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MARINO BISSO e CARLO PICOZZA
ROMA – C’è un testimone chiave del pestaggio di Stefano Cucchi nella cella di sicurezza del Palazzo di giustizia. E ci sono i primi sei indagati per l’aggressione al trentunenne arrestato sano, con pochi grammi di droga, e morto sette giorni dopo con il corpo denutrito, disidratato, devastato da fratture e altri traumi. I magistrati oggi decideranno sulla riesumazione della salma. Sul decesso del giovane è tornato a parlare il sottosegretario Carlo Giovanardi: "Era in carcere perché tossicodipendente e spacciatore abituale". E ha incassato di nuovo critiche a valanga e richieste di dimissioni.
I magistrati si concentrano sulle responsabilità di quattro agenti penitenziari che hanno avuto in custodia, il giovane negli interrati del Palazzo di giustizia il 16 ottobre, giorno della convalida dell’arresto. A metterli su questa pista non ci sono solo le confidenze consegnate da Cucchi ai compagni di cella, ma la testimonianza di un detenuto che, dallo spioncino della cella, ha assistito al pestaggio di Stefano dopo che era stato accompagnato in bagno. L’attenzione dei pm si concentra anche su qualche detenuto con cui Cucchi avrebbe potuto avere un alterco.
I magistrati vogliono far luce inoltre su possibili percosse antecedenti l’arrivo in tribunale e nei giorni scorsi hanno sentito i carabinieri. Rischiano di essere indagati pure loro. Un’inchiesta interna dell’Arma ha ricostruito il ruolo dei suoi uomini escludendo responsabilità. Ma gli avvocati della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo e Dario Piccioni, insistono: "Chiediamo accertamenti a tutto campo: Stefano si presentò in tribunale già con il volto segnato".
"Escludo che ci siano responsabilità di qualche collega", dice Daniele Nicastrini, segretario regionale della Uil penitenziari, "e non sono arrivati avvisi di garanzia. Qualcuno è stato convocato dai pm ma Cucchi era già in condizioni critiche prima che lo prendessimo in consegna". Oggi il magistrato scioglierà le riserve sulla riesumazione della salma. "Lo ha chiesto la parte civile per far eseguire alcune tac", spiega il coordinatore dei periti, Paolo Arbarello, "e noi non ci opporremo". Il secondo fronte dell’inchiesta, che interesserà i sanitari che non avrebbero assistito Cucchi in maniera adeguata, muoverà sull’ipotesi di omicidio colposo.
Intanto, sulle frasi di Giovanardi ("Cucchi era in carcere perché spacciatore abituale; la verità verrà fuori: è morto soprattutto perché pesava 42 chili") sono piovute critiche da sinistra, destra e centro e una valanga di contestazioni su Facebook. "Quando in politica, come nella vita", attacca Lorenzo Cesa, segretario Udc, "manca ogni senso di umanità, si diventa barbari: oggi è Giovanardi il nuovo barbaro". "E pensare", dice Antonio Di Pietro, segretario Idv, "che Giovanardi ha le deleghe alle Politiche giovanili: si dimetta per manifesta incapacità". "È vergognoso", commenta Paolo Ferrero, segretario del Prc, "che chi si scandalizza per la sentenza sul crocifisso non abbia alcun rispetto per la vita umana".
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