DI WILLIAM BLUM
Killing Hope
La campagna presidenziale repubblicana ha cercato di dare grande importanza al fatto che Barack in un certo periodo ha frequentato Bill Ayers, negli anni ’60 un membro dei Weathermen, impegnati in attentati dinamitardi politici. Il governatore Palin ha accusato Obama di “fare amicizia con dei terroristi”, anche se il legame di Ayers con i Weathermen durante il periodo di loro attentati negli USA contro la guerra del Vietnam ebbe luogo quando Obama aveva circa 8 anni. Confrontate con chi frequentava il presidente Ronald Reagan, così amato dai candidati repubblicani. Gulbuddin Hekmatyar era un signore della guerra afgano i cui seguaci cominciarono ad attirare l’attenzione su si sé gettando acido sui volti delle donne che si rifiutavano di indossare il velo. È così che passavano il tempo quando non gridavano “Morte all’America”. I funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato chiamavano Hekmatyar “spaventoso”, “cattivo”, “un fascista”, “nettamente roba da dittatura”.[1] Nulla di questo impedì all’amministrazione Reagan di invitarlo alla Casa Bianca per incontrare il presidente, e di far piovere su di lui grandi quantità di aiuti per combattere contro il governo afgano appoggiato dai sovietici.
Nel 1988 durante la sua prima campagna presidenziale il successore di Reagan, George H.W. Bush, fece amicizia con personaggi quasi altrettanto sgradevoli. Lo staff della sua campagna comprendeva numerosi veri e propri filonazisti e antisemiti provenienti dall’Europa centrale e orientale. Diversi di questi grand’uomini erano capi del braccio rapporti con i gruppi etnici della campagna repubblicana, la Coalition of American Nationalities, malgrado il fatto che il loro passato movimentato non fosse un gran segreto. Uno di loro, Laszlo Pasztor (o Pastor) durante la seconda guerra mondiale aveva lavorato nell’ambasciata del governo filonazista ungherese a Berlino. Questo era stato rivelato nel 1971 in un articolo sulla prima pagina del Washington Post.[2] Quando questo passato venne riportato alla luce nel settembre 1988 i repubblicani furono obbligati a scaricare Pasztor e altri quattro della sua risma dalla campagna di Bush.[3]
E con chi ha fatto amicizia John McCain? Chi è stato co-presidente della campagna di McCain nello stato di New York e consigliere di politica estera dello stesso McCain? Nientemeno che l’illustre criminale di guerra e omicida di massa mai incriminato Henry Kissinger, che quando viaggia in Europa deve stare molto attento perché in diversi paesi ci sono persone serie e impegnate che cercheranno nuovamente di farlo arrestare per i crimini contro l’umanità di cui è responsabile… Cile… Angola… Timor Est… Vietnam… Laos… Cambogia…
Al contrario non c’è prova che Bill Ayers sia stato coinvolto in alcun attentato dei Weathermen che abbia fatto vittime; né ho visto alcuna prova che nella rarissima occasione in cui un attentato negli Stati Uniti contro la guerra del Vietnam ha causato una vittima questo possa essere attribuito ai Weathermen.
I bombardamenti di John McCain hanno certamente ucciso – una venticinquina di attacchi aerei sui vietnamiti, gente che non aveva fatto del male a lui o al suo paese né lo aveva minacciato. Che etichetta diamo ad azioni del genere, a un uomo del genere? Al suo livello di violenza corrisponde il suo livello di ipocrisia. Parlando di Ayers McCain ha chiesto: “Come puoi tollerare qualcuno che è stato impegnato in attentati che potrebbero avere ucciso o uccisero degli innocenti?”[4]
Nelle sue memorie del 2001, “Fugitive Days,” Ayers scrive: “Non rimpiango di aver piazzato delle bombe. Penso che non abbiamo fatto abbastanza.” Questo è qualcosa che pochissimi americani riescono ad accettare, e neanche proverò a convincerli. Ma personalmente non biasimai i Weathermen allora, e non li biasimo adesso. La guerra del Vietnam era nel suo ottavo anno di barbarie. Io e il resto dell’esercito degli inermi avevamo bisogno che venisse segnato qualche punto contro i signori dello stato aziendale di sicurezza nazionale. Un attentato, con un opportuno bersaglio di criminali di guerra – come il Dipartimento di Stato o il Pentagono – e badando a prevenire che vi fossero vittime, diceva ai bastardi che c’eravamo ancora, che la loro impunità non era totale, che è così che ci si sente a essere bombardati. Propaganda armata. Diceva al pubblico che stava succedendo qualcosa di più serio di una differenza di opinioni a livello municipale che poteva essere ragionevolmente risolta da gente ragionevole che discuteva in un modo ragionevole. E come un bambino insoddisfatto che si arrabbia, avevamo bisogno di qualche gratificazione istantanea. Stavamo lottando contro la forza più potente del mondo.
I Weathermen erano dalla parte giusta di quella guerra. John McCain dalla parte sbagliata.
E con chi ha fatto amicizia Sarah Palin? John McCain, e l’Alaska Independence Party, un partito secessionista di cui suo marito ha fatto parte per sette anni. “Il mio governo è il mio peggior nemico. Lo combatterò con tutti i mezzi disponibili” ha dichiarato una volta Joe Vogler, che ha fondato il partito. Alcuni mesi fa il governatore Palin ha gridato ad alcuni membri del partito: “Continuate il vostro buon lavoro. E Dio vi benedica.”[5]
Credo che la secessione di uno stato dall’unione sia qualcosa che le autorità costituite disapprovino, e se la memoria mi assiste, l’ultima volta che fu tentata seriamente il governo scese effettivamente in guerra. Chi si credono di essere questi alaskani, i gangster del Kosovo la cui secessione dalla Serbia è stata immediatamente riconosciuta da Washington?
Questa è appena arrivata: John McCain (sì, lo stesso), come membro del Congresso, nel 1985 incontrò in Cile il generale Augusto Pinochet, uno dei più notori violatori dei diritti umani del mondo, a cui è attribuita l’uccisione di oltre 3.000 civili, l’incarceramento di decine di migliaia di altri, e la tortura di moltissimi di loro. McCain si incontrò con Pinochet apparentemente senza precondizioni, la cosa per cui ha ripetutamente criticato Obama perché questo ha detto che lo farebbe con certi leader stranieri attuali che a McCain non piacciono. All’epoca dell’incontro il ministero della giustizia americano stava richiedendo l’estradizione di due stretti collaboratori di Pinochet per un atto di terrorismo a Washington, DC – l’assassinio con un’auto bomba nel 1976 dell’ex ambasciatore cileno negli USA, Orlando Letelier, un eminente critico di Pinochet, e della sua assistente americana. McCain non fece dichiarazioni pubbliche o critiche private della dittatura, né si incontrò con membri dell’opposizione democratica in Cile. Il senatore Edward Kennedy arrivò solo 12 giorni dopo McCain in una pubblica ostentazione di appoggio alla democrazia, incontrandosi con leader della chiesa cattolica e di difensori dei diritti umani e con grossi gruppi di attivisti dell’opposizione.[6]
I John McCain americani, nel Congresso e fuori, preferirebbero di gran lunga fare amicizia con Augusto Pinochet che con Hugo Chavez o Fidel Castro o Bill Ayers.
Il trionfalismo borghese che ha accompagnato il funerale dell’URSS
L’avidità adesso è un tema caldo. I broker e altri coinvolti nell’attuale crisi finanziaria vengono rabbiosamente accusati di essere avidi. La rivista Time ha dichiarato che i guai attuali della nazione sono stati “il prezzo dell’avidità”. “Date la colpa all’avidità”, echeggiava il Chicago Tribune. Ma queste pubblicazioni dell’establishment non possono essere prese troppo sul serio. Come altri credenti nel sistema, sono convinte che l’avidità sia una caratteristica intrinseca, apprezzabile e necessaria del capitalismo e dell’uomo capitalista, che sia indispensabile per motivare gli imprenditori, e che produca ogni sorta di innovazione e invenzione. Durante gli anni della guerra fredda questo era un elemento chiave delle interminabili discussioni fra difensori della libera impresa e difensori del socialismo; le discussioni continuano ancora, anche se la maggior parte della gente ora pensa che la storia abbia risposto alla questione – il capitalismo ha vinto. “La fine della storia”, la chiamò nel 1992 l’eminente conservatore Francis Fukuyama nel suo libro che trovò una favorevole accoglienza. Affermava che non potevamo aspettarci di trovare un modo migliore per organizzare la società del matrimonio fra la democrazia liberale e il capitalismo di mercato. Successivi movimenti mondiali come l’antiglobalizzazione e l’Islam politico hanno fatto avere dei ripensamenti a Fukuyama sull’effettiva fine della storia. (Ha anche finito per rinnegare la guerra in Iraq che aveva inizialmente abbracciato in base al presupposto che avrebbe portato al popolo iracheno ignorante le gioie della democrazia liberale e del capitalismo di mercato.)
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 i ragazzi del Capitale hanno ridacchiato sui loro Martini per la morte del socialismo. Fino a poco tempo fa la parola era stata bandita dalla conversazione educata (ottenendo ora nuova notorietà come termine di insulto politico). E nessuno sembra notare che ogni esperimento socialista di qualche significato nel ventesimo secolo è stato bombardato, invaso, o rovesciato; corrotto, pervertito, o destabilizzato; o in altro modo gli è stata resa la vita impossibile dagli Stati Uniti. A nessun governo o movimento socialista – dalla rivoluzione russa ai comunisti vietnamiti ai sandinisti in Nicaragua, dalla Cina comunista a Salvador Allende in Cile all’FMLN nel Salvador – a nessuno è stato permesso di ascendere o cadere solo in base ai propri meriti; nessuno è stato lasciato abbastanza sicuro da abbassare la guardia contro l’onnipotente nemico straniero e allentare liberamente e pienamente il controllo in patria. Oggi si continua con i tentativi di Washington di sovvertire i governi venezuelano e boliviano, e, naturalmente, ancora, per sempre, Cuba.
Immaginate che i primi esperimenti con macchine volanti dei fratelli Wright fossero tutti falliti perché gli interessi automobilistici avessero sabotato ogni volo di prova. E poi, grazie alla propaganda delle case automobilistiche, la brava gente del mondo timorata di Dio guardasse a questo, osservasse le conseguenze, facesse saggiamente di sì con le loro teste collettive, e intonasse solennemente: l’uomo non volerà mai.
È ampiamente dato per scontato che la fine dell’Unione Sovietica sia risultata da enormi difetti intrinseci nel suo sistema socialista, che l’economia sia in qualche modo implosa per le sue contraddizioni intrinseche. Ma tutti i difetti e le contraddizioni che si sarebbero potute trovare nel sistema sovietico nel 1990 si sarebbero potute trovare anche nel 1980, o nel 1970, o nel 1960. A differenza del capitalismo, la cui instabilità è leggendaria, come i titoli di ogni giorni ci ricordano di nuovo, il sistema sovietico con la sua proprietà statale dei mezzi di produzione e la sua economia pianificata, quali che fossero i suoi altri difetti, restava relativamente stabile e uniforme. Così la domanda è: cos’è accaduto alla fine degli anni ’80 nel sistema sovietico per causarne il disfacimento? Credo che la migliore risposta alla domanda stia nella persona del presidente sovietico Michail Gorbačëv, che salì al potere nel 1985.
L’ambizione ardente e di lunga data di Gorbačëv era trasformare l’Unione Sovietica sul modello di una socialdemocrazia europeo-occidentale e far accettare il paese come tale dagli europei. Questa è la ragione principale per cui pose termine al coinvolgimento militare sovietico in Afghanistan; e per cui istituì i suoi storici cambiamenti economici e politici in patria (con le loro conseguenze non volute), e abbandonò il controllo dell’Europa orientale senza ricorrere alla forza militare. La guerra in Afghanistan certamente ebbe i suoi effetti, finanziariamente e psicologicamente, sul popolo sovietico, ed è comunemente citata come una delle maggiori cause della disgregazione della nazione. Ma lo stesso anche di più si può dire sull’effetto delle guerre in Afghanistan e Iraq sugli americani, milioni dei quali hanno marciato contro le guerre, eppure nulla di questo ha portato a un ritiro americano da uno di questi posti; non ci si è neanche avvicinati. Le superpotenze non andrebbero confuse con le democrazie.
La filosofia sociale di Ayn Rand: lasciate che i forti prevalgano, lasciate che i deboli paghino per la loro debolezza
“Ho fatto un errore presumendo che l’interesse egoistico di organizzazioni, specificamente banche e altri, fossero tali da essere in grado di proteggere nel modo migliore i propri azionisti e le loro quote nelle aziende. […] Così il problema qui è [che] qualcosa che sembrava essere un edificio molto solido e, anzi, un pilastro critico per la concorrenza di mercato e i liberi mercati, è crollato. E penso che, come ho detto, questo mi abbia scioccato.”
Una notevole ammissione da parte di Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve, a lungo avversario della regolamentazione statale del mondo aziendale, e amico e seguace devoto di Ayn Rand, guru dell’egoismo che trasformò l’emulazione dei bimbi di due anni in una filosofia di vita. “Ho scoperto un difetto”, ha detto Greenspan, riferendosi alla sua filosofia economica. “Non so quanto sia significativo o permanente. Ma sono stato assai turbato da questo fatto.”[7]
Greenspan è stato indotto a queste ammissioni da dure domande di membri del Congresso in un’audizione convocata in ottobre per trattare della crisi finanziaria. C’è stato un momento in cui un Congresso e dei media che in gran parte non facevano domande e non mettevano in discussione niente guardavano a Greenspan come a un guru, per quanto dubbi e oscuri fossero le sue asserzioni. A volte lo si sarebbe potuto prendere per Chauncey Gardener, il personaggio principale del libro e del film “Oltre il giardino”. Gardener, impersonato da Peter Sellers, è un uomo semplice con comportamenti e pensieri molto semplici, che si potrebbe considerare quasi un ritardato, ma circostanze fortuite e la deferenza nei suoi confronti di chi ha intelletto e/o coraggio insufficienti fanno sì che gente nelle alte sfere lo creda brillante.
C’è stata una notevole eccezione a questo trattamento con i guanti riservato a Greenspan. Nel luglio 2003 il Rappresentante Bernie Sanders del Vermont fronteggiò il presidente della Fed in un’audizione al Congresso e disse:
“Signor Greenspan, da molto tempo sono preoccupato perché lei non è affatto in contatto con le necessità delle famiglie dei lavoratori e delle classi medie del nostro paese, perché vede come funzione più importante nella sua posizione la necessità di rappresentare le aziende grandi e ricche […] Penso che lei proprio non sappia cosa succede nel mondo reale. […] Lei parla di un’economia che migliora, mentre negli ultimi due anni abbiamo perso 3 milioni di posti di lavoro nel settore privato. La disoccupazione a lungo termine è più che triplicata. […] Abbiamo un debito nazionale di 4.000 miliardi di dollari. 1,4 milioni di americani hanno perso la propria assicurazione sanitaria. Milioni di anziani non possono permettersi le medicine. Le famiglie della classe media non riescono a mandare al college i loro ragazzi perché non hanno i soldi per farlo.”
“Rappresentante”, rispose Greenspan, “noi abbiamo gli standard di vita più alti del mondo.”
“No, non li abbiamo”, insistette Sanders. “Vada in Scandinavia, e scoprirà che la gente ha uno standard di vita molto più alto, in termini di educazione, cure sanitarie e lavori pagati decentemente. Sbagliato, signore. ”
Non abituato a dover difendere le sue astrusità, Greenspan non poté fare di meglio che controbattere con: “Abbiamo gli standard di vita più alti per un paese delle nostre dimensioni.”[8]
Questo era un bel passo indietro rispetto a “del mondo”, e nella misura in cui gli unici paesi con popolazione uguale o maggiore sono Cina e India, con l’Indonesia al quarto posto, l’argomento di Greenspan è piuttosto difficile da valutare.
Quella che gli Stati Uniti hanno lo standard di vita più alto del mondo è una cosa in cui numerosi adulti in America credono davvero, e la maggior parte di loro crede che questo standard di vita più alto si applica a tutti i livelli. Sono consapevoli solo in misura minima del fatto che mentre hanno fatto sacrifici estremamente dolorosi per mandare un figlio all’università, e spesso semplicemente non riescono a trovare abbastanza soldi, e anche se ci riescono il loro figlio per anni dopo sarà indebitato in misura pesantissima, in buona parte dell’Europa occidentale l’educazione universitaria è o gratuita o estremamente accessibile; come lo è a Cuba e lo era in Iraq sotto Saddam Hussein.
