DI

FEDERICO FUENTES
Global Research

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando ho chiesto ad Alfredo, un produttore di latte e presidente della cooperativa di lavorazione del latte Prolesa nello stato di Tachira, cosa fosse la sovranità alimentare mi ha detto: “La sovranità alimentare non consiste solamente nella capacità di produrre abbastanza cibo per nutrirsi, ma anche capire dove si può esportare cibo all’estero.

“C’è una crisi alimentare globale e ogni giorno che passa sempre più persone patiscono a fame. Come campesinos venezuelani, dobbiamo comprendere che abbiamo un obbligo nei confronti dei popoli del mondo.”

Questo sentimento è condiviso da molti contadini che ho incontrato in una recente visita di tre giorni alle comunità rurali con una piccola delegazione del progetto Venezuela Food Sovereignt.
Alfredo ci ha detto che stava portando il suo piccolo contributo alla causa della sovranità alimentare del Venezuela.

Grazie a Prolesa, i produttori di latte locali hanno un’altra possibilità di vendere il loro prodotto per evitare di essere alla mercé dei prezzi fissati dalle multinazionali assetate di profitto che spesso esportano per ottenere prezzi più alti.

I contadini del posto ora possono guadagnare di più dal loro latte e produrre beni di qualità a prezzi equilibrati per la comunità locale e le aree circostanti.

Nello sforzo di tenere i prezzi più bassi possibile, i membri di Prolesa lavorano anche con altri agricoltori, con i consigli comunali e con gli impiegati del Ministero dell’Agricoltura e del Territorio (MAT) per promuovere un mercato campesino.

Questo permette ai produttori di vendere direttamente al consumatore, tagliando il costo degli intermediari.
I contadini venezuelani come Alfredo sono in una condizione più unica che rara, quella di poter contare sul sostegno del loro governo nella lotta per la sovranità alimentare.

L’obbiettivo della sovranità alimentare è tutelato dalla costituzione del Venezuela che fu adottata dopo il referendum del 1999.

Andando contro la prevalente ortodossia neoliberista, l’articolo 305 della costituzione stabilisce che la sicurezza alimentare può essere raggiunta “sviluppando e privilegiando la produzione agricola interna”.

La costituzione raccomanda che lo Stato “generi occupazione e garantisca alla popolazione contadina un adeguato tenore di vita”.

Considera i latifondi (vasti appezzamenti di proprietà di privati) “contrari agli interessi sociali”. La costituzione stabilisce la necessità di “trasformarli in unità economiche produttive”.

Quando il presidente Hugo Chavez fu eletto per la prima volta nel 1998 con una campagna elettorale a favore dei poveri, il Venezuela si stava incamminando nella direzione opposta.

I campesinos ci hanno detto che i governi prima di Chavez avevano trasformato li Venezuela in un “economia portuale”.

Mentre venivamo portati in giro nello stato di Yaracuay da Fray, un membro della cooperativa 3R e del Movimento dei Contadini Jirajara (MCJ) che ha preso il nome dai guerriglieri indigeni Jirajara che hanno combattuto i colonizzatori spagnoli, gli ho chiesto perché tutti quelli che avevamo incontrato ripetevano la stessa cosa.

“Chavez,” rispondevano.

“Chavez è come un maestro. Tutti lo vogliono far passare per un pazzo perché passa così tanto tempo a parlare alla televisione. Ma ogni volta che parla, ci dà una lezione di storia, di economia, di geografia e di politica.

“Tutto questo ha contribuito a innalzare la coscienza del popolo.”

Fray ha detto cha la crescita dell’industria petrolifera, avviata negli anni ’40, ha cambiato l’economia del Venezuela.

La classe capitalista parassitaria del Venezuela spostò le sue attenzioni dal settore agricolo che era orientato alle esportazioni per cercare il modo di ricevere una parte della rendita petrolifera.

E anche se la produzione agricola era in calo, i capitalisti importavano i prodotti dagli stessi porti da cui partivano le petroliere.

Questo ha avuto un effetto distorsivo sull’economia con effetti devastanti sui campesinos.

