Fra 4 giorni gli Stati Uniti voteranno il loro nuovo presidente. La situazione nel paese è particolarmente tesa e carica di aspettative. L’ipotesi di un presidente nero – che viene definita da tutti una “pietra miliare”, se divenisse realtà – può risultare insignificante solo a chi non conosca da vicino la storia degli Stati Uniti.
Barack Obama infatti è decisamente in vantaggio nei sondaggi, ma nessuno osa ancora parlare di una sua eventuale vittoria come di un fatto reale. Il conservatore (specialmente se razzista) non riesce ancora a rassegnarsi, il progressista non osa ancora sperarlo.
Una vittoria di Obama significherebbe – a grandi linee – un ritorno alla politica di Clinton: riduzione dei “favori” alle grandi corporations, e aumento degli incentivi alla middle class, nella convinzione che l’economia funzioni meglio se alimentata dal basso verso l’alto, e non viceversa. Una vittoria di McCain – che ha dovuto letteralmente vendersi alla destra conservatrice, per avere il loro appoggio – significherebbe invece un proseguimento dello status quo, con la forbice sociale che continua ad allargarsi, fino a rischiare la rottura. In politica estera, sempre a grandi linee, vedremmo la fine dell’unilateralismo e un ritorno alla diplomazia anteposta all’uso dell’esercito, e non viceversa.
A destra si continua a ripetere che i sondaggi sono fasulli, e che più di una volta nella storia il risultato finale li ha completamente smentiti. A sinistra cresce la paura di un’altra frode elettorale, …
… come quelle del 2000 in Florida e del 2004 in Ohio, o comunque di una pesante invalidazione dei voti democratici.
Proprio oggi sono stati denunciati casi in cui degli strani personaggi vanno in giro a raccontare ai meno informati che “se avete già votato per Obama nelle primarie, non è più necessario votare per lui alle presidenziali”.
A parte i veri e propri trucchi elettronici, i mezzi sleali con i quali repubblicani decimarono la sostanziale maggioranza del voto democratico in Florida sono noti ormai a tutti, e nonostante vi sia una accresciuta attenzione rispetto a questo pericolo, la paura della “fregatura”, per gente abituata da secoli a subire le ingiustizie dei potenti, non permette a nessuno di esultare prima del tempo.
In realtà, Barack Obama ha già ottenuto un risultato clamoroso, mettendo sul terreno la più imponente organizzazione elettorale mai conosciuta nella storia americana. Migliaia e migliaia di volontari in ogni stato battono il territorio incessantemente, bussano ad ogni porta, e cercano di assicurarsi che nessun voto democratico venga a mancare.
Inoltre, nei 32 stati che permettono di votare anticipatamente, si sono già registrate delle code lunghissime, costituite soprattutto da elettori democratici, che non vogliono trovarsi di fronte ad un problema inaspettato il giorno stesso delle elezioni.
La seconda cosa importante ottenuta da Obama è stato un profondo cambiamento nella “mappa elettorale” del paese. Con centinaia di milioni di dollari a disposizione, Obama ha portato – per la prima volta nella storia – la sua campagna in tutti i 52 stati dell’Unione, arrivando così ad erodere il vantaggio di McCain in numerose roccaforti repubblicane.
Questo ha creato una situazione inaspettata per McCain, che si è ritrovato a dover difendere stati che già considerava vinti – come il Colorado, il Nevada, la Virginia, la North Carolina – e non ha quindi potuto concentrarsi per cercare di erodere il vantaggio di Obama nei cosiddetti stati “azzurri“.
Di certo Obama è un grande stratega, ed ha pianificato la sua campagna elettorale sin dal 2006 – anno in cui decise di candidarsi – mentre McCain è partito in netto ritardo, e oggi ne sta pagando le conseguenze.
E’ anche vero che la poderosa macchina elettorale messa in piedi dalla squadra di Obama trae la propria energia dall’entusiasmo di una marea di giovani che voteranno per la prima volta, e quasi tutti a favore di Obama. Quest’anno le elezioni hanno registrato un aumento degli iscritti a votare di oltre nove milioni di persone. Sono in grande maggioranza a favore di Obama, e saranno probabilmente loro a fare la difefrenza.
In casa repubblicana c’è aria di disfatta, e nonostante McCain continui a ripetere che “i margini di svantaggio si stanno assottigliando“, la matematica sembra ormai condannarlo: se anche McCain riuscisse a vincere tutti gli otto stati che ancora sono in ballottaggio (tutti stati originariamente repubblicani), senza la vittoria in Pennsylvania non riuscirebbe comunque a raccogliere un numero sufficiente di delegati per conquistare la presidenza. Ma in Pennsylvania Barack Obama è avanti di circa 12 punti rispetto al rivale repubblicano.
Come già detto, tutto può ancora succedere, ma una cosa la si può già dare per certa: se per caso Obama dovesse perdere, in America scoppierà una vera e propria rivoluzione. È anche quindi sensibile pensare che solo per evitare questo, la voglia nei repubblicani di tentare trucchi troppo smaccati sia molto minore di quella che dimostrarono nel 2000 e nel 2004.
Nel frattempo, attendiamo fiduciosi il solito “messaggio elettorale“ di Osama bin Laden, che dall’Aldilà ricorderà a tutti che bisogna avere sempre una grande paura di lui.
Massimo Mazzucco