DI
FULVIO GRIMALDI
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Liberi pensatori sono coloro disposti a utilizzare le loro menti senza pregiudizio e senza timore di comprendere cose che si scontrano con i loro costumi, privilegi, credi. Questo stato della mente è essenziale per un corretto pensiero. Dovesse mancare ogni discussione sarebbe peggio che inutile.
(Leo Tolstoi)
Non vi sono confini in questa lotta alla morte. Non possiamo essere indifferenti a ciò che succede ovunque nel mondo, poichè la vittoria di un qualsiasi paese sull’imperialismo è la nostra vittoria.
(Ernesto Che Guevara)
Preferisco i delinquenti ai cretini. Perchè i primi, perlomeno, ogni tanto si riposano.
(Charles-Maurice de Talleyrand)
Bisognerebbe aggiornare Von Klausewitz così: “Il terrorismo è la continuazione della guerra (di classe e geostrategica) con altri mezzi”. Ricevo e riproduco qui sotto un clamoroso documento atto a tappare la bocca a chi, coltivando il verminaio per la pesca di farlocchi, o viaggiandone al traino in pigra buonafede o comoda malafede, ci ha martellato nei giorni scorsi con la marcetta all’Avana delle “Damas de Blanco”. Damas che protestavano contro la detenzione dei loro congiunti o compari. Del documento in spagnolo, di facile comprensione e da non perdere, riepilogo il contenuto.
Come s’è visto proposto e riproposto da tutti i trombettieri del necroimpero, una trentina di donne di bianco vestite hanno schiamazzato per le strade della capitale cubana, chiedendo il rilascio degli ultimi dei 75 condannati nel 2003 per aver progettato, o condotto operazioni terroristiche contro il proprio paese al soldo di una potenza nemica. All’ira della donne del quartiere, indignate per tanta sfrontatezza, l’hanno sottratta, come pure s’è visto nelle immagini (ma non udito nei commenti), i poliziotti cubani che le hanno messe su un autobus e riportate a casa.
Per i nostri informatori onnipartisan trattavasi delle mogli, madri, figlie che di tanto in tanto spuntano in piazza per rivendicare la libertà di parenti “prigionieri politici, dissidenti, intellettuali, giornalisti indipendenti, santi subito per meriti democratici…” . Come ho ricordato tante volte, quando sinistra e destra sono fuse in unanimità, la sinistra puzza e la destra vince (pensate al “libero mercato”, agli “interventi umanitari”, al “dittatore Milosevic”, al “mostro Saddam”, al “divo Dalai Lama”…). E la prova è venuta subito. In testa e in basso c’è il testo – con foto che più esplicite non si può – che ci racconta di una marcia parallela di Damas de Blanco a Miami, capitale del mafiaterrorismo cubano, capeggiata nientemeno che da lui, dal “terrorista da confondere tutti i terroristi”, dal serial killer più serial del primo nel Guinness dei primati, del cocco di tutti i presidenti Usa da Kennedy a Obama, del bambino prodigio della “S.r.l. Assassini Cia” fin dal 1961 (baia dei Porci). Per l’appunto Luis Posada Carriles.
Uno che ha cacciato nella serie B dell’antropologia criminale fiorellini del male come Jack lo Squartatore, Barbablù, varie vedove nere, la kapò-regina Ilse Koch, e si è collocato in Champions League accanto a primatisti come Himmler, Churchill, Graziani, Netanjahu, Shamir, Begin, Sharon, Olmert (con gli israeliani non si finisce più…). Una compilation ridotta delle sue imprese al soldo della Cia – in gran parte non solo confessate, ma rivendicate in libri e interviste – annovera: vari tentativi di avvelenare o far saltare per aria Fidel, l’abbattimento nel 1976 del Cubana de Aviacion che trasportava 73 persone, compresa la nazionale giovanile di scherma, l’assassinio con bomba dell’italiano Fabio Di Celmo all’Avana, assassinii vari di esponenti antipinochettisti cileni, attentati dinamitardi a gogò per tutta Cuba, assassini mirati con i Contras in Nicaragua e con l’Arena in Salvador… Fuggito dal carcere a Caracas, liberato dalla compiacente presidente Arroyo in Panama, da qualche anno campa, nutrito, vezzato e onorato da pensionato del terrorismo di Stato, a Miami. Nello Stato che si dice madre di tutte le battaglie contro il terrorismo. Dove se no? Le richieste di estradizione di Cuba e Venezuela non hanno smosso un foglietto notes della magistratura Usa. Quella dell’Italia, per l’assassinio di un suo cittadino, mai pervenuta. Figurati.
