DI
NAZANIN AMIRIAN
rebelion.org
Sarebbe un errore decifrare la fissazione di Ahmadinejad per Israele in chiave religiosa, per il suo impegno nella causa palestinese o nel quadro della disputa tra Teheran e Tel Aviv per l’egemonia di una delle regioni più strategiche del mondo. I suoi motivi vanno cercati altrove.
Pochi mesi fa, una valanga di supposizioni ha invaso la stampa iraniana quando un quotidiano, per una distrazione, rivelò che il cognome originale di Ahmadinejad é Saburjian, un clan ebreo iraniano. Dato irrilevante se non fosse che nella Repubblica Islamica un ebreo non può occupare nessun incarico pubblico. L’uomo, originario di Aradan, aveva cambiato il suo cognome con quello di Ahmadinejad “discendente di Maometto”, quando emigrò con la sua famiglia a Teheran.
Dopo lo scandalo, il riformista Mehdi Karrubi gli domandò circa la sua vera identità e il fu Saburjian evase la risposta. Dopo l’autoproclamazione a presidente, Ahmadinejad ha nominato suo capo di gabinetto Rahim Massai, che qualificava il popolo ebreo amico dell’Iran. Ex capo dei servizi segreti e dirigente del principale partito che appoggia Ahmadinejad, anche Asgar Oladì é discendente di famiglia ebrea. Figuriamoci se da Israele potevano attizzare il fuoco del sospetto! Un quotidiano ebreo animava i Parsims, la comunità ebrea in Iran, a votarlo nelle elezioni a giugno e Meir Dagan, ex capo del Mossad, disse che “Israele avrebbe un grave problema se Ahmadinejad perdesse le elezioni”. Moshen Rezaì, ex comandante delle Guardie Islamiche, lo chiamò pubblicamente “agente di Israele”. Misteri genealogici e di spionaggio a parte, non c’è dubbio che i discorsi di Ahmadinejad fanno molto comodo al suo collega Nethanyahu, il quale é ben cosciente che l’appoggio dell’islamista alla causa Palestina non é altro che una tattica politica e si serve della “minaccia iraniana” per continuare la sua politica militarista nella zona.
Durante l’ultimo assalto di Israele a Gaza, il mero appoggio verbale di Teheran alla Palestina ha sorpreso sia Hamas che Israele, convinti di un intervento diretto dell’Iran, che ha scelto invece di non confrontarsi con uno degli eserciti più potenti del mondo. Imprigionato nella sua propria propaganda, il regime, da un lato animava i giovani a recarsi a Gaza, e dall’altro, mandava il fratello di Ahmadinejad a farli tornare a casa quando erano già all’aeroporto. Approfittando del clima bellico, Ahmadinejad é riuscito a bloccare la mozione di censura contro i suoi ministri e ha chiuso varie pubblicazioni che criticavano Hamas per la sua strategia suicida davanti al potente esercito israeliano. Il pretesto: la necessità di unirsi contro la “minaccia israeliana”.
Con queste premesse, il suo intento di riaprire l’estemporaneo dibattito sull’Olocausto, più che smascherare la mancanza di equità degli organismi internazionali nel giudicare i crimini commessi dai differenti Stati o denunciare il ricorso di Tel Aviv al vittimismo quando bombarda la Palestina, avvelena una visione onesta e aperta di quella barbarie, nella quale, oltre che ebrei, furono sterminati centinaia di migliaia di comunisti, anarchici, democratici anti-fascisti, tra gli altri. Non si dice, ad esempio, che dei 25 milioni di persone che i nazisti uccisero in Unione Sovietica, solo 6 milioni erano militari. (NdT: nonostante il rapporto sia corretto le cifre in realtà sono minori)
In Ahmadinejad, ragioni politiche, economiche e militari si uniscono nell’affanno di smentire le illazioni sulle sue origini. La sua esagerata esibizione come salvatore del popolo palestinese (fumo per nascondere i crimini che commette sui cittadini del suo paese) ha persino fatto gridare una rivista ultraconservatrice come Jomhuri e Eslami, che gli ricorda che é il presidente dell’Iran, non della Palestina, e che la deve smettere di spostare l’attenzione dai problemi della popolazione iraniana.
Quando organizzò l’infame incontro sull’Olocausto riunendo dal Ku Klux Klan ai nazisti (con i quali condivide lo sterminio dei marxisti, degli omosessuali e le tecniche per farla finita con gli avversari) in Iran si domandarono che motivi ci fossero di sprecare tanti milioni per parlare di qualcosa che é successo 60 anni fa a migliaia di chilometri. L’ayatollah Abtahi si lamentò che “non é giusto che il mondo intero veda gli iraniani, un popolo di grande civiltà, seduti insieme ai fascisti” , mentre decine di politici ed intellettuali proposero di portarli ai tribunali per “attentato contro la sicurezza nazionale”, provocando Israele.
Il peggioramento delle relazioni con l’Occidente e l’isolamento in cui viene mantenuto il paese, intanto, hanno aumentato moltissimo il beneficio dovuto al traffico delle merci in mano ai militari, che controllano l’economia del paese e sono il principale appoggio di Ahmadinejad.
C’é di più. La caduta del prezzo del petrolio da 180$ al barile a 50$ circa in un anno, per un governo che basa il suo bilancio per un 70% sulla rendita del petrolio, si traduce in una crisi totale. Cerca forse di aumentare la tensione nella zona per spingere in alto il prezzo del barile? L’inflazione galoppante, la mancanza di investimenti in un Iran politicamente instabile e la disoccupazione di 12 milioni di giovani, annunciano un’esplosione sociale. Una guerra come cortina di fumo servirebbe, in aggiunta, per schiacciare il movimento dei cittadini per i diritti civili, che avanza inarrestabile. Egli basa la sua esperienza sulla guerra con l’Iraq degli anni 80, quando furono sterminati migliaia di oppositori, poi fu montato lo scandalo dei “Versetti Satanici”, così che il mondo non vedesse le fosse comuni che nascondevano la più grande carneficina politica nella storia contemporanea del paese.
L’Iran non conosce questa retorica antiebrea. Questa terra millenaria accolse gli ebrei già quando Ciro il Grande, creatore della prima Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, li liberò dalla schiavitù dei Babilonesi e li invitò a vivere in un Iran che rispettava l’identità dei popoli che lo abitavano. Questo fatto si rispecchia in Isaia, che chiama Ciro “messia”.
Fu così che Esther si convertì nella regina ebrea dell’Iran ed é per questo che ancora sono in piedi 32 luoghi sacri di questo popolo, come la tomba del profeta Daniele.
Dei quasi 100.000 Parsims che vivevano in Iran nel 1978, circa 70.000 emigrarono, insieme ai circa 5 milioni di iraniani che abbandonarono il paese in conseguenza della repressione politica, religiosa, etnica e di genere, il maggiore esodo della popolazione in tutta la sua lunga storia.
Iran e Israele, oggi, governati entrambi dalla ultradestra religiosa, si autoalimentano per garantire la propria sopravvivenza fatta di tensione e conflitto.
Nazanin Amirian é una giornalista scrittrice persiana che vive in Spagna da 25 anni. E’ docente alla UNED e all’Università di Barcelona. Collabora con i quotidiani Publico, La Vanguardia e El Periodico. E’ autrice di molti libri che hanno come argomento la società iraniana. Il suo sito é
Fonte: www.rebelion.org
Llink: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=92446
1.10.2009
Traduzione a cura di RICCARDO MICCO per www.comedonchisciotte.org