DI
DANIEL GROS*
FONTE: Sollevazione
Consigliamo ai lettori di leggere quest’articolo, senza farsi spaventare dai tecnicismi, inevitabili in questo genere di trattazioni. Gros non è certo un "anticapitalista", anzi. Questa degli Eurobond, spacciati come ancora di salvezza dell’Unione e dell’euro, spiega Gros, è una leggenda, anzi, fumo negli occhi. Segnaliamo che tra i sostenitori di questa "panacea" non ci sono soltanto i vampiri della finanza speculativa (uno su tutti: Warren Buffet), ma praticamente tutta la corazzata di fede "europeista" della sinistra ufficiale: Prodi ovviamente, il Pd, l’Idv, Sel, pezzi del Prc, mentre la CGIL della cornuta e mazziata Camusso ha pensato bene di metterli nella piattaforma per lo sciopero del 6 settembre.
Gli eurobond sono propagandati come la panacea per risolvere la crisi dell’euro. Questo articolo sostiene che la proposta degli eurobond non è valida per motivi giuridici, politici ed economici. Si dice che, qualunque sia la variante, gli eurobond hanno senso solo in un’unione politica e, in considerazione delle grandi differenze nei sistemi politici nazionali e nella loro qualità di governo, qualsiasi unione politica creata sulla carta nella pratica non funzionerebbe.
Col termine "Eurobond" di solito si intende un’obbligazione garantita "in solido" da tutti gli stati membri della zona euro (vedi, ad esempio, Manasse 2010 e Suarez 2011). La garanzia "in solido" implica che, se il paese emittente non può servire il proprio debito in "Eurobond", i creditori possono chiedere il pagamento a tutti gli altri paesi della zona euro. Ciò implicherebbe che in extremis i creditori potrebbero pretendere che l’Estonia o la Finlandia paghino per il debito accumulato, diciamo, dalla Grecia o dall’Italia, se gli altri grandi dell’eurozona non vogliono o non possono pagare.
Questo articolo si occupa solo dell’ipotesi che gli Stati membri possano essere in grado di emettere Eurobond per finanziare i loro deficit e convertire soltanto in parte il loro debito.
Perché gli investitori acquisterebbero gli Eurobond?
I fautori degli Eurobond affermano che potrebbero essere venduti a un rendimento molto basso, vicino a quello del benchmark tedesco "Bund". L’idea è che, poiché il debito complessivo e i livelli di disavanzo della zona euro reggono bene il confronto con quelli degli Stati Uniti, gli investitori presterebbero a tassi di interesse simili. Tale idea è, ovviamente, completamente diversa da quella di un’istituzione comune che dovrebbe essere in grado di finanziare compiti di interesse condiviso (vedi Gros e Micossi 2008).
Ma questa è una proposta che non è stata (e purtroppo non può essere) testata e la conclusione non è scontata, soprattutto se gli Eurobond dovessero coprire gran parte del debito esistente:
– gli investitori hanno notato che numerosi provvedimenti per affrontare la crisi del debito dell’Eurozona sono stati poi revocati dai politici e che quindi questi potrebbero non avere piena fiducia nella garanzia "in solido";
– gli investitori potrebbero anche avere una visione diversa dei rischi del debito sovrano nella zona euro e potrebbero non credere nelle garanzie date in solido;
– potrebbero anche avere un parere diverso sugli effetti di incentivazione che deriverebbero dagli Eurobond.
– gli operatori di mercato potrebbero aspettarsi che l’introduzione degli Eurobond porti a un aumento più rapido del debito complessivo.
– gli investitori potrebbero anche avere una visione diversa dei rischi di credito sovrano nella zona euro, dato il più alto livello d’indebitamento bancario (2,5% del PIL rispetto al "solo" 1,2% degli Stati Uniti).
È interessante notare che gli oppositori degli Eurobond tendono a essere molto più pessimisti per quanto riguarda il livello del tasso di interesse. Per esempio Ifo (2011), presuppone che il tasso di interesse sugli Eurobond sarebbe uguale alla media (ponderata) dei rendimenti sul debito pubblico in essere nella zona euro, che attualmente è di quasi 200 punti base più elevato del rendimento sul debito pubblico tedesco. Un altro argomento verte sul grado di liquidità di tali obbligazioni. Naturalmente, gli eurobond diventerebbero un asset ad alta liquidità, con un volume di debito disponibile paragonabile ai buoni del tesoro statunitensi. Tuttavia, i differenziali di rendimento tra piccole e grandi emittenti con rating AAA all’interno della zona euro (ad esempio la Germania contro l’Austria) sono nell’ordine di 30-50 punti base. Il miglioramento della liquidità, quindi, al massimo potrebbe rappresentare un beneficio minore.