La stessa mancanza di consapevolezza delle condizioni di vita superiori in altri paesi si estende alla sanità, agli orari di lavoro, alle ferie, ai congedi di maternità, agli asili nido, all’assicurazione contro la disoccupazione e a un esercito di altri benefit economici e sociali.
In breve, fra le nazioni sviluppate, gli Stati Uniti sono il posto peggiore in cui essere un lavoratore, ammalarsi, perseguire un’educazione universitaria, essere un genitore; oppure, nella terra dei due milioni di carcerati, esercitare determinati diritti o essere un imputato in tribunale.
Al che i Chauncey Gardener americani, compreso quello che stava alla Federal Reserve e quello che attualmente sta all’Ufficio Ovale, direbbero: “Ah! Ecchevvoidì?”
I Rosenberg come eroi
John Gerassi, professore di scienza della politica al Queens College di New York, ha scritto di recente una lettera al New York Times:
Al direttore: NYT
Nel suo “A Spy Confesses” (Week in Review 9/21), Sam Roberts afferma che quelli “ferocemente leali all’estrema sinistra, credevano che i Rosenberg non fossero colpevoli […]” Io sono e sono sempre stato, da quando ho lavorato come corrispondente e redattore in America latina per Time e Newsweek, uno di “estrema sinistra”, e non ho mai affermato che i Rosenberg non erano colpevoli. Né lo ha fatto qualcuno dei miei amici di “estrema sinistra”. Quello che abbiamo sempre detto, e che ripeto ai miei studenti ogni semestre, è che “se erano colpevoli, allora sono grandi eroi di questo pianeta”. La mia spiegazione è abbastanza semplice: gli USA avevano una politica di first-strike, l’URSS no (fino a Gorbačëv). Nel 1952 i militari americani, e vari servizi di intelligence, calcolarono che un first strike su tutti i silos sovietici avrebbe spazzato via tutti i missili atomici russi meno il 6% (e, sappiamo adesso, avrebbero creato radiazioni sufficienti a ucciderci tutti). Ma quel sei per cento sarebbe stato automaticamente lanciato contro le città americane. I militari allora calcolarono cosa sarebbe successo se uno avesse colpito in pieno Denver (perché scelsero Denver e non New York o Washington non fu mai spiegato). Cosa scoprirono: 200.000 sarebbero morti immediatamente, due milioni entro un mese. Conclusero che non ne valeva la pena. In altre parole, dico ai miei studenti, voi siete nati e io sono vivo perché l’URSS aveva un deterrente contro il nostro attacco “preventivo”, non il contrario. E se è vero che i Rosenberg aiutarono i sovietici ad avere quel deterrente, finiscono fra i salvatori del pianeta.
– John Gerassi (tgerassi@hotmail.com)
[Non sarà una grande sorpresa sapere che il New York Times non ha permesso che pensieri del genere apparissero sulle sue elevate pagine.]
http://killinghope.org/bblum6/aer62.htm. Tutti i precedenti report possono essere trovati a www.killinghope.org
Note
1. Tim Weiner, “Blank Check: The Pentagon’s Black Budget” (1990), pp. 149-50.
2. Washington Post, 21 novembre 1971.
3. Los Angeles Times, 13 settembre 1988, p. 19. Per un’ulteriore discussione su questo punto, cfr. Russ Bellant, “Old Nazis and the New Right: The Republican Party and Fascists”, Covert Action Information Bulletin (Washington, DC), #33, Winter 1990, pp .27-31.
4. New York Times, 3 ottobre 2008.
5. David Talbot, Salon.com, 7 ottobre 2008.
6. John Dinges, The Huffington Post, 24 ottobre 2008, basato su un telegramma desecretato dell’ambasciata USA.
7. Washington Post, 23 ottobre 2008.
8. House Financial Services Committee, 15 luglio 2003; http://commdocs.house.gov/committees/bank/hba91775.000/hba91775_0f.htm.
Titolo originale: “Don’t tell my mother I work at the White House. She thinks I play the piano in a whore house.”
Fonte: http://www.killinghope.org
(The Anti-Empire Report 63)
Link
Fonte edizione italiana: www.comedonchisciotte.org
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUCA TOMBOLESI