Le persone venivano sradicate dal sud rurale, lasciano le terre fertili disabitate per cercare lavoro nelle città costiere che si stavano espandendo nei pressi dei giacimenti petroliferi e dei porti.

I dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (INE) ci mostrano una caduta nella popolazione impiegata in agricoltura, dal 68,6% del 1941 a solo il 12,3% nel 2001.

Le politiche neoliberiste degli anni ’90 hanno provocato una diminuzione delle terre coltivate da più di 2,3 milioni di ettari nel 1988 a circa 1,6 nel 1998 secondo i dati del precedente ministero dell’Agricoltura.

Il neoliberismo ha impoverito milioni di persone in tutto il Venezuela, ma le persone che vivevano nelle aree rurali sono state quelle colpite in modo più duro.

Non solo i lavoratori impiegati in agricoltura guadagnavano solo il 20-30% della media degli stipendi dei lavoratori degli altri settori, ma i dati del governo hanno descritto come tra il 1984 e il 1997 i loro redditi medi reali sono diminuiti del 73%, rispetto al 61% degli abitanti delle città.

Nel novembre del 2001 Chavez ha emesso un pacchetto di 49 decreti, tra cui una nuova legge sui terreni che aveva lo scopo di iniziare a mettere in pratica i principi della costituzione.

La legge consentiva l’esproprio delle terre inutilizzate dai latifondisti e la redistribuzione ai contadini per scopi produttivi, così come inteso dalla costituzione.

L’oligarchia dei grandi tenutari ha risposto cercando di far cadere il governo. La legge era, in larga parte, rinviata agli anni successivi proprio mentre il governo concentrava gli sforzi per combattere i tentativi di destabilizzazione delle opposizioni. Tra questi vanno segnalati un tentativo di colpo di Stato nell’aprile del 2002, una serrata dei padroni dell’industria petrolifera tra il dicembre del 2002 e il gennaio del 2003 e una proposta referendaria nell’agosto del 2004.

Il governo di Chavez è sopravvissuto, ma la destabilizzazione ha messo l’economia in crisi. La serrata ha provocato una contrazione dell’economia di circa il 25%.

I dati del governo mostrano che, dalla fine del 2003, il consumo di cibo pro capite era stato il più basso dagli anni ’60.

Nel mentre i latifondisti e gli imprenditori dell’agro-alimentare sabotavano la produzione e la distribuzione, saliva anche la dipendenza dalle importazioni. Nel 2003 hanno raggiunto quasi il 50% delle calorie consumate.

Comunque, i tentativi della destra di far cadere il governo sono stati sconfitti dalla mobilitazione di massa della maggioranza più povera. Il governo ne è uscito rafforzato.

Nel dicembre del 2003 Chavez ha avviato la sua “guerra al latifondo” con l’inaugurazione della Missione Zamora.

Lo scopo della missione era quello di colpire i latifondisti per favorire la redistribuzione del cibo e per fornire supporto tecnico e finanziario alle cooperative di agricoltori.

La debolezza del movimento dei campesinos e il fatto che le istituzioni statali supervisionavano la riforma delle terre ha comportato il fatto che la missione era inizialmente limitata a ridistribuire le terre inutilizzate che erano già in mano allo Stato.

Nel 2005 i dati del governo mostravano che, dei sei milioni di ettari identificati come latifondi, meno di 650.000 erano stati recuperati. Dall’altro lato, due milioni di ettari di proprietà statale erano stati redistribuiti dalla fine del 2004.

Nei tre anni successivi, 1,3 milioni di ettari di latifondi sono stati recuperati dal governo.

Anche il finanziamento all’agricoltura si è innalzato vertiginosamente. I fondi erano destinati per progetti agroindustriali, macchinari, per i sussidi ai produttori, per l’espansione delle infrastrutture nelle aree rurali e per il microcredito.

La terra coltivata è aumentata da 1,6 milioni di ettari nel 1998 a più di 2 milioni nel 2006. Comunque, la produzione agricola domestica non è stata in grado di mantenere il passo con l’incremento dei livelli di consumo provocato dal maggior potere d’acquisto dei poveri grazie alle politiche governative a loro favore.