Qual è il problema che gli Eurobond dovrebbero risolvere?
La proposta di introdurre gli Eurobond in questo momento, ovviamente, non vuole risolvere i problemi di lungo periodo, ma serve ad affrontare l’attuale crisi, dando l’accesso a un finanziamento più conveniente ai governi dei paesi che attualmente stanno pagando alti premi per il rischio.
– Per gli avversari degli eurobond, le differenze dei premi di rischio sono giustificate dalle differenze nella politica fiscale nazionale e costituiscono un utile segnale di mercato che costringe i governi a regolarsi.
– Per i sostenitori degli Eurobond, le differenze possono includere gli alti premi al rischio dovuti semplicemente al panico.
Qualsiasi paese con un livello del debito moderatamente elevato potrebbe essere portato all’insolvenza – anche se questo debito fosse perfettamente sostenibile a bassi tassi di interesse – perché quando i mercati svendono il debito del governo, l’economia ristagnerà e l’onere del debito aumenterà.
Gli economisti li chiamano "equilibri multipli". Se gli investitori ritengono che l’Italia è fondamentalmente solvente, acquisteranno titoli di Stato italiani a un tasso di interesse inferiore, diciamo, al 5%. In questo caso il servizio del debito sarà sostenibile e le banche italiane saranno in grado di rifinanziarsi senza problemi sul mercato interbancario. Ma se molti investitori hanno dubbi sulla solvibilità del paese, i tassi di interesse saranno spinti in alto e le banche del paese saranno tagliate fuori dal mercato interbancario. L’economia quindi andrà in riserva, riducendo le entrate pubbliche proprio nel momento in cui il governo deve affrontare maggiori costi del servizio del debito (vedi Gros 2011 sull’importanza della connessione banche-debito sovrano).
Questi dubbi sulla solvibilità di un paese possono chiaramente essere auto-avveranti e condurre a una veloce spirale verso il basso dei mercati finanziari, come ha dimostrato il panico di questa estate. Una serie di recenti contributi di VoxEU ha affrontato questo temi, più di recente de Grauwe (2011). Vedi anche Kopf (2011).
Ma quanto è importante questo fenomeno degli equilibri multipli?
Nei primi mesi del 2010, quando la Grecia ha iniziato ad affrontare delle difficoltà per vendere i suoi debiti sul mercato, molti hanno anche sostenuto che questo era solo un caso di panico auto-avverante presente sul mercato. È risultato, tuttavia, che gli scettici del 2010 avevano ragione sulla Grecia. Nonostante una massiccia dose di aiuti finanziari il paese non è stato in grado di riportare il suo bilancio sotto controllo. Non si dovrebbe quindi saltare alla conclusione che tutti gli aumenti dei differenziali di rischio costituiscano attacchi speculativi ingiustificati. Ma è difficile sfuggire all’impressione che, in un dato momento, questo meccanismo possa guidare i mercati.
I pericoli di introdurre l’unione politica senza legittimità democratica
"Niente tasse senza rappresentanza" è un principio fondamentale della democrazia, ma non è compatibile con la responsabilità solidale sul debito di altri paesi della zona euro, a meno che l’Europa (o meglio la zona euro) diventi un’unione politica. Rendere i contribuenti dei paesi parsimoniosi pienamente e incondizionatamente responsabili per le decisioni di spesa prese in altri paesi si trasformerebbe molto probabilmente in una pillola di veleno per l’UEM. La resistenza politica contro l’UEM aumenterebbe nei paesi più forti e condurrebbe a una sua probabile rottura.
Inoltre, se l’emissione di Eurobond fosse limitata a una parte del debito nazionale (ad esempio, solo il 40-60% del PIL, come proposto), i paesi fortemente indebitati sarebbero immediatamente costretti a una ristrutturazione del debito in quanto non potrebbero più trovare acquirenti per la parte garantita soltanto a livello nazionale. Per questo motivo il sistema di obbligazioni blu/rosse proposto da Delpla e Weizsäcker (2010) – The Blue Bond Proposal – non può funzionare se i paesi interessati hanno un eccesso di debito.
Le obiezioni legali agli eurobond sono ben note. Qualsiasi patto di responsabilità multipla solidale è in contrasto con la clausola del no-bailout (non salvataggio) del trattato di Lisbona (art. 125). Così, sarebbe necessaria una revisione del trattato che richiede la ratifica da parte di tutti i 27 membri. Il destino del Trattato di Lisbona, che è stata respinto quando sottoposto a referendum in Francia e nei Paesi Bassi, dovrebbe funzionare da avvertimento. Inoltre, la Corte Costituzionale Tedesca molto probabilmente potrebbe considerare incostituzionali gli Eurobond senza un’unione politica e potrebbe imporre al governo tedesco di lasciare la zona euro o ritirare la sua garanzia incondizionata agli Eurobond.