Dunque Posada Carriles come padrino e sponsor delle signore bianche. E basterebbe e avanzerebbe per qualificare quelle signore. Ma c’è anche Santiago Alvarez Fernandez-Magrina. E questo chi è? E il benefattore e fautore della democrazia che all’associazione delle signore in bianco paga un contributo mensile di $1.500. Questo Santiago è un pezzo grosso. Se Posada ha il muso del sicario, Fernandez-Magrina ha il grugno del boss. E’ presidente di Rescate Juridico, una pseudo-organizzazione giuridica che garantisce protezione, assistenza, alimenti, all’esercito di terroristi cubani che imperversano da decenni in America Latina, al servizio della Cia e del Mossad. Non solo, a volte s’impegna in prima persona, come quando fece mettere due ordigni nel Cabaret Tropicana. Risulta da una registrazione trasmessa dalla televisione cubana. Socio e amico fraterno di Posada, lo accolse, fuggitivo da Panama, sul suo panfilo e lo posò sano e salvo, e immune, sulle ospitali spiagge della Florida.
Ciò che le pur volenterose corrispondenze sulla chiassata della damas non ci hanno mostrato, era il contenuto delle loro borsette: dollari di Rescate Juridico inzuppati di sangue cubano. Come quelli versati a compenso mensile a coloro che, dietro le sbarre, pagano il costo del loro mercenariato terrorista al soldo di una potenza che da 50 anni cerca di distruggere il loro popolo. E questo mi ricorda qualcosa
Era aprile, di nuovo primavera, ma del 2003. La direzione USraeliana del terrorismo planetario aveva appena intensificato, con l’assalto diretto, il nazionicidio dell’Iraq. Non per questo aveva rinunciato a trascurare le operazioni sporche in America Latina, propedeutiche sempre all’aggressione. Il popolo venezuelano aveva riscattato da poco il suo presidente dal colpo di Stato yankee-oligarchico, ma Cuba non andava mai persa di mirino. Tre delinquenti comuni – nel mondo globalizzato non mancano mai, dai sicari ai presidenti dei paesi occupati o vassalli, lo sappiamo per esperienza nazionale – dirottarono verso gli Usa un traghetto nella baia dell’Avana, minacciando di morte piloti e donne e bambini passeggeri. Furono catturati e messi a morte, pena prevista per questi atti negli Usa e in molte “democrazie” occidentali. Nella retata finirono una settantina di personaggi implicati in un piano di sabotaggi e ammazzamenti di cui il dirottamento era stato solo il primo atto. Cuba ne dimostrò, alla mano di registrazioni audio video, il periodico ritiro della paga mensile dall’Ufficio d’Affari Usa.
Amarcord di un licenziamento
Il 9 maggio pubblicai nella mia rubrica “Mondocane” su “Liberazione” un articolo in cui deploravo quella come ogni condanna a morte, ma, alla mano delle prove cubane, illustrai anche la vera natura di coloro che per Bertinotti e tutti il sinistrato sinistrame, erano, come per Bush e Posada Carriles, “eroici dissidenti intellettuali in lotta per la democrazia a Cuba”. Il giorno dopo Bertinotti ordinò al solito Sandro Curzi, direttore in ginocchio, di cacciarmi fuori dalle palle. Su due piedi. Era in pieno svolgimento la campagna del PRC in difesa dell’art.18. Me lo comunicò per telefono un oscuro amministratore. Lavoravo a “Liberazione” da quattro anni, con rubriche e reportages dalle aree di conflitto. Ci fu mezza rivolta tra i lettori del giornale, ma Bertinotti, Curzi e la sua vice, Gagliardi (oggi a paga del “Riformista” del noto Angelucci), cercarono di calmare le acque inventandosi immaginifiche cause del mio licenziamento. Feci causa e la vinsi. In appello hanno ora vinto loro e vogliono 100mila euro. Si va in Cassazione. Al tempo del primo grado, Bertinotti non era che il segretario di un piccolo, fastidioso partito d’opposizione. Quando si avviò l’appello, l’uomo aveva assunto la terza carica dello Stato. L’art. 3 dello Statuto del partito sanciva il diritto degli iscritti a criticare la linea del partito, anche fuori dal partito. Ma al sovrano poco gliene calava. Del resto non abbiamo ai nostri vertici un Roberto Saviano, eroe-anticamorra in patria ed eroe-filocriminali israeliani e filo-terroristi cubani fuori? Esibita la sua struttura dissociata, abbracciato al presidente Simon Peres e in tasca il libro “Gomorra”, con l’invocazione di “voler vivere in Israele”, l’ha confermata aggregandosi oggi a una loggia radical-ebraico-piddina e al suo appello per le dame bianche e relativi “dissidenti intellettuali” incarcerati, appello inevitabilmente destinato a.lubrificare le armi del terrorismo anticubano (finora 3.300 civili uccisi).
