di

Felice Capretta

GEAB 42, parte II.

La parte precedente si trova qui: GEAB 42 – intensificazione della crisi nella seconda metà del 2010 – parte I

Tre tendenze fondamentali che aggraveranno la crisi nella seconda metà del 2010
Per LEAP/E2020, dietro le “sofisticate” dissertazioni sull’uscita dalla crisi al termine delle politiche di sostegno all’economia e al settore finanziare si nasconde una verità molto semplice, ma una di quelle che governi e banche centrali sono incapaci di esprimere: non sanno cosa fare, quando farlo e come; ne’ se dovrebbero farlo da soli o insieme ad altri attori globali.
In verità, se la mancanza di preparazione al manifestarsi della crisi derivava dall’incapacità, da parte dei leader mondiali, d’immaginare il possibile palesarsi di una crisi, da molti mesi a questa parte è la loro incapacità di giudicare correttamente la reale situazione dell’economia mondiale e l’interazione di gran parte delle misure straordinarie prese in tutto il pianeta che li condanna, adesso, a rimanere passivi.

Da ora alla fine di questo semestre, tale assenza di azione cederà il posto a mere reazioni agli eventi sociali, economici e politici.

Tutto ciò avrà luogo in un contesto di completo disordine, rafforzando la tendenza all’ “ognun per sé” che è divenuta via via più chiara dalla fine del 2009.
Tale situazione di paralisi intellettuale spiega perché, da mesi, nei meeting dei banchieri come nelle conferenze del G20 sia possibile ascoltare solo dichiarazioni positive sull’inevitabile conclusione delle misure d’emergenza avviate nel 2008/2009, mentre si osserva come le stesse permangano invariate.

Come sempre avviene in questi casi, l’impeto decisivo prenderà avvio dalla reazione a un evento improvviso e non da una riflessione strategica, propositiva e attentamente calcolata.
Il rifiuto di affrontare la questione cruciale di una riformulazione del sistema monetario internazionale, a cui si è assistito nel 2009, crea una situazione in costante slittamento e all’inevitabile, sistematico scontro di interessi tra i grandi attori globali: priorità divergenti tra le zone dell’Euro e del Dollaro, tensioni crescenti tra Pechino e Washington sul cambio Yuan-Dollaro, ecc… una situazione che d’ora innanzi vedrà sempre più intrecciarsi le sfere del commercio e della diplomazia.

Le tre tendenze fondamentali

Alla luce di tale preoccupante scenario internazionale, in questo numero di GEAB il nostro gruppo ha scelto di anticipare lo sviluppo di tre tendenze che, a nostro parere, contribuiranno a un improvviso aggravarsi della crisi nella seconda metà del 2010, ovvero:
1 – L’esplosione della bolla dei debiti pubblici e il corrispondente aumento dell’impossibilità per gli stati di effettuare pagamenti.
2 – L’impatto fatale del sistema bancario occidentale tra il numero crescente di mancati pagamenti e il muro del debito in maturazione.
3 – L’inevitabile aumento dei tassi d’interesse

Queste tre tendenze sono strettamente correlate poiché, in fondo, si basano tutte sulla stessa semplice verità: il bisogno di finanziamenti a breve termine del sistema bancario mondiale e degli stati occidentali, al momento, supera di gran lunga la disponibilità di risparmi.

1. L’esplosione della bolla dei debiti pubblici e il corrispondente aumento dell’impossibilità per gli stati di effettuare pagamenti

Al momento ci troviamo all’inizio di una gigantesca ondata di rimborsi e/o rifinanziamenti di prestiti contratti al termine del periodo pre-crisi (2005/2007) – ossia contratti durante un periodo di totale irresponsabilità finanziaria – in special modo per quelle aree in cui il profitto è collassato in seguito alla crisi, o il valore attribuito dalle controparti risulta vieppiù immaginario.

Detto in parole semplici, è tempo di “pagare il conto” per tutti coloro (LBO’s 31, investitori nell’immobiliare commerciale, stati, città insolventi, ecc.) i quali avevano creduto di poter consumare un “pasto gratis” negli anni 2005/2007.