Mettere il carro davanti ai buoi? Creare un’unione politica per giustificare gli Eurobond?
I fautori degli Eurobond affermano che gli elementi necessari a una "unione politica" potrebbero essere creati, se necessario, modificando i Trattati dell’UE. È chiaro che la sorveglianza sovranazionale da parte della Commissione, del Consiglio (zona euro) e del Parlamento dovrebbe essere rafforzata al punto che quasi certamente interferirebbe con i principi costituzionali di ogni Stato membro per quanto riguarda l’autonomia di bilancio dei Parlamenti nazionali. Un maggiore coinvolgimento del Parlamento Europeo non sarebbe utile allo scopo, dato il "deficit democratico" (almeno ampiamente percepito) di questa istituzione, e il fatto che rappresenta i 27, non la zona euro.
La sorveglianza tra pari in Consiglio non ha funzionato bene in passato e potrebbe non funzionare nemmeno nel quadro rafforzato del Patto di Stabilità e di Crescita che è previsto in ogni caso. Le sanzioni (cioè non avere accesso a risorse del bilancio UE, subire penalità, e così via) non possono essere progettate in modo appropriato, perché non sono coerenti: quando sorge un problema reale il paese non è punito, ma bensì riceve aiuto.
Le modalità del processo decisionale dell’organismo che dovrebbe supervisionare la politica fiscale nazionale (molto probabilmente il cosiddetto Eurogruppo) presumibilmente dovrebbero essere un qualche tipo di maggioranza qualificata. Ma come si potrebbe poi impedire a una maggioranza di paesi fiscalmente lassisti di concedere aumenti del disavanzo? Questo già è accaduto nel 2003/4. Alla fine, l’emissione di eurobond richiede l’istituzione degli Stati Uniti d’Europa sulla politica di bilancio, per cui i cittadini di tutti i paesi membri concordano in anticipo che i pagamenti delle imposte potrebbero servire a sostenere altri Paesi e che i loro livelli di prestazioni potrebbero essere ridotti perché altri paesi hanno pagato troppo ai propri cittadini.
Tuttavia, anche così si può dubitare che anche i migliori incentivi a livello statale riescano a perseguire la solidità fiscale e una buona performance economica della zona euro. L’evoluzione della crisi del debito ha dimostrato che i paesi si muovono solo sotto il controllo dei mercati e l’aumento dei costi di rifinanziamento dell’Italia ne ha fornito la prova ultima.
È sufficiente l’unione politica?
Chi propone un’unione politica per rendere praticabili gli eurobond suppone che alcune modifiche del trattato e accordi politici di alto livello sarebbero sufficienti a garantire che i paesi membri attuino tutte le decisioni prese a livello europeo (o meglio della zona euro). Tuttavia, questa non è una conclusione scontata, come ha dimostrato l’esperienza di aggiustamento fiscale della Grecia. Anche il governo più determinato non è stato in grado di attuare le misure di austerità che si sapevano necessarie.
Ci sono profonde differenze tra i sistemi politici degli Stati membri e il modo in cui le amministrazioni in realtà lavorano. La Banca Mondiale fornisce un’utile banca dati di "indicatori di governance", che ci permette di confrontare i paesi in base alla qualità delle loro amministrazioni e alla misura in cui lo stato di diritto è realmente rispettato. Questi sono elementi chiave per il funzionamento di una unione politica dell’Eurozona. Tuttavia, anche una rapida occhiata a questi indicatori rivela che le differenze sono così grandi che un’unione politica è improbabile che funzioni.
La tabella 1 mostra i tre più rilevanti indicatori di governance, "efficacia del governo", "stato di diritto" e "controllo della corruzione". Un minimo standard comune su tutti e tre è necessario per garantire che le decisioni comuni in materia di disavanzo massimo ammissibile in ciascun paese siano effettivamente attuate, in modo che i contribuenti dei paesi più forti possano essere certi che i necessari meccanismi di applicazione effettivamente funzioneranno.
Tuttavia, i dati mostrano che c’è una grande differenza tra i paesi "Core" e il "Club Med" (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna). In particolare la Grecia e l’Italia mostrano delle performance particolarmente negative, anche rispetto a Portogallo e Spagna, i cui standard sono ancora nettamente sotto la media del centro dell’euro. Su quasi ogni indicatore, i dati sia per la Grecia che per l’Italia sono più di due deviazioni standard al di sotto della media dell’Eurozona.