A primavera, non solo a Miami, riassume colorito e vigore il terrorismo caro alla “comunità internazionale”. Lo chef di questa specialità della gastronomia imperialista è senza dubbio e da quando esiste Israele. Ne sanno qualcosa non solo i palestinesi genocidati senza posa da quando spuntarono dai loro villaggi incendiati da futuri premier israeliani. Lo conoscono anche i popoli che, dall’America Latina al Medio Oriente, dall’Africa all’Europa, dall’Asia a tutte le dimensioni spazio-temporali immaginabili, se la devono vedere con gli esperti Mossad e Tsahal degli squadroni della morte, dei sicari false-flag (sotto falsa bandiera) che fanno saltare torri gemelle, metropolitane e stazioni ferroviarie. Esperti e sicari che per una volta hanno lacerato l’immagine di perfezione terroristica consolidata in decenni di killeraggio e bombardaggio, toppando alla grande a Dubai pochi giorni fa. Riuscirono ad ammazzare un dirigente di Hamas, ci mancherebbe, ma furono tutti e 27 – bel rapporto di forza 27 a 1: la pratica fascista dell’assalto di gruppo – identificati dagli investigatori degli Emirati e grandiosamente sputtanati a livello mondiale. Una Londra tormentata dalla doppia lealtà, alla propria sovranità e a quella israeliana, dovette tuttavia acconciarsi a espellere il capostazione Cia, brigantello che aveva fornito ai killer di Dubai passaporti intestati a ignari e innocenti cittadini britannici (altri se ne falsificarono di cittadini francesi, irlandesi, australiani, austriaci). Non è la prima volta che lo Stato fuorilegge più fuorilegge di tutti si è visto limare gli artigli. Da quando gettò piombo fuso su un milione e mezzo di abitanti di Gaza, il vento, seppure solo un alito, pare aver deviato un poco.
A Mosca! A Mosca!
Il che non scoraggia il killer compulsivo. Da una fonte autorevole, Martin Van Creveld, professore di storia militare alla Hebrew University di Gerusalemme e consulente dello Stato Maggiore, apprendiamo. Poche settimane fa il premier israeliano Netaniahu era in visita da Putin a Mosca. Gole profonde riferiscono che ci fu un’animata discussione sull’esitazione russa di imporre nuove sanzioni all’Iran. Fuori di sé il caporione israeliano invitò il capo del governo russo a non stupirsi se nel cielo di Tehran si fossero sollevate nuvole a forma di fungo. C’è chi precisa: “nel cielo di Mosca”. Putin rispose, mentre lo trascinava fuori dalla stanza: “A noi bastano 24 ore per trasformare Israele in un posacenere”. Lo scambio si concluse con un consiglio di Netaniahu ai russi: “Paratevi il culo”.
