due per varcare la frontiera italo-svizzera sono da subito apparse agli investigatori assolutamente inadeguate al valore del traffico messo in atto. Una ingenuità incongruente con il curriculum dei due corrieri nipponici che invece hanno precedenti da professionisti dei traffici finanziari di altissimo livello. Yamaguchi in particolare sembra il personaggio più interessante e intorno al quale potrebbe cominciare a chiudersi il cerchio dei misteri sul “tesoro di Chiasso”: se venisse confermato che si tratta di un ex alto funzionario del Ministero del Tesoro giapponese e se il suo nome porta effettivamente a Toshiro Muto i conti potrebbero cominciare a tornare. Toshiro Muto è stato infatti fino a poco tempo fa vice-governatore della Banca del Giappone ma anche, nel 1998, contestatissimo direttore del segretariato generale del ministero delle finanze di Hikaru Matsunaga e di Eisuke Sakakibara, i protagonisti, con Summers e Rubin, del “salvataggio dello yen” del 1998. Sakakibara fino a poco tempo fa è stato anche tra i più convinti sponsor della nomina di Muto a governatore della Banca centrale del Giappone. Insomma tutto fa pensare che i titoli del “tesoro di Chiasso” siano autentici e che rappresentino un acuto mal di pancia per l’entourage finanziario del governo Obama più che per quello Giapponese. Insomma, tira aria da colpi bassi.
Fonte: http://www.liberazione.it/