Il perdurare della crisi economica crea il peggior scenario possibile per qualsiasi rimborso o rifinanziamento:

  • Da un lato, la crisi ha provocato un crollo dei margini di profitto medio per quasi tutte le attività economiche (quelle che hanno evitato la bancarotta), con un margine fluttuante tra il 2 e il 5%, contro il 10% e più prospettato per la maggior parte delle transazioni finanziarie avviate nel periodo 2005-2007
  • Dall’altro, come sempre avviene in tempi di crisi, la competizione per l’accesso ai finanziamenti si è trasformata in una lotta serrata per l’ultimo boccone che vede coinvolti proprietari immobiliari e finanzieri (classici), così come i governi, sia centrali che locali, e le stesse banche.

Come anticipato da LEAP/E2020 più di due anni or sono, con la scomparsa di circa 30 trilioni di “beni fantasma” nel 2010 si assisterà all’inizio di un “ballo dei dannati” in cui, nel tentativo di risanare i propri debiti, ogni proprietario di immobili, attività economica, autorità, istituzione finanziaria e paese sarà alla disperata ricerca di risorse o profitti di cui non dispone più (per la perdita di impiego, crollo dei profitti, caduta delle entrate fiscali o costi maggiorati a causa della crisi stessa) o tenterà di rinegoziare le proprie scadenze e ottenere nuovi crediti in un periodo di limitata offerta a fronte di una grande domanda.
Uno degli esempi più eclatanti di tale situazione è, senza alcun dubbio, l’effetto esclusione causato dalle enormi necessità di finanziamento pubblico degli USA: in ambito interno, attività economiche e proprietari immobiliari sono marginalizzati a fronte di un crescente bisogno di credito da parte dello stato; in ambito internazionale, gli stati in condizioni finanziarie più fragili saranno esclusi dall’accesso al credito, oppure obbligati a pagare pesanti costi aggiuntivi, mentre sono incapaci anche solo di pensare di chiedere aiuto.
A tale riguardo, nel 2010 si assisterà a un sorprendente rafforzamento del concetto di debito sovrano a rischio: dopo aver fatto la sua comparsa in Islanda nel 2008, si è esteso a Lettonia, Irlanda, California e Dubai nel 2009, e ora la Grecia. Portogallo e Spagna ne usciranno con facilità in quanto l’Eurozona sta attualmente testando con la Grecia un proprio metodo di sostegno ai paesi con difficoltà creditizie e questi due paesi rappresentano un rischio previsto e gestibile per Eurolandia.

Successivamente l’onda colpirà il Giappone, il Regno Unito e gli USA: i tre rischi che il sistema rifiuta di riconoscere e per i quali non esiste davvero soluzione possibile, in quanto coinvolge il pilastro portante del sistema e i suoi due sostegni.

Gran Bretagna
A causa delle prossime elezioni di Maggio, il Regno Unito attualmente viene ignorato dalla stampa internazionale che utilizza la Grecia come diversivo.

Tuttavia, come dichiarato in precedenza, la situazione finanziaria del Regno Unito continua a deteriorarsi.

Per ragioni principalmente elettorali, la bozza di bilancio così come le decisioni della Banca d’Inghilterra mirano a dissimulare temporaneamente i problemi crescenti: da parte del governo, si ha una bozza di bilancio in totale contrasto con la necessità di ridurre in modo sostanzioso le spese per un periodo di durata non inferiore ai 5 anni, ma con ogni probabilità per un’intera decade; da parte della banca centrale, vi è l’annuncio di una sospensione del “quantitative easing”, in altre parole di “monetizzazione”, ben sapendo che nessuno, a parte la Banca d’Inghilterra è disposto ad acquistare Gilts (buoni del tesoro britannici).

