di
Massimo Mazzucco
È riuscito a tentennare per oltre un mese, ma alla fine il presidente Obama ha dovuto cedere: manderà in Afghanistan altri 34 mila soldati, mentre gli Stati Uniti chiederanno l’Europa di aggiungerne altri diecimila di supporto. In questo modo il numero dei militari NATO presenti in Asia Centrale è praticamente destinato a raddoppiare nell’arco di pochi mesi.
Come già previsto da molti analisti, la situazione in Afghanistan si sta complicando a vista d’occhio, al punto che la “nuova strategia“ americana si limiterà a cercare di rafforzare il controllo delle grandi zone urbane – soprattutto Kandhar e Kabul – mentre abbandoneranno definitivamente l’idea di togliere ai talebani il controllo delle campagne.
Si potrebbe anche dire che l’oppio è perduto, ma resta ancora il gasdotto.
Ma il vero problema dell’ Afghanistan, come sappiamo, inizia in Pakistan. E’ quella la pedina che è in gioco ormai da molto tempo, sullo scacchiere internazionale, con una delle poche nazioni atomiche che rischia di passare definitivamente sul fronte orientale (alleandosi con la Cina), rendendo così del tutto inutili gli sforzi degli americani per portare fino al mare il loro gasdotto.
L’Afghanistan infatti non ha sbocchi sul mare, …
… e l’unico percorso possibile per il gas degli americani è quello di raggiungere le coste pakistane dell’oceano indiano, da dove il gas viene spedito in Oriente via mare. Se invece il Pakistan rinunciasse all’alleanza con gli Stati Uniti potrebbe realizzare un gasdotto che dall’Iran sale verso le montagne, attraversa l’Himalaya e raggiunge Cina e Giappone direttamente via terra. (La questione energetica naturalmente non è l’unica a rendere il Pakistan una pedina di importanza fondamentale in Asia Centrale, ma è certamente la più vistosa).
In tutto questo Obama si è chiaramente trovato di fronte ad una situazione nella quale tornare semplicemente a casa avrebbe rappresentato un disastro politico ed economico irreparabile. (Si può addirittura ipotizzare che Obama si sia “giocato l’Afghanistan per l’Iraq”, in campagna elettorale, ben sapendo che questa era comunque una situazione irrisolvibile in tempi brevi).
In ogni caso, è evidente che la situazione è molto peggio di quanto lui stesso potesse immaginare, visto che non solo i militari sono riusciti ad avere praticamente tutti i rinforzi che avevano chiesto due mesi fa, ma è emerso di recente che esiste in Pakistan una struttura parallela, paramilitare, gestita dalla Blackwater, che porta avanti la propria guerra privata – attentati e omicidi sotto falsa bandiera – in territorio pakistano, all’insaputa del Congresso americano. Mentre infatti la CIA, bene o male, deve sempre rispondere ad un comitato senatoriale delle proprie azioni, gli uomini della Blackwater agiscono direttamente ai comandi del vice-ammiraglio William McRaven, l’attuale capo del JSOC (Joint Operations Support Center), che guarda caso è stato fino a ieri il numero due del Gen. McChrystal, oggi comandante in capo delle forze americane in Afghanistan.
Queste rivelazioni si trovano in un articolo di Jeremy Scahill, intitolato “Blackwater’s Secret War in Pakistan”, uscito l’altroieri su “The Nation”.
E’ stato lo stesso Scahill a denunciare l’esistenza di questa struttura di potere paramilitare parallela, che agisce indipendentemente dalle decisioni prese ufficialmente da Washington, nel suo libro intitolato “Blackwater, l’ascesa della più potente armata di mercenari del mondo”.
Come spesso accade con gli americani, siamo di fronte alla solita ambiguità operativa, che sembra aver caratterizzato tutti i loro interventi militari all’estero nella storia (vedasi, ad esempio, Laos e Cambogia): questa ennesima struttura parallela infatti può permettersi di agire senza stare troppo a preoccuparsi del numero di civili uccisi, e questo da una parte “sveltisce” di molto la presunta “caccia al talebano“ in territorio pakistano, ma dall’altra mette a rischio le relazioni ufficiali fra i due paesi, che già sono tutt’altro che cristalline.
È chiaro quindi che il presidente Obama si trova di fronte ad un problema profondo e complesso, che affonda le sue radici nella stessa cultura militare americana: non solo non riesce a mettere sotto controllo i generali che lavorano a cielo aperto, ma deve anche fare i conti con questa struttura parallela, sulla quale evidentemente non ha il minimo potere.
L’unica cosa certa, a questo punto, è che la guerra in Afghanistan sia destinata a trascinarsi per lunghissimi anni.
QUI una intervista di Scahill a GRITtv, sullo stesso argomento.