DI
GIULIETTO CHIESA
megachip.info
Se esistiamo è perché il livello di radioattività alla superficie della terra è compatibile con noi. Per meglio dire noi , esseri umani e esseri viventi in generale, siamo nati compatibili con un determinato livello radioattivo. Il fatto è che noi umani abbiamo esteso la tavola di Mendeleev, aggiungendo altri elementi, tutti variamente radioattivi. Poi abbiamo fatto anche di peggio, creando centinaia di sostanze che in natura non esistono, molecole che la natura non riconosce. Come tali queste sostanze, che continuiamo a immettere nella natura, non possono essere riciclate, perché la natura ricicla se stessa e non prevede le nostre follie.
Dunque resteranno per sempre, fino a che soffocheranno l’ecosistema.
Se non si tiene presente questi “dettagli” la discussione sul nucleare non ha molto senso e rischia di avere poca efficacia, o di ridursi a una questione di economia, o di energia. Non è così.
Coloro che continuano a sostenere il nucleare, nonostante Fukushima, non provano paura. Noi, invece, dobbiamo in certo qual senso alzare il livello di paura. Lo affermo con decisione, pur sapendo che la paura è un sentimento, una emozione, e in genere non aiuta a prendere decisioni razionali. Cercherò tuttavia di dare un contributo all’innalzamento della paura perché temo che sia l’unico modo per aumentare le possibilità di sopravvivenza.
Il 12-13 giugno, per esempio, in Italia si dovrebbe votare un referendum per abrogare la legge che sintetizza il programma nucleare del governo Berlusconi: un programma che prevede la costruzione di alcune centrali nucleari sul territorio italiano.
Ho messo il condizionale “si dovrebbe”, perchè al momento in cui scrivo queste righe il governo, temendo di perdere il referendum – che cancellerebbe ogni programma nucleare italiano per i prossimi decenni, cioè per sempre – ha cominciato una ritirata tattica che potrebbe (ma non è sicuro) far cancellare lo stesso referendum con una decisione della Corte di Cassazione. In realtà questa manovra del governo non significa affatto una rinuncia al nucleare. Lo dicono gli stessi ministri: noi restiamo di quell’idea, ma, alla luce degli eventi di Fukushima, riteniamo sia necessaria una “pausa di riflessione”. Già questo dice il livello di irresponsabilità con cui si prendono decisioni di portata epocale. Se c’era bisogno di una “pausa di riflessione”, ciò significa che avete preso una decisione senza avere riflettuto abbastanza. Ma queste sono questioni italiane, di un paese allo sbando. Il loro piano è di lasciar passare l’emozione, e poi, quando essa si sarà smorzata, con il tempo, tornare alla carica con un nuovo progetto nucleare appena appena modificato per non dare nell’occhio.
C’è di peggio in realtà. Il governo ritira il nucleare perché teme che questo argomento, da solo, potrebbe trascinare al voto gli italiani anche sugli altri tre referendum che pendono suo capo. Due di essi sono contro la privatizzazione dell’acqua, il quarto – per Berlusconi esiziale – concerne l’abrogazione del cosiddetto “legittimo impedimento”, cioè la possibilità attuale del premier di sottrarsi al giudizio dei tribunali che lo stanno giudicando in ben quattro processi penali. Ovvio che l’opinione della grande maggioranza della popolazione è ostile al nucleare italiano, come lo era nel 1986, subito dopo Chernobyl. Molto di più dopo Fukushima. Da qui la manovra di ritirata tattica dal nucleare. E queste, di nuovo, sono questioni italiane, di un paese che è stato occupato con la frode da un esercito di lanzichenecchi, che hanno a cuore solo il potere e il portafoglio, entrambi propri. In realtà tutti e quattro i referendum, in particolare, oltre al nucleare, anche il pronunciamento popolare contro la privatizzazione dell’acqua, sono tutti diritti del popolo italiano. Tentare di cancellarli è un vero e proprio attentato alla democrazia. E io sono certo che questo moltiplicherà le energie di milioni di attivisti e di cittadini per difendere appunto la democrazia.
La paura del nucleare, dunque, già esiste in Italia. Ma bisogna – come ho detto – estenderla a tutta l’Europa e al mondo intero. Un referendum in cui 50 milioni di italiani, cioè di europei, rifiutano per sempre l’energia prodotta dalle centrali nucleari, sarebbe un segnale – politico e culturale – europeo e mondiale. Dunque bisogna insistere segnalando i pericoli con tutta la forza di cui disponiamo.