Situazione, tuttavia, sostenuta da una campagna mediatica che dipinge un’Eurozona in affanno e permette all’elettore medio di illudersi che la lungimiranza dei leader del Regno abbia consentito al popolo di evitare gli scogli sui quali s’infrangono i paesi continentali (nascondendo, per esempio, il fatto che il sistema bancario britannico non rientra più tra i più sicuri del mondo per Standard & Poor).

Per la politica britannica, è un trucco per vincere le elezioni; nel mondo reale è la garanzia di una crisi di grande portata, immediatamente successiva alle elezioni, durante la fase di “ritorno alla realtà”. Dal canto nostro, ci chiediamo se il governo britannico sarà in grado di sostenere questa farsa fino alle elezioni.

Rammentiamo l’incapacità dimostrata dal partito repubblicano nell’impedire alla crisi di Wall Street di esplodere prima delle ultime elezioni presidenziali.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti, dove nell’anno elettorale si può assistere a tutto e al suo contrario, si nota una crescente scollatura tra le dichiarazioni (e le statistiche) e la realtà.

Prendendo come unico indicatore l’acquisto di buoni del tesoro, abbiamo da un lato il governo federale e la Fed pronti a dichiarare che “vanno via come il pane”, mentre il bisogno di ulteriori vendite cresce di pari passo con l’esplosione del debito pubblico.

Dall’altro, il principale acquirente di buoni del tesoro USA di questi ultimi anni (la Cina) ha bloccato gli acquisti e si è posta l’obiettivo dichiarato di ridurre le quantità già in suo possesso.

Ben sapendo che i proprietari immobiliari americani non dispongono di risparmi e che deficit di ogni sorta gravano sui principali paesi del pianeta – che sono pertanto impossibilitati a rimpiazzare gli acquisti cinesi – rimangono solo due possibili soluzioni:

  • Tim Geithner moltiplica le vendite di buoni del tesoro come Gesù moltiplicava i pani e i pesci.
  • Ben Bernanke, e la Fed, dice la prima cosa che gli frulla in testa, quindi acquista la montagna di buoni del tesoro attraverso i canali principali e altri partner finanziari utilizzando una varietà di vie nascoste (e offshore) come le Isole Cayman, le Isole della Manica, Hong Kong, ecc.

Il LEAP/E2020 punta sulla seconda opzione.

Per tale ragione ci aspettiamo un aumento delle tensioni tra Washington e Pechino nei prossimi mesi: di fatto, era ciò che gli USA si erano impegnati a non fare con i cinesi, molto preoccupati per il crescente rischio di perdita di valore dei loro investimenti in dollari.

Sommandovi la vendita di armi a Taiwan, l’incontro con il Dalai Lama, le scaramucce commerciali e l’Iran, riteniamo che la seconda metà del 2010 sarà favorevole per l’avvio di una resa dei conti tra Washington e Pechino, con un conseguente aggravamento della crisi.

Giappone

Per quanto concerne il Giappone, la loro situazione geopolitica verrà confermata dal corso degli eventi: il crescente avvicinamento di Tokyo a Pechino condurrà a un rapido indebolimento del dollaro e dei titoli in dollari, per il ruolo chiave delle riserve in dollari del Giappone.

Le aree di disaccordo con Washington sono in aumento: oltre al problema delle basi militari americane in Giappone, la discussione sui trattati segreti che hanno legato il Giappone agli Stati Uniti durante la guerra fredda sta attualmente uscendo alla luce.

Nell’arena commerciale, Tokyo accusa Washington di usare i problemi della Toyota per gettare dubbi sulla qualità di tutti i prodotti giapponesi. Ma al di là delle relazioni nippo-americane, il Giappone sta per affrontare un periodo molto difficile dal punto di vista economico-finanziario, in quanto è simultaneamente preda di problemi e grossi dubbi sul proprio modello economico degli ultimi vent’anni e al tempo stesso deve affrontare le gravi questioni riguardanti il finanziamento del proprio enorme debito pubblico: persino Tokyo dovrà combattere per finanziare il proprio deficit – un problema totalmente inedito per il Giappone.
Riassumendo: USA, Eurozona, Regno Unito e Cina vedranno ridursi a zero i loro sogni di crescita a partire dalla seconda metà del 2010.

