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Federico Cenci

 

(ASI) Nelle settimane scorse un paio di notizie provenienti dall’Ungheria hanno fatto tremare i polsi alle multinazionali degli Ogm. La prima annuncia l’inizio dei serrati controlli da parte delle autorità in seguito all’approvazione di una normativa stringente che impone alle aziende esportatrici di certificare i propri prodotti come “Ogm-free”. Ovvero, che impone di esportare sul suolo ungherese solo prodotti non transgenici.

La seconda, figlia del medesimo proposito di salvaguardia dell’agricoltura sana, attiene ai circa 1.000 ettari di mais contaminati, commercializzati illegalmente da Monsanto e Pioneer, aziende multinazionali leader nel settore, distrutti per volontà del governo nelle fertili regioni al centro e a sud-ovest del paese magiaro.

Soltanto negli ultimi giorni il Ministero dell’agricoltura ungherese ha confermato queste due notizie filtrate dai media recentemente, destando clamore per la portata rivoluzionaria rispetto ad una prassi per cui gli Stati usano inchinarsi agli interessi delle aziende multinazionali. Purtroppo il danno causato da Monsanto e Pioneer è stato scovato troppo tardi, così che l’intervento risolutore – accompagnato da un’aratura del grano di modo da scongiurare la contaminazione nei confronti di altre colture confinanti – ha generato una controindicazione. Infatti, con la stagione di crescita già in atto, è troppo tardi per seminare di nuovo; ciò equivale ad una perdita totale del raccolto di quest’anno, con annessi contraccolpi economici su scala nazionale. Dunque, si tratta di misure drastiche e non senza ripercussioni, ma assolutamente necessarie, dato che eviteranno il protrarsi di questioni che, a lungo andare, rischiano seriamente di minare l’esistenza delle piccole imprese agricole locali e la salute dei consumatori. Del resto Endre Kardeván, responsabile della catena di sicurezza alimentare presso il Ministero dell’Agricoltura, ha assicurato che lo Stato si farà carico di ricompensare gli agricoltori per le loro perdite.

Ovviamente, la guerra dichiarata dall’Ungheria agli Ogm non ha lasciato indifferenti le aziende produttrici, le quali hanno reagito piccate a questo ennesimo atto di forza sovrano da parte del governo del giovane Viktor Orbán. La Monsanto ha contestato la scelta ungherese di distruggere le coltivazioni e, prima che ciò avvenisse, ha fatto appello alla Corte Municipale di Budapest affinché la risoluzione venisse sospesa. Ma l’appello è stato rifiutato e le coltivazioni contaminate sono potute essere distrutte. La stessa multinazionale ha poi affermato, attraverso una nota, che i semi che esporta in Ungheria – conformemente alla legislazione ungherese che ne vieta la circolazione – non sono Ogm. Tuttavia, il segretario di Stato ungherese Lajos Bognár non è di questo avviso ed ha smentito, dati alla mano, la Monsanto: egli afferma che le misure sono state adottate sulla base di un campione risultato positivo agli Ogm dopo un’analisi dell’Ufficio dell’agricoltura ungherese.

Già dal 1998, due anni dopo l’apparizione delle prime coltivazioni Ogm negli Stati Uniti, approfonditi studi evidenziarono l’impatto dannoso delle stesse sull’ambiente e sulla salute dei consumatori. Tuttavia, grazie al supporto mediatico di cui le potenti multinazionali produttrici di Ogm possono godere, è alquanto diffusa una mitologia secondo la quale l’utilizzo di semi transgenici sia una sorta di rimedio miracoloso ai problemi più incalzanti dell’agricoltura: l’adattamento delle colture, i cambiamenti climatici e la fame nel mondo. Tutto falso, prontamente smentito da fatti che parlano d’altro, ossia di produzioni industriali appannaggio di multinazionali e nocive dal punto di vista sanitario. La recente decisione del governo ungherese – protesa alla salvaguardia della salute del popolo – dimostra come l’ambizione alla sovranità da parte di uno Stato racchiuda la forza di tacere le ingannevoli odi intonate dai cantori della mitologia multinazionale.

Fonte: AgenziaStampaItalia