Puntando sul primo elemento che ormai emerge con assoluta evidenza: non esistono centrali atomiche sicure. Le tredici centrali atomiche costruite sulle coste giapponesi dell’Oceano Pacifico erano state progettate per resistere a terremoti fino al 7° grado della scala Richter e a corrispondenti tsunami. Si è registrato invece un terremoto del 9° grado. E almeno cinque di queste centrali sono andate in tilt. Delle altre poco si sa al momento. L’unica cosa certa è che l’informazione che il mondo ha ricevuto è microscopica, mentre la catastrofe è stata immensa e le conseguenze produrranno, con alta probabilità, centinaia di migliaia di morti per irradiazione.
Solo che noi non vedremo le cifre di questa immane ecatombe, perché queste morti saranno diluite nel tempo e si cercherà comunque di nascondercele.
Adesso ci dicono, in Italia e altrove, che si tratterà di progettare meglio, di aumentare i “livelli di sicurezza”, di moltiplicarli. Ma la domanda che rimane aperta – una delle cento domande insormontabili – è questa: cosa ne sappiamo del futuro? Qual’è la magnitudo del prossimo terremoto? O l’altezza dell’onda del prossimo tsunami? Cento anni fa nessuno avrebbe potuto nemmeno immaginare l’esistenza di una centrale nucleare. Tra cento anni questi impianti saranno ancora lì, a inquinare il pianeta, loro o i loro successori.
E noi, che stiamo già turbando tutti gli equilibri del nostro ecosistema, come potremo prevedere quale sarà il livello delle catastrofi che produrremo? Cosa produrrà ad esempio, il riscaldamento climatico che noi stiamo attivamente alimentando con una sviluppo insensato? Che rapporto esiste tra lo scioglimento delle calotte polari e la frequenza e l’intensità dei terremoti? Solo che una catastrofe naturale la si può “parare”, seppure spendendo molti denari, e con qualche migliaio di morti per volta. Ma una catastrofe atomica potrebbe essere irreparabile. Per tutti. E in ognuno dei secoli futuri nei quali non possiamo guardare. Questa è la differenza.
In questo dibattito molti sembrano non rendersi conto di questo “dettaglio”. Per esempio quelli che dicevano: perché preoccuparsi di qualche nuova centrale nucleare in Italia quando, appena passata la frontiera, in Francia ce ne sono decine? E in Europa altre decine. Appunto: una catastrofe atomica in Francia sarebbe immediatamente esportata in Italia e in Europa. Chernobyl fu esattamente questo e tutta l’Europa fu investita perché un solo blocco della centrale andò in avaria e il suo nocciolo si fuse (e resta sepolto, in fusione, ancora oggi). Ma vi pare questa una buona ragione per moltiplicare le centrali, cioè i rischi?
Quello che pochi sanno è che le cifre dei rischi nucleari in tempo di pace sono assai più alte di quanto ci sia stato detto. Recentemente (New York Times, 13 aprile 2011) un ricercatore americano, il fisico Thomas Cochran del Natural Resources Defense Council, ha fatto uno studio molto accurato dal quale risulta, sulla base dei dati raccolti a partire dal primo “meltdown” (fusione del nocciolo) avvenuto nel 1957, che, “con 439 reattori ora operanti in tutto il mondo, ogni tre anni in media si verifica statisticamente un incidente nel nocciolo di un reattore”.
Una cifra agghiacciante.
Ma i sostenitori del nucleare ci parlano delle centrali della terza generazione, che sarebbero la panacea di tutti i mali, e cercano di tranquillizzarci. Ci dicono che anche se l’uranio non è infinito, come tutte le cose di questa terra, qualche genio ha inventato i reattori autofertilizzanti, (breeder reactor) che producono altro combustibile nucleare mentre lavorano per produrre calore. Qualcosa di molto simile al moto perpetuo. Evviva. Dunque avremo combustibile per la fissione, e per sempre.
Vero? Falso? Se guardi dentro questo vaso di Pandora ti verranno i brividi. Tanto per cominciare i reattori breeder erano già stati inventati negli anni ’70, simultaneamente in molti paesi, tra cui Giappone, Stati Uniti, Unione Sovietica, China, Gran Bretagna, Francia, Germania. Sfortunatamente furono abbandonati perché i problemi che creavano e i pericoli che implicavano erano troppo grandi. Adesso ce ne sono due in costruzione, in Francia e in Finlandia. La entrata in funzione del primo è stata bloccata tre volte dalla stessa autorità di sorveglianza francese per la sua attuale, persistente pericolosità. Il secondo, in Finlandia, doveva essere concluso tra anni or sono, ma ancora non lo è, mentre i costi, specie assicurativi, diventano astronomici. La ragione è semplice: i rischi sono enormi e le assicurazioni lo sanno. Non lo sa la gente.