2. L’impatto fatale del sistema bancario occidentale tra il numero crescente di mancati pagamenti e il muro del debito in maturazione
Abbiamo appena esaminato il problema riguardante gli stati, ma quanto detto è altrettanto vero per le banche, le quali quest’anno dovranno affrontare un vero “muro di debiti” verso il quale stanno viaggiando a tutta velocità.

O, per utilizzare un’analogia più precisa, è il muro di debiti che si muove verso di loro a mo’ di tsunami.

Così come la crescente forza esplosiva dei mutui subprime all’interno del sistema finanziario statunitense era prevedibile dall’inizio del 2006 (cfr. GEAB n. 2), la forza dello tsunami di debiti che sta per abbattersi sulle banche può essere totalmente anticipata: se si è a conoscenza dell’ammontare dovuto, e del fatto che i debitori non sono – o non sono più – solventi, non c’è davvero bisogno d’essere degli indovini per conoscere il futuro.
Negli Stati Uniti, così come in Europa, il settore immobiliare commerciale giocherà ovviamente un importante ruolo nelle ulteriori perdite delle banche.

Negli USA, in media, ha perso il 43% del suo valore comparato alle vette raggiunte nel 2007/2008.

Basti valutare che l’importo totale dei mutui per gli immobili commerciali dichiarato nell’ottobre 2008, nel momento in cui esplose la crisi di Wall Street, ammontava a 3,5 trilioni di dollari, mentre i mutui subprime (il cui collasso era iniziato 18 mesi prima) ammontavano appena 1,5 trilioni di dollari.

Al momento, stiamo entrando in un periodo analogo, preceduto da 18 mesi di continuo calo dei prezzi degli immobili commerciali statunitensi, anche se la concentrazione “principale” di rifinanziamenti è prevista per il 2011/2013.

Le condizioni economiche estremamente difficili che il mercato statunitense attraversa attualmente amplificheranno gli effetti di questa “bomba a orologeria”: la crisi fa ticchettare più velocemente il timer, e numerose banche di medie dimensioni avranno modo di rendersene conto entro la fine di quest’anno.
In Europa, i principali mercati immobiliari commerciali assistono a uno sviluppo simile, consapevoli del fatto che il numero di proprietà invendute è costantemente aumentato a causa dei progetti immobiliari avviati prima dello scoppio della crisi.

Come analizzato nei numeri GEAB recenti, i portfolio delle banche europee in questo settore saranno fondamentalmente invendibili per molti anni a venire, a meno che i prezzi non vengano ridotti di più della metà.

Nel 2010, probabilmente, vi sarà la possibilità di realizzare i primi ottimi affari, in quanto le banche dovranno abbassare le pretese.

Negli USA, in particolare, le proprietà immobiliari continueranno a deprimere i risultati bancari, come già hanno fatto negli ultimi tre anni, ma con un’accelerazione dovuta, da un lato, al fatto che l’immenso portfolio fantasma di proprietà immobiliari delle banche statunitensi non potrà rimanere ancora occulto poiché queste proprietà, sovente mal costruite, si stanno deteriorando rapidamente.

Dall’altro lato, poiché con l’aumentare della disoccupazione – in special modo quella a lungo termine – milioni di mutuatari precedentemente considerati “affidabili” stanno precipitando verso l’insolvenza o persino verso una dismissione delle proprie case (poiché quasi un terzo degli immobili acquistati grazie a un mutuo ha un valore inferiore al prezzo d’acquisto, un numero crescente di proprietari restituisce le chiavi alla propria banca e si trasferisce in immobili in affitto).

Allo stesso tempo, il default dei pagamenti per il credito al consumo è in costante crescita, in un momento in cui le regole bancarie volute dai leader politici e dall’opinione pubblica mirano a ridurre i profitti degli istituti di credito.