Tabella 1. Indicatori di governance dell’Eurozona: Centro contro Club Med o Periferia Sud
Note: L’"efficacia del governo" rappresenta la percezione della qualità dei servizi pubblici, la qualità degli amministratori pubblici e il loro grado di indipendenza dalle pressioni politiche, la qualità della formulazione e attuazione delle politiche, e la credibilità dell’impegno del governo per queste politiche.
Il "Controllo della corruzione" rappresenta la percezione della misura in cui viene esercitato il potere pubblico per interessi privati, in entrambe le forme di piccola e grande corruzione, così come "l’idea" dello stato da parte delle élite e degli interessi privati.
Lo "Stato di diritto" rappresenta la percezione della misura in cui gli operatori hanno fiducia e rispettano le regole della società, e in particolare la qualità di esecuzione dei contratti, i diritti di proprietà, la polizia e i tribunali, così come la probabilità di reati e di violenza.
Fonte: WGI 2009, la Banca Mondiale
La figura sottostante fornisce una conferma visiva della differenza tra il Centro e i paesi del Sud dell’Eurozona.
Queste differenze nella qualità della governance, più di ogni problema tecnico, sono probabilmente la ragione per cui l’elettorato del Nord Europa è scettico circa gli Eurobond. Con queste differenze fondamentali nel funzionamento dei diversi paesi membri, sarebbe in pratica impossibile condurre una politica fiscale unitaria, anche se venisse creato un Ministro delle Finanze della zona euro.
Conclusioni
Qualunque sia la variante, gli Eurobond hanno senso solo in una unione politica, e anche allora solo quando i livelli del debito sono bassi [1]. Quando si parte da livelli di indebitamento così alti che i mercati sospettano un eccesso di debito, gli Eurobond equivarrebbero a un grande trasferimento di rischio e genererebbero forti aspettative che futuri accumuli di debito sarebbero trattati allo stesso modo.
Il sostegno politico agli Eurobond sembra essere in crescita anche negli Stati membri come la Germania (i Socialdemocratici e i Verdi hanno espresso il loro sostegno), ma solo perché l’idea suona bene a prima vista. Una volta che saranno discusse le implicazioni fiscali di una proposta specifica, il sostegno politico può svanire molto velocemente. Le probabilità che il Bundestag tedesco a maggioranza costituzionale sottoscriva implicitamente 6.700 miliardi in euro di debito pubblico dell’Eurozona quando il debito tedesco è "solo" circa 2.000 miliardi di euro sono davvero scarse.
Le differenze tra i sistemi politici nazionali e la loro qualità di governance sono così grandi che qualsiasi unione politica anche creata sulla carta in pratica non potrebbe funzionare.
Riferimenti:
Ifo, What will Eurobond cost?, Press release, 17 agosto 2011.
De Grauwe, Paul, The European Central Bank as a lender of last resort, VoxEU.org, 18 agosto 2011.
Delpa, Jacques E Jakob von Weizsäcker, The Blue Bond Proposal, Breugel.org, 11 maggio 2011.
Gros, Daniel, The seniority conundrum: Bail out countries but bail in private, short-term creditors?, VoxEU.org, 5 dicembre 2010.
Gros, Daniel, August 2011: The euro crisis reaches the core, VoxEU.org, 11 agosto 2011.
Gros, Daniel e Stefano Micossi, Crisis management tools for the euro-area, VoxEU.org, 30 settembre 2008.
Kopf, Christian, Restoring financial stability in the euro area, CEPS Policy Briefs, 2011.
Manasse, Paolo, My name is Bond, Euro Bond, VoxEU.org, 16 dicembre 2010.
Suarez, Javier, A three-pillar solution to the Eurozone crisis, VoxEU.org, 15 agosto 2011.
Note:
[1] Il governo federale degli Stati Uniti appena creato ha assunto il debito degli stati fondatori, perché il debito era stato contratto nella lotta per una causa comune. Non è certo questo il caso oggi in Europa.
* Questo lucido articolo è stato originariamente pubblicato in Voxeu.org e poi ripubblicato dagli amici di «Voci dall’estero», che ringraziamo per la traduzione, che abbiamo corretto qua e la.
* Daniel Gros is the Director of the Centre for European Policy Studies (CEPS) in Brussels. Originally from Germany, he attended university in Italy, where he obtained a Laurea in Economia e Commercio. He also studied in the United States, where he earned his M.A. and PhD (University of Chicago, 1984). He worked at the International Monetary Fund, in the European and Research Departments (1983-1986), then as an Economic Advisor to the Directorate General II of the European Commission (1988-1990). He has taught at the European College (Natolin) as well as at various universities across Europe, including the Catholic University of Leuven, the University of Frankfurt, the University of Basel, Bocconi University, the Kiel Institute of World Studies and the Central European University in Prague.
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Fonte: Il mio nome è Bond, Eurobond