DI FLYNT LEVERETT E HILLARY MANN LEVERETT
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Quando il Presidente Mahmoud Ahmadinejad si è recato in Libano la settimana scorsa, attirando una folla enorme e quella che sembra essere una risposta pubblica straordinariamente positiva, molti analisti occidentali hanno liquidato il viaggio come una sorta di stratagemma politico, volto a distrarre l’attenzione dalla reputazione presumibilmente impopolare di Ahmadinejad in patria. Ma dopo essere tornato dal Libano, Ahmadinejad si è recato ad Ardabil, una delle tre provincie di maggioranza Azera. Uno dei nostri lettori ci ha inviato un link con le foto della folla che ha accolto Ahmadinejad nella capitale della provincia (chiamata anch’essa Ardabil), che abbiamo apprezzato molto.
Il fatto che Ahmadinejad possa ottenere questo tipo di risposta popolare è particolarmente degno di nota. Stando ai risultati ufficiali delle elezioni presidenziali della Repubblica Islamica del 12 giugno 2009, Ahmadinejad ha ottenuto una maggioranza dei voti in due delle provincie iraniane a maggioranza Azera, Ardabil e Azerbaijan Orientale. Il suo principale avversario alle elezioni, Mir-Hossein Mousavi, ha ottenuto la maggioranza dei voti nella terza, l’Azerbaijan Occidentale. Molti critici occidentali hanno considerato questi risultati come una chiara prova di frode.
Come ha fatto Ahmadinejad ad aver vinto in due delle tre province a maggioranza Azera contro Mousavi, che è etnicamente Azero? Tra le più assurde osservazioni che Karim Sadjadpour ha fatto sulla politica iraniana durante gli ultimi diciotto mesi c’è anche la sua considerazione che ciò fosse plausibile tanto quanto il fatto che McCain potesse ottenere la maggioranza dei voti Afro-Americani nella sua campagna presidenziale del 2008 contro Barack Obama.

 

Eppure questi analisti “fact-free” (“che non si attengono ai fatti” ndt) ignorano la lunga vicenda personale di Ahmadinejad nelle province iraniane a maggioranza Azera. Agli inizi della sua carriera Ahmadinejad è stato un ufficiale provinciale nell’Azerbaijan Occidentale ed ha prestato servizio come governatore di Ardabil durante il periodo 1993-1997. Al secondo round delle elezioni presidenziali della Repubblica Islamica del 2005, una corsa disputata tra Ahmadinejad e l’ex-Presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, il primo ebbe una sostanziale maggioranza di voti nelle tre province con prevalenza Azera. Nel 2009, il margine di vittoria di Ahmadinejad in Ardabil e Azerbaijan Orientale era minore di quello del 2005, e perse di poco il voto popolare nell’Azerbaijan Occidentale (la percentuale dei voti ad Ahmadinejad in questa regione era all’incirca del 47 percento). Pertanto i risultati ufficiali indicano che Mousavi ottenne una percentuale di voti maggiore nelle aree a maggioranza Azeri (ed anche in Baluchistan) rispetto a quella che ottenne in tutto il paese. Ma i risultati indicano anche che Ahmadinejad mantenne un significativo livello di sostegno popolare nelle aree a maggioranza Azere. L’accoglienza ricevuta ad Ardabil qualche giorno fa sembra confermare questi dati. Nel sostenere che Ahmadinejad abbia un notevole sostegno popolare, non si vuole insinuare che egli non trovi un’opposizione. Consideriamo Ahmadinejad, nel suo contesto politico, come un leader politico eccezionalmente efficace. Ma è anche una figura profondamente polarizzante. Quella parte del corpo politico iraniano avverso ad Ahmadinejad sembra davvero provare avversione per lui. E, certamente, la grande maggioranza di quelli che potrebbero essere annoverati tra gli avversari politici di Ahmadinejad, non hanno alcun interesse a minare la fondamentale integrità e stabilità della Repubblica Islamica.
Purtroppo, il reportage/cronaca dei media occidentali sulla politica iraniana sembra, per la maggior parte, incapace di prendere in considerazione input provenienti da fonti diverse dalla parte nord di Teheran e dai supporter espatriati del Green Movement. Come parte del nostro lavoro su www.RaceForlran.com negli anni passati, abbiamo cercato di mettere in evidenza casi in cui gli sfoghi di media occidentali di rilievo sembravano aver abbandonato gli standard normali di rigore giornalistico e persino di integrità nei loro reportage sulle questioni iraniane. Per esempio, abbiamo criticato diverse storie di Nazila Fathi del New York Times in queste righe (vedi qui e qui). Nella nostra critica, abbiamo individuato casi specifici in cui la Fathi ha cercato di far passare affermazioni infondate come reali rivendicazioni. In altri casi, la Fathi ha utilizzato come fonte di rivendicazioni apparentemente reali solo l’opposizione o siti web anti-islamici, senza tuttavia citare in tal modo queste fonti. In un episodio abbiamo anche rilevato che un link della Fathi ad un particolare sito web non legittimava l’affermazione per cui lo stava usando come fonte. E, con una mancanza considerevole, la Fathi non si è preoccupata di informare i suoi lettori che il “gruppo ribelle Curdo” al quale appartenevano cinque attivisti curdi giustiziati in Iran – il PJAK – era stato designato dall’Amministrazione Obama in maniera formale come un’organizzazione terroristica. (I cinque attivisti curdi vennero giustiziati dopo essere stati giudicati colpevoli di capi d’imputazione derivanti dalla loro presunta partecipazione ad attacchi terroristici mortali in Iran.) Dopo aver scritto di queste quotidiane mancanze di professionalità giornalistica, abbiamo notato più di uno sforzo di rendere la fonte di alcuni punti particolari delle storie della Fathi in modo più credibile, o perlomeno più trasparente. In seguito abbiamo constatato che il New York Times non stava più pubblicando i suoi “resoconti” sull’Iran dalla sua postazione di Toronto, ed abbiamo pensato che ciò potesse rappresentare passo autentico verso la responsabilità. Ed invece la Fathi era stata premiata per il suo lavoro con l’opportunità di trascorrere l’anno accademico 2010-2011 all’Università di Harvard come Nieman Fellow.
Tuttavia il problema va ben oltre una giornalista di un quotidiano. E’ quanto è stato detto per noi in un articolo di questa settimana di Scott Peterson del Christian Science Monitor. La trattazione di Scott Peterson della politica iraniana nell’ultimo anno e mezzo ha sistematicamente mostrato mancanze nell’adesione ai normali standard di professionalità giornalistica molto simili a quelle osservate nel lavoro della. Fathi, ispirato anch’egli da un punto di vista altrettanto “pro-Green”. Proprio la settimana scorsa, Peterson ha espresso la sua opinione sul viaggio di Ahmadinejad in Libano, dal titolo “Ahmadinejad Visit to Lebanon Brings Little Rapture Back Home” (“La visita di Ahmadinejad in Libano porta un po’ di estasi in patria” ndt). Nel suo articolo di questa settimana sulla visita del Leader Supremo della Repubblica Islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei a Qom, Peterson ha sorvolato sulla folla che è accorsa a sostegno di Khamenei (per il video della partecipazione di massa in Qom per Khamenei, vedi sotto) ed ha invece posto l’attenzione sull’affermazione infondata che “gli anziani ecclesiastici dell’Iran erano divisi sul voto presidenziale del 12 giugno 2009, quando Mahmoud Ahmadinejad era stato consacrato presidente al suo secondo mandato tra credibili accuse di frode”.