Quest’ultimo fenomeno coinvolge Europa, Giappone e la maggioranza delle grandi banche internazionali.
Se da un lato ci si deve attendere il fallimento di 500 ulteriori banche statunitensi nei prossimi diciotto mesi (di dimensioni maggiori rispetto alle 140 banche scomparse nel 2009), è plausibile che le politiche di “ritiro” delle misure d’emergenza della Fed e del Tesoro US non solleveranno un’ulteriore ondata di fallimenti tra i grandi nomi di Wall Street.

E’ nostra opinione che l’impossibilità per la Fed e per il Tesoro di prefigurare le conseguenze di questo processo di ritiro delle misure d’emergenza, unito alla sottostima della natura sistemica della crisi (vale a dire, dell’attuale debolezza strutturale del sistema finanziario ed economico mondiale) e la totale impopolarità di qualsiasi ulteriore aiuto per Wall Street (specialmente in un anno di elezioni), sta creando, una volta ancora, una situazione in cui è probabile la bancarotta di grandi banche.

3. L’inevitabile salita dei tassi di interesse

Quanto costerà prendere in prestito questo denaro per il quale la competizione si è intensificata?

Negli ultimi 18 mesi, i banchieri centrali hanno risposto"la crisi è un problema di liquidità, quindi questo denaro non deve costare, e comunque non costa, nulla". …e tutto continuerà come prima.

Comunque, negli ultimi mesi, la ripresa non è avvenuta, le banche continuano a trattenersi dal prestare, la disoccupazione continua a salire, …. nonostante un flusso in entrata di liquidità a costo zero che il mondo non ha mai visto nella storia.

Gli stati hanno iniziato a mancare i pagamenti dovuti, il gettito fiscale crolla, le politiche di austerità iniziano ad apparire dovunque, e un insieme di banche centrali iniziano a preoccuparsi dell’inflazione… e iniziano a rialzare i loro tassi di interesse, come in Australia o Norvegia, o, nel caso svedese, annunciando un aumento nell’estate 2010, o usando una varietà di strumenti diversi, come Pechino.

Comunque, la Fed, come le banche centrali inglese, giapponese ed europea, continua a far credere alle persone che c’e’ ancora molta strada prima di volere o essere in grado di rialzare i tassi.

Ma ha veramente scelta?

LEAP/E2020 ha scritto due anni fa che la Fed ha perso il controllo dei tassi di interesse. Siamo ancora della stessa opinione e vorremmo aggiungere che la Fed dovrà soffrire l’impatto di due sviluppi tra ora e la metà del 2010:

  • cosa decidono di fare le banche cinesi ed europee
  • confrontarsi con il problema della solvibilità domestica USA ed internazionale

Se Pechino, per evitare una esplosione inflattiva della bolla speculativa creata dalla sua politica di denaro a basso costo in questi ultimi 18 mesi è obbligata a continuare la stretta monetaria (che il nostro team pensa che accadrà), tutte le economie asiatiche, Giappone incluso, saranno obbligate a seguire rapidamente, e diventeranno le destinazioni preferite della liquidità mondiale.

L’eurozona, che non accetterà questa riduzione "forzata" del costo del denaro, seguirà i passi asiatici.

La sola soluzione per gli USA per evitare di trovarsi in bancarotta internazionale nel momento in cui deve continuare ad attrarre capitali per finanziare tutti i suoi deficit, sarà continuare il gioco anche se contro la sua volontà (accelerando la monetizzazione – benchè negandolo). Dunque scoprirà brutalmente di non avere più l’abilità di controllare lo sviluppo mondiale.

In un ambiente economico caratterizzato da un ampio numero di aziende mantenute in gita dal credito facile, questo aumento dei tassi di interesse porterà al crollo della zombie economy, una caduta fatale di circa il 30% dell’economia mondiale.

SI conclude qui la seconda parte del GEAB 42. La parte precedente si trova qui: GEAB 42 – intensificazione della crisi nella seconda metà del 2010 – parte I .

A presto la terza parte.

 

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