Per compensare questa mancanza, il Venezuela ha incrementato le importazioni di cibo.

Nel 2004 fu istituita la Missione Mercal per contrastare il controllo del capitale sulla distribuzione degli alimenti e per ostacolare l’aumento dei prezzi. I punti vendita della catena alimentare sussidiata dallo Stato hanno velocemente raggiunto il 40% della distribuzione di generi alimentari.

Allo stesso tempo, stava prendendo campo il fenomeno delle cooperative. Il numero delle cooperative è salito da 10.000 nel 2003 a 74.200 alla metà del 2005. I dati del censimento dell’INE hanno registrato 121.000 persone che lavoravano nelle cooperative agricole, il 14% dei lavoratori del settore.

Leonardo, uno dei fondatori di Prolesa, ha detto che il rifiuto di Nestlè e di Leche Tachira di comprare il latte dai produttori locali nel corso della serrata è stato il catalizzatore della creazione delle cooperative.

“Portavano i veicoli nel mezzo della città e versavano il latte non lavorato nel mezzo della strada”, ci ha detto. “Questo mentre le madri non riuscivano a trovare il latte per i loro figli.”

Prolesa nacque nel 2004 con un prestito iniziale dal governo, con i risparmi dei membri della stessa cooperativa e l’impegno di alcuni caseifici del posto per venderle il latte.

Per assistere la creazione di cooperative, il governo ha fondato la Missione Vuelvan Caras.

Nella missione il 50% di scolarità offerta ai 650.000 partecipanti era fornita per l’addestramento agricolo con un’enfasi data alla cooperazione.

Anche se è stata una piccola operazione, Prolesa è vista come una minaccia dai caseifici. Dopo che si è formata, hanno iniziato a offrire agli agricoltori del posto prezzi più alti.

Più di 40 agricoltori locali hanno preferito continuare a rifornire Prolesa, anche se ciò ha significato guadagnare meno.

Le iniziative delle multinazionali per dividere la comunità non sono state capaci di distruggere i legami di solidarietà che erano stati creati in precedenza.

È forse questo il motivo per cui Prolesa, malgrado le difficoltà finanziarie e tecnologiche, è ancora in funzione come invece non sono riuscite a fare la maggior parte delle cooperative che si sono formate insieme a lei.

Spesso le cooperative venivano create solo per accedere ai prestiti. Il denaro veniva poi diviso tra i membri. In altri casi, le persone consideravano troppo impegnativo lavorare nelle cooperative e così tornavano alle proprie fattorie o si spostavano in città.

I dati dell’INE mostrano che il numero delle persone impiegate nelle attività agricole è calato dell’11% tra il 2005 e il 2008.

Ma questa non è stata la sola sfida che ha affrontato la campagna per la sovranità alimentare.

I programmi sociali del governo hanno contribuito in modo deciso a ridurre la povertà estrema nelle campagne, che è calata più del 20%. Il forte incremento nei finanziamenti non ha avuto simili riscontri nell’aumento della produzione, ma la produzione agricola è comunque salita del 18% tra il 2003 e il 2008.

Ma il maggiore incremento nel consumo ha aumentato la dipendenza del Venezuela dalle importazioni. Inoltre, l’incontro tra i prezzi e i controlli sulla moneta hanno agito come disincentivi per la produzione locale visto che l’importazione era più economica.

Questo tipo di pressioni ha visto un numero sempre maggiore di scaffali vuoti ai supermercati Mercal.

Nel corso del 2007 sono stati impiegate grosse somme per la produzione e la distribuzione per provocare carenze nell’offerta di cibo. Questo ha causato un aumento del sostegno governativo ed è stato un motivo della sconfitta del referendum sulle riforme costituzionali proposte da Chavez.

La caduta dei prezzi del petrolio e l’ascesa dei prezzi dei generi alimentari hanno forzato il governo a prendere misure più radicali, come ad esempio la nazionalizzazione delle compagnie di distribuzione che violano la legge e l’incremento delle pratiche di sequestro delle terre tenute improduttive dai grandi latifondisti

Tutto questo costituisce lo sfondo della nuova fase nella lotta per la sovranità alimentare nel Venezuela.

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Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24910

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE