DI
FRANCO CARDINI
europaquotidiano.it
L’Italia è governata da un cavaliere, com’è noto. I cavalieri cavalcano: per farlo, hanno bisogno di cavalli. Quelli arabi sono senza dubbio i migliori. Ed ecco che, nel migliore stile alla Buffalo Bill ( anche William Frederick Cody era colonnello…), arriva a Roma il Premiato Circo Gheddafi, con le sue torme di nobili equini, il suo balletto di bellezze guerriere – un altro genere che dovrebbe interessare alquanto il nostro premier, com’è noto infaticabile amatore – e il suo corredo di tende beduine, di uniformi da domatore di leoni e di esotici kaftan.
Muammar Gheddafi era un giovane e interessante uomo politico un quarantennio fa, quando era uno snello ed elegante colonnello dell’armata libica che, ad appena ventisette anni divenne reis del suo paese, dopo aver rovesciato re Idris I e instaurato una repubblica ispirata ai principi del “socialismo arabo” di Gamal Abdel Nasser. Erano i tempi in cui il sogno della Repubblica araba unita, per quanto già naufragato, suscitava ancora entusiasmi e speranze. Da allora, il colonnello libico è passato di “rivoluzione” in “rivoluzione”: e le ha provate tutte.
Prima quella socialista e panaraba, poi quella “verde” ispirata all’integrismo islamico, infine quella “panafricana” della quale a lungo si è autoproclamato leader quasi all’insaputa e comunque nell’indifferenza degli altri paesi del continente nero. Infine, dopo un ulteriore periodo d’incertezze punteggiato da rivendicazioni anticolonialiste nei confronti dell’Italia e da sparate antiamericane e antisraeliane, egli sembra giunto a un’ulteriore fase del suo pensiero e della sua prassi: l’accettazione piena del suo ruolo di statistaimprenditore di un paese grande produttore di petrolio e di supporto della politica mediterranea del pool americoatlantistico- europeista. Non a caso, e molto significativamente, la voce politica e culturale più interessante della famiglia Gheddafi, quella della figlia, è stata da qualche tempo messa a tacere: e sì che, al tempo dell’aggressione all’Afghanistan e poi all’Iraq, era stata proprio lei a dire alcune cose tra le più indipendenti e intelligenti di tutto il panorama politico internazionale.
Gheddafi appare oggi, dal nostro punto di vista, quello che è: un “uomo di sponda” dell’affarismo berlusconiano, che si spinge perfino all’avventura criptofiloiraniana e alla russofilia strisciante, giustificate sempre dal nostro “interesse nazionale” (che poi sarebbe quello di alcune imprese italiane il cui business ha ben scarsa ricaduta sul benessere del paese). Ma al riguardo sembra davvero discutibile il malumore di chi, exalleato del Cavaliere, mirerebbe ora – fra l’altro – a sostituirlo come uomo di fiducia del governo americano e sentinella fedele dell’atlantismo e della politica d’Israele, e per questo accuserebbe Berlusconi di “filoarabismo”. In palio, c’è l’incipiente rinnovamento della politica europea nei confronti del Mediterraneo, piuttosto velleitariamente avviato mesi fa da Sarkozy e che ha a suo tempo, come si ricorderà, irritato Angela Merkel che se n’è sentita esclusa.
Dinanzi a questi problemi, seri e reali al di là delle mascherate di Gheddafi e dell’istrionismo di Berlusconi, le chiacchiere del colonnello- capocomico sulle escort convertite all’Islam e sulla futura islamizzazione del continente europeo sono serie come le sue uniformi militari e i suoi travestimenti da Ali Babà. Che poi esse comportino rinnovate grida d’allarme contro il “pericolo musulmano” da parte di chi sta preparandosi a raccogliere ulteriori consensi elettorali agitando i soliti spauracchi xenofobi, è un altro discorso. Le mascherate beduine del Colonnello valgono quelle padane di Pontida.
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