Forse dovremmo considerarlo come una sorta di progresso – ed eventualmente anche come un indicatore marginale del nostro influsso – il fatto che adesso Peterson affermi che le elezioni del giugno 2009 sono state fraudolente in quanto ci sono state credibili accuse di frode. Tuttavia Peterson non offre la benché minima prova a sostegno delle sue affermazioni. Quali sono queste accuse di frode? Chi le ha mosse? E cosa esattamente le rende credibili?
Per quelli a cui interessano valutazioni oggettive delle prove a disposizione, non c’è miglior posto in cui cercarle che in due pagine redatte da alcuni lettori abituali di www. RaceForIran.com: Eric Brill (qui); Reza Esfandiari e Yousef Bozorgmehr (qui). A meno che non si voglia confutare le analisi presentate in queste due pagine, allora non esistono “credibili accuse di frode” che riguardino le elezioni presidenziali del giugno 2009. Ci sono soltanto affermazioni guidate dall’ordine del giorno.
Purtroppo il “giornalismo” guidato dall’ordine del giorno continua a distorcere la discussione sulle questioni iraniane negli Stati Uniti e negli altri paesi occidentali, aiutando a perpetuare le politiche anomale nei confronti della Repubblica Islamica che sarebbero dovute essere screditate ed abbandonate molto tempo fa.

Flynt Leverett dirige l’Iran Project alla New America Foundation, dove è anche Senior Research Fellow. Inoltre, insegna alla School of International Affairs della Pennsylvania State University. Hillary Mann Leverett è direttore generale del Strategic Energy and Global Analysis (STRATEGA), una società di consulenza sul rischio politico. E’ anche Senior Lecturer e Senior Research Fellow al Jackson Institute of Global Affairs dell’Università di Yale. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su The Race For Iran il 20 ottobre 2010 con una Creative Common license.
Titolo originale: "The Iran That the Western Media Don’t Want You to See"
Fonte: http://mrzine.monthlyreview.org
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DANILO BERNABEI