Iniziò subito una serie di attentati, tra cui uno alla base dei servizi segreti russi (di cui Putin era stato capo) e uno attribuito ai soliti ceceni (del resto fin dagli anni ’90 al servizio degli USA). E se non si fosse capito, di ieri sono i superbotti terroristici nella metro di Mosca, 40 concittadini di Putin uccisi, il primo di nuovo vicino alla sede dei servizi (di cui Putin era capo), il secondo al Ministero degli esteri (dove non si vuole addentare l’Iran). Mettoo in campo ceceni dinamitardi in Russia, tsunami mediatici contro il Vaticano sulla base di pandemie pedofile svelate da 60 anni (protagonista il New York Times, organo Usa della lobby ebraica), giannizzeri mediatici e culturali come Saviano, Travaglio, Colombo, Fazio, che preparano un ricambio obamiano al guitto mannaro sodale di Ratzinger e amico di Putin e Gheddafi (primo governante arabo che, l’altro giorno, ha ospitato e onorato una delegazione della Resistenza irachena). Iniettano veleno ricattatorio nella polemicuzza con gli Usa sugli insediamenti a Gerusalemme araba. C’è da meditare se Israele non abbia fatto scianchetta a se stesso. Il troppo stroppia e sono brutte bestie da prendere quelle in Vaticano e nel Cremlino. E anche certi generaloni Usa, come Petraeus, capo del Cencom, stufi di mettere a repentaglio paese e soldati loro per le necrofrenesie espansioniste di Israele. Moshè Dayan intimava: “Israel must be like a mad dog, too dangerous to bother”, “Israele deve essere come un cane pazzo, troppo pericoloso perchè lo si infastidisca”. E per passare da dolce bassottino, cosa deve fare un cane pazzo? Pretendere che il bassotto sia il cane pazzo. Invertendo i fattori il risultato cambia del tutto. Si chiama inversione vittima-carnefice. Dicesi vittimismo ed è l’arma più tagliente di ogni arsenale d’attacco.
A volte la tragedia, invertendo l’ordine dei fattori, si ripropone in farsa. Il risultato finale stavolta non cambia. Noi non ci facciamo mancare niente: dalla tragedia passiamo alla farsa per ripreparare la tragedia. La farsa, riduzione in sedicesimo delle grandi manovre terroristiche dei Grandi, è quella che, a scivolo per le elezioni della destra (ma anche dello Svendola, vedovo dell’UDC, ma sodale di UDC e Penati in Lombardia, amico in Puglia dei privatizzatori dell’acqua e dei perforatori petroliferi), ha immerso il paese in una superfetazione di attentatuccoli a ominicchi di governo Pallottole e minacce di morte in busta, bombe alla Posta di Milano, petardi qua e là, falsi allarmi bomba sull’aereo del premier e polverine a casa sua, statuette in faccia (si fa per dire). Anarcoinsurrezionalisti e Centri Sociali, ha verificato La Russa da sopra la collinetta dei militari tricolori rientrati dall’Afghanistan con i piedi avanti. E la mente? Ma Di Pietro, no?
La farsa dopo la tragedia. Quella che, a partire dal 1969, 12 dicembre, Piazza Fontana, ci ha reso meritevoli emuli del santolo che ci aveva tenuti a battesimo nel 1945, liberandoci dal nazifascismo e, obiettivo strategico, da ogni parvenza di sovranità nazionale (roba invisa del resto anche a tutti i sinistri che marchiano d’infamia lo Stato Nazione, così lisciando il pelo allo Stato Nazione più potente e prepotente che neanche sperava in tanti assistenti demolitori delle barriere nazionali altrui. Dalle stragi di Stato siamo calati ai petardi di Stato e alle telefonatacce a Emilio Fede. Segno che ci vuole più poco a sodomizzarci? Già camminiamo con i pantaloni alle caviglie. Mica siamo palestinesi, o iracheni, o afghani, cubani, honduregni, venezuelani, boliviani, russi! Quando si tornerà alla tragedia, forse saremo cresciuti.
P.S. Avete notato che neanche a fare il pellerossa con l’orecchio fino per terra abbiamo potuto udire il benché minimo zoccolo del caravanserraglio elettorale sfiorare l’argomento della guerra, del nostro andare in giro devastando e uccidendo e morendo, agli ordini di un capobanda che neanche ci caga, del nostro essere precari, descolarizzati, desanitarizzati, disoccupati, impoveriti, inquinati, picchiati a morte in carcere, ingannati fino allo spasimo, nello stesso barcone con tutti gli altri deprivati, esclusi, affamati, fottuti, colonizzati, desovranizzati del mondo? E anche per questo che in Piemonte, Lazio, Campania, Calabria, Lombardia, fatta la tara dei brogli, delle compravendite mafiose, delle decerebrazione mediatica preventiva, vincono gli originali, mica le copie, per quanto ultrà “non-violente” della curva sud del terrorismo.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2010/03/e-primavera-fioriscono-i-terrorismi-di.html
30.03.2010