di

Valerio Pignatta

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I piccoli sono esposti per molte ore al giorno allo schermo televisivo. Quali i rischi?

Gli studiosi dei mass media hanno confermato ormai da alcuni decenni che la televisione è un elemento di socializzazione in competizione con i fattori tradizionali della stessa quali la famiglia, la scuola, la chiesa e il gruppo di pari. Addirittura alcuni sociologi propendono per la predominanza di essa su tutti gli altri.

In effetti la tv è oggi la principale narratrice dei fatti della vita e del mondo. I bambini, in particolare, acquisiscono attraverso di essa informazioni e panoramiche sugli eventi più disparati dell’esistenza prima ancora di poterli pienamente comprendere e interpretare. Questa assimilazione passiva, ed eccessivamente precoce, crea anche aspettative precise rispetto agli avvenimenti futuri nonché stereotipi difficilmente poi realizzabili nell’esistenza reale. Questa stessa esposizione al mondo adulto, erotico e violento televisivo porta quindi da una parte a quella che il critico delle comunicazioni statunitense Neil Postman ha definito “la scomparsa dell’infanzia” e in secondo luogo alla formazione di una futura umanità delusa della vita reale e proiettata invece nella vita televisiva, unico luogo inesistente in cui è possibile ritrovare un senso all’esistere.

Questa trasposizione dal mondo materiale a quello elettronico è paragonabile alla estraniazione magica che si può provare sotto gli effetti di uno stupefacente di “buona qualità”. Solitamente in questa situazione un adulto è quasi sempre consapevole di essere in uno stato alterato di coscienza sebbene controlli sempre meno il desiderio di ricorrervi quanto più spesso è possibile. Un bambino invece assomma a quest’ultima dipendenza anche la confusione tra quello che è veramente reale e quello che avviene solo nella mente di sceneggiatori e conduttori televisivi e che nella realtà proprio non esiste.

La tv sottrae ai bambini molto tempo ad altre forme di socializzazione

La tv sottrae ai bambini molto tempo ad altre forme di socializzazione

Se tutto ciò può sembrare esagerato si possono qui riportare alcuni conti che chiunque può fare.

Un bambino in età prescolare (da due a sei anni) che ha passato un quarto della sua giornata (a volte ne passano di più) a guardare la tv avrà passato almeno 5000 ore (o forse molte di più) a guardare immagini di un improbabile mondo virtuale. Per un bambino che non l’avrà fatto queste stesse 5000 ore saranno tutte zeppe di altre attività cognitive. E, come qualsiasi educatore sa, non si può obiettare che questa non sia una differenza sostanziale, qualsiasi siano i programmi televisivi visti.

Ossia: «Il principale pericolo dello schermo televisivo non sta tanto in quello che esso fa fare (benché anche lì vi sia un pericolo) quanto in quello che impedisce di fare: i discorsi, i giochi, le festività e le discussioni familiari attraverso le quali avviene gran parte dell’apprendimento del bambino e si forma il suo carattere» (Winn, Marie, La droga televisiva, Armando, Roma, 1978, p. 123). Alcuni studiosi si spingono a spiegare l’esplosione statunitense della cultura delle droghe degli anni Sessanta con l’indigestione di tv dei ragazzini degli anni Cinquanta. Il distacco dalla realtà che caratterizza lo stato mentale delle due situazioni è infatti simile.

Il fatto che alcuni oppongano a questa visione la motivazione che la tv comunque aiuta i bambini a divenire più svegli e furbi che non un tempo, da un punto di vista pedagogico non regge. Essere smaliziati ed essere maturi non è esattamente la stessa cosa…

Bisogna poi trasferire l’attenzione dal cosa guardano i bambini al perché e al quanto guardano e al cosa stanno perdendo in conseguenza di questo.

Pretendere che tutte queste ore passate davanti alla baby-sitter elettronica non abbia conseguenze sulla vita sociale dei bimbi è veramente illusorio. Uno studio messo a punto in California già all’inizio degli anni Novanta aveva appurato che il tempo massimo di attenzione consecutiva dei bambini delle scuole elementari era di 7 minuti, ossia esattamente il tempo degli spot pubblicitari televisivi. Elaborare programmi educativi di un certo spessore con questi ritmi è davvero un’impresa eroica.

I bimbi rappresentano la più vasta audience televisiva rispetto alle altri classi di età. Essi sono i futuri adulti della nostra società. Se la percezione della realtà che essi hanno è deformata, la società che costruiranno ne sarà lo specchio. Vanno quindi messi a punto accorgimenti per proteggere i bambini da un’eccessiva esposizione a questo tipo di manipolazione mentale. Se questo può oggi sembrare un’affermazione folle si può ricordare che in tempi in cui il comune buon senso non rientrava ancora tra le specie in via d’estinzione questa visione era un sentire comune e diffuso nella società.

Negli anni Cinquanta, in Italia e Gran Bretagna era stato proposto di inserire un'ora di silenzio dopo i programmi per bambini per disincentivarne il prolungamento davanti alla tv.

Negli anni Cinquanta, in Italia e Gran Bretagna era stato proposto di inserire un’ora di silenzio dopo i programmi per bambini per disincentivarne il prolungamento davanti alla televisione.

Negli anni Cinquanta, in Italia e Gran Bretagna era stato proposto di inserire un’ora di silenzio dopo i programmi per bambini per disincentivarne il prolungamento davanti alla tv.

Il fatto che il business non si può permettere la perdita di una così vasta fetta di telespettatori ha probabilmente impedito un’evoluzione in questo senso. A ciò si deve affiancare la circostanza per cui, purtroppo, ai genitori fa comodo parcheggiare i bimbi davanti alla tv, perché questo permette loro di svolgere alcuni lavori in modo più tranquillo, oltre che rappresentare una facile e sicura soluzione alle crescenti difficoltà che essi incontrano nel prendersi cura dei bambini.

Nel 2002, effettivamente, si è portato a termine un Codice di autoregolamentazione per le emittenti radiotelevisive che mira a tutelare i giovani telespettatori risparmiando loro violenza e affini. Ma come tutti possono vedere in gran parte esso non viene rispettato. E comunque il nocciolo della questione, per quanto possa parere strano, non è la qualità di ciò che viene visto (seppur sia confermato che la visione ripetuta di atti di violenza condizioni comportamenti conseguenti nei bambini) ma più che altro la quantità di esposizione al “mezzo”.

Come dice Postman: «[…] in ogni strumento è insito un pregiudizio ideologico, una predisposizione a costruire il mondo in un modo piuttosto che in un altro, a sopravvalutare una cosa rispetto a un’altra, a magnificare le proprie percezioni, le proprie capacità o atteggiamenti a svantaggio di altri. Il famoso aforisma di Marshall McLuhan, “Il medium è il messaggio”, voleva dire proprio questo» (Postman, Neil, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, p. 20). E il mondo che vediamo uscire dalla tv è proprio quello che vogliamo per i nostri bambini?

È palese che la televisione non è per niente strutturata in modo di dare informazioni circa il mondo reale ma che si propone essenzialmente come obiettivo primario (se non unico oltre quello della manipolazione politica) quello di vendere merci.

Possiamo quindi facilmente arguire che la tv è un mezzo di mercato e i valori che diffonde sono quelli commerciali. Tali valori sono quelli che si stanziano nelle menti dei piccoli futuri cittadini del pianeta insieme ad una concezione fortemente aggressiva della vita ed ad una sessualità immaginifica o chimerica. Facciamo in modo che questo non possa continuare nella nostra totale indifferenza. A cominciare da noi stessi e dalle nostre scelte di tutti i giorni.

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