Ora, purtroppo, una qualunque ipotesi di sviluppo del nucleare comporta la costruzione di reattori breeder, perchè l’uranio a disposizione, per quanto ce ne sia non poco nella crosta terrestre, non è e non sarà sufficiente per risolvere i problemi energetici del pianeta agli attuali ritmi di crescita della domanda energetica. I depositi naturali utilizzabili a costi praticamente sostenibili basterebbero per 80 anni circa con l’attuale numero di reattori in funzione. Se raddoppiassero (dio ci salvi) scenderemmo a 40 anni. Ma allora l’uranio sarebbe sufficiente, sì e no, per nutrire le attuali centrali. Niente da fare.
Allora vediamo come è fatta la materia. L’uranio naturale contiene 140 atomi dell’isotopo uranio 238 per ogni atomo di uranio 235. I reattori nucleari funzionano con uranio 235. Quindi per avere combustibile utilizzabile bisogna arricchirne il contenuto di uranio 235. Fino al 2-4%. Per avere un’idea, il reattore di Chernobyl usava uranio 235 arricchito all’1,8%. Si produsse una esplosione nucleare, che fu piccola proprio per la bassa percentuale di arricchimento. Questa è roba nota ormai anche all’uomo della strada che ha letto qualche cosa.
Ma cosa fa un breeder reactor? Produce come “scarto” di lavorazione il plutonio 239, buono anch’esso come combustibile nucleare. Inoltre, sempre come effetto della creatività umana, si è scoperto che gli stessi breeder possono convertire il torio in uranio 233, anch’esso utilizzabile come combustibile. E il torio è in natura cinque volte più abbondante dell’uranio.
Fin qui siamo nel paese delle meraviglie. C’è solo un problema: che sia il plutonio 239, che l’uranio 233 “lavorano”, cioè si scindono nella fissione, a temperature molto superiori a quella delle attuali centrali, che sono raffreddate ad acqua.
L’acqua che viene usata nei reattori attuali è moltissima, perché deve raffreddare continuamente un nocciolo che produce vapore a circa 400 gradi. Ma non è sufficiente per raffreddare i breeder. Dunque si deve lavorare ad alte temperature. Per raffreddare il nocciolo si deve dunque usare sodio liquido o litio liquido. Cioè ci vuole un circuito di raffreddamento molto più delicato e molto più pericoloso, perché il sodio e il litio liquidi esplodono quando vengono a contatto con l’acqua o con l’aria. Ma a loro volta questi due metalli liquidi, che escono roventi dal nocciolo dopo averlo raffreddato, devono essere raffreddati prima di rientrare nel nocciolo. E non c’è altro sistema che immergere queste condutture – rigorosamente sigillate, è ovvio – nell’acqua di mare. Basterebbe una microscopica perdita per provocare esplosioni devastanti.
Ma sarebbero esplosioni come quella di Chernobyl? Purtroppo per noi tutti la risposta è negativa. Perché i breeders usano combustibile assai più arricchito: siamo a livelli del 15-30%, e qualche volta anche 50 o 60% , di un mix di uranio 235, uranio 233, plutonio 239. Un incidente anche minimo in un reattore di questo tipo potrebbe provocare una detonazione nucleare tale da vaporizzare l’intero reattore. Data l’alta concentrazione del combustibile, gli effetti anche di una sola detonazione di questo genere sarebbero letali non più a livello di un paese, ma di interi continenti.
L’ipotesi, come ben si capisce, fa correre brividi lungo la schiena. Il fatto è che per esempio l’India sta già costruendo un reattore breeder da 500 megawatt a Kalpakkam sulla costa di Tamil Nadu. E progetta di costruirne per 600 gigawatts (cioè 1200 reattori di questo tipo). Scriveva recentemente Risto Isomaki scrittore e ambientalista finlandese (da cui ho tratto queste cifre) che, un programma di questo genere – poiché questi reattori devono essere costruiti in riva al mare, come quelli di Fukushima – equivarrebbe alla scrittura della dichiarazione di estinzione del genere umano. Con la data in bianco. Corrispondente a quella del primo tsunami-gigante che capiterà.
E ora un’ultima considerazione. Stiamo parlando di tempi di pace. Proviamo ora a immaginare una guerra. Vi sembra fuori tema? A me non pare, perché, al contrario, tutto dimostra che i pericoli di guerra stanno aumentando. Ma facciamo uno sforzo tutti insieme. La prima e la seconda guerra mondiale avvennero senza atomo. Hiroshima e Nagasaki non furono decisive. La prossima potrebbe vedere impegnate le armi atomiche. Ma non è necessario neppure fare questa ipotesi. Esistono già adesso 439 armi atomiche, pronte a saltare in aria se opportunamente bombardate. Se, tra qualche decennio, avremo i breeder sparsi per il mondo, saranno armi letali, perfino più letali di una testata nucleare, da far esplodere all’interno di ciascun paese belligerante. Mine che ciascuno avrà messo dentro la propria casa.
Ecco perché la lotta contro la cosiddetta energia nucleare pacifica deve diventare una lotta mondiale.
Fonte: www.